“Spesso il male di vivere ho incontrato”

di Caterina Parisio

Il suicidio in adolescenza: i fattori di rischio e il trattamento di disturbi associati con l’autolesionismo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera il suicidio come un problema complesso, non ascrivibile ad una sola causa o a un unico motivo. Questo fenomeno sembra piuttosto derivare da un insieme di fattori biologici, genetici, psicologici, sociali, culturali e ambientali.

Nel 2000 circa un milione di individui ha perso la vita a causa del suicidio, mentre un numero di individui variabile da 10 a 20 volte più grande ha tentato il suicidio. Ciò vuol dire che muoiono più persone a causa del suicidio che per conflitti armati in tutto il mondo e per incidenti automobilistici. In tutte le nazioni, il suicidio è attualmente tra le prime cause di morte nella fascia di età 15-34 anni.

Alcune caratteristiche dello stato mentale della persona a rischio di suicidio e alcuni segnali di allarme possono essere: ambivalenza, manifestare sentimenti contraddittori circa l’idea di suicidarsi; impulsività; rigidità cognitiva, pensare costantemente al suicidio senza riuscire a trovare/considerare altre soluzioni.

Nello specifico, cosa accade nella mente di un adolescente che pensa al suicidio?

Le particolari caratteristiche dell’adolescenza fanno sì che questo periodo di vita, connotato da una peculiare vulnerabilità psicologica, sia particolarmente a rischio di profonde sofferenze e turbamenti emotivi. È certo comunque che si rintracciano fattori psicologici, individuali e contestuali, più o meno tra loro connessi, i quali supportano momenti predisponenti e scatenanti.

Il fenomeno del suicidio in adolescenza sembra essere in allarmante crescita: dall’analisi di alcune ricerche del 2016, è emerso che un ragazzo su 13 ha tentato il suicidio, il 30% lo ha pianificato. I metodi più utilizzati in Italia sono impiccagione (54,5%), armi da fuoco, defenestrazione e attualmente in crescita anche il metodo di ingestione di farmaci.

Il fattore di rischio più importante sembra essere rappresentato dalla depressione: circa il 50-75% di bambini e adolescenti che si suicida ha un disturbo dell’umore, più comunemente una depressione maggiore.

Altri comuni campanelli di allarme sono il ritirarsi dalle attività, calo del rendimento scolastico, pensieri depressivi (comunemente presenti nell’adolescenza e che rispecchiano il normale processo di sviluppo del giovane che inizia a riflettere sui problemi esistenziali) da cui il ragazzo non riesce a distogliersi.

Dagli studi di suicidologia è emerso che i tentatori di suicidio mostrano una maggiore rigidità cognitiva, che determina una ridotta capacità nel risolvere i problemi. Ne risulta che il comportamento suicidario potrebbe essere strettamente correlato ad una incapacità di generare soluzioni alternative alle proprie problematiche. Gli adolescenti che hanno tentato il suicidio si suppone utilizzino un minore numero di strategie di coping di fronte a situazioni di rischio o eventi che possono innescare i tentativi di suicidio o il suicidio.

I fattori protettivi possono essere suddivisi in interni ed esterni: dalla capacità individuale di attuare risposte adeguate di fronte a situazioni piene di sofferenza, frustranti, stressanti (strategie di coping, resilienza) alla presenza di un adeguato supporto sociale, le persone adulte più vicine a cui si è legati con una relazione positiva e di fiducia (genitori, familiari, insegnanti, allenatori, ecc.).

L’ambiente familiare resta uno dei luoghi in cui si attua la prevenzione primaria del suicidio perché buone relazioni familiari caratterizzate da calore e affetto da capacità di cura adeguate, accompagnate da un’attenta attività di sostegno e supervisione sono riconosciuti come alcuni tra i più importanti fattori protettivi.

Per quanto riguarda il trattamento dell’adolescente che ha tentato il suicidio, è necessario sottolineare che le cure mediche devono essere considerate solo il primo passo. Non basta, infatti, far tornare a vivere una persona che ha cercato di morire, ma è necessario metterla in condizione di desiderare di vivere anziché di morire.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) presenta caratteristiche che la rendono particolarmente utile nel trattamento degli adolescenti che hanno tentato il suicidio. In primo luogo, la parte cognitiva della CBT comprende molte tecniche per affrontare le cognizioni negative come la hopelessness. In secondo luogo, la componente comportamentale della CBT comprende alcune tecniche che possono essere impiegate per aiutare l’adolescente a superare le problematiche sociali e personali che di solito si associano all’autolesionismo in questi gruppi di età. Tecniche quali il problem solving interpersonale e la facilitazione della comunicazione sono parte integrante di molti programmi CBT. In terzo luogo, le terapie cognitivo-comportamentali costituiscono un trattamento efficace per quei disturbi psichiatrici che sono strettamente associati con l’autolesionismo deliberato, quali la depressione.

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