Il male deriva da una mancanza di empatia?
Perché gli uomini a volte fanno cose malvagie contro i propri simili? Quello del male è sempre stato un autentico rompicapo. È un paradosso da un punto di vista religioso, perché incompatibile con l’assunto che tutto ciò che è creato provenga da una Divinità buona e debba quindi necessariamente essere buono. Infatti, se da una parte siamo abituati a considerare il male e il bene come forze opposte in conflitto tra loro, d’altro canto, in una visione religiosa, il male esiste solo per difetto, come assenza di bene. Sant’Agostino, nel suo saggio sulla “Natura del Bene”, sostiene che “il male non è altro che corruzione: della misura, della forma o dell’ordine naturale”, e difatti Lucifero è un Angelo corrotto.
Ma quello del male è un paradosso anche da un punto di vista evoluzionistico, perché la distruttività intra-specifica è evidentemente svantaggiosa per la sopravvivenza della specie. Nel suo ultimo libro, Giovanni Liotti e collaboratori affrontano in modo originale il problema del male da una prospettiva cognitivo-evoluzionista; ecco in sintesi la loro disamina.
La più influente teoria psicologica sull’aggressività umana è stata quella di Freud che, ispirato dall’evoluzionismo sociale di Herbert Spencer e dall’esperienza di un conflitto mondiale, nel 1920 aggiunge alla pulsione sessuale (Eros) una seconda pulsione connaturata nell’uomo: l’istinto di Morte (Thanatos).
Con l’avvento del comportamentismo, sul versante opposto, si è data enfasi al contributo dell’apprendimento, specialmente del “cattivo esempio” dei nostri simili.
Il punto di vista dell’etologia evoluzionista (si vedano per esempio Konrad Lorenz ne “il cosiddetto male”, e Desmond Morris ne “la scimmia nuda”), pur riconoscendo che i comportamenti aggressivi e predatori sono ubiquitari nel mondo naturale, considera la violenza distruttiva perpetrata a danno dei propri simili come un’eccezione o comunque un’aberrazione. Per questo motivo, sostiene Liotti, l’evoluzione ha dotato le specie viventi di un “meccanismo di inibizione della violenza” (MIV). Nell’uomo, sarebbe proprio l’avvento del pensiero simbolico e della cultura a rendere labili quei vincoli “istintivi” all’uso dell’aggressività che, altrimenti, comporterebbero la sospensione dei comportamenti aggressivi di fronte a un segnale di sofferenza o di resa della vittima qualora si tratti di un proprio simile.
A questo punto, entra in gioco l’empatia. All’inizio degli anni ’90, la rivoluzionaria scoperta dei neuroni specchio offre una spiegazione formidabile al problema del male; la teoria che Baron-Cohen illustra ne “la scienza del male” ben rappresenta la posizione dominante sul problema del male e, echeggiando Sant’Agostino, sostiene che la crudeltà e la violenza umane derivino da una “erosione” dell’empatia, cioè da un deficit nel circuito neurobiologico del rispecchiamento.
La cosa più interessante, però, è che un ricercatore formatosi nel laboratorio in cui sono stati scoperti i neuroni specchio, di nome Christian Keysers, recentemente ha dimostrato che le persone psicopatiche (quelle persone che compiono atti crudeli senza apparente riguardo per la sofferenza delle proprie vittime) possono “accendere” il circuito dell’empatia a comando. Nell’esperimento di Keysers si è visto che mostrando a questi pazienti dei video in cui qualcuno soffre e registrando l’attività spontanea dei neuroni specchio, effettivamente la loro risposta è quasi nulla, e decisamente inferiore a quella delle persone “normali”. Tuttavia, se solo si domanda loro di empatizzare con il protagonista del video, si ottiene una risposta empatica quasi uguale a quella normale. Il che dimostra due cose: 1) che gli psicopatici hanno una capacità empatica, cioè che il circuito dell’empatia non è “guasto”; 2) che esiste un “interruttore” dell’empatia che, a seconda della nostra propensione all’empatia, in certe condizioni scatta automaticamente mentre in altre può essere “acceso” volontariamente. Il che piacerebbe a Sant’Agostino forse anche più della prima versione, quella basata sul deficit empatico, perché restituisce al problema del male anche la dimensione umana del libero arbitrio; anche se abbiamo una naturale propensione a considerare il bene dell’altro, e dei meccanismi “automatici” di inibizione della violenza, grazie al dono dell’intelletto perseguire il bene diventa una nostra scelta, ed anche una nostra responsabilità.
Per approfondimenti:
Liotti G, Fassone G, Monticelli F: “l’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali”. Cortina 2017.
Sant’Agostino: “La natura del bene”. Bompiani, 2001.
Sigmund Freud: “Al di là del principio di piacere” (1920), in Opere di Sigmund Freud (OSF) vol. 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Torino, Bollati Boringhieri, 1986.
Konrad Lorenz: “il cosiddetto male” (1963). IL saggiatore, 2015.
Desmond Morris: “la scimmia nuda” (1967). Bompiani, 2003.
Simon Baron-Cohen: “La scienza del male” (2011). Cortina, 2012.
Meffert H, Gazzola V, den Boer JA, Bartels AA, Keysers C (2013): “Reduced spontaneous but relatively normal deliberate vicarious representations in psychopathy”. Brain. 2013 Aug;136 (Pt 8):2550-62. doi: 10.1093/brain/awt190.
Keysers C, Gazzola V (2014): “Dissociating the ability and propensity for empathy”. Trends Cogn Sci. 2014 Apr;18(4):163-6. doi: 10.1016/j.tics.2013.12.011. Epub 2014 Jan 28.