di Barbara Basile
Le neuroscienze mostrano come la psicoterapia intervenga sui circuiti cerebrali sottesi a specifici disturbi psichici
Gli effetti di una psicoterapia su una persona si possono misurare in diversi modi: da una parte ci sono i classici strumenti soggettivi, come i questionari, rilevabili dal paziente e dal terapeuta; dall’altra è possibile individuare eventuali cambiamenti sul piano neurobiologico.
Sempre più ricerche, nell’ultimo ventennio, si sono concentrate sugli effetti neurobiologici delle cure psicologiche e diversi studi hanno dimostrato, abbastanza inequivocabilmente, che i cambiamenti che un individuo raggiunge sul piano emotivo, comportamentale, cognitivo e sociale, hanno delle conseguenze anche sul suo cervello.
È tautologico che i processi mentali abbiano un substrato neurobiologico e che, modificando i primi, si intervenga anche sul secondo.
Sinora, oltre trenta ricerche pubblicate su riviste scientifiche internazionali hanno utilizzato le metodiche più all’avanguardia (per esempio PET, RM, SPECT), per indagare le modificazioni dei meccanismi neurobiologici a seguito di un intervento psicoterapico applicato a disturbi come la depressione, il disturbo da attacchi di panico, il disturbo ossessivo-compulsivo e alcuni disturbi di personalità.
Il primo studio risale all’inizio degli anni Novanta e mise a confronto gli effetti sul cervello di una psicoterapia e di un intervento farmacologico in pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). In seguito, molte altre ricerche hanno indagato questo argomento e i risultati, spesso sovrapponibili, hanno rivelato la presenza di alterazioni cerebrali a seguito di interventi psicologici e farmacologici, evidenziando spesso delle differenze tra i due tipi di intervento. Quello che è ancora più interessante è come alcuni studi sugli effetti neurobiologici della psicoterapia abbiano, addirittura, permesso di ricostruire dei modelli che spiegano i meccanismi nascosti dietro interventi specifici. Per esempio, gli interventi di tipo cognitivo-comportamentale, mirati a migliorare le capacità di problem solving, di consapevolezza del proprio funzionamento o la regolazione delle emozioni, avevano effetti specifici diversi rispetto ad altri tipi di trattamento. Intervenire sul miglioramento delle abilità coinvolte nel controllo cognitivo in pazienti affetti da depressione normalizzava il funzionamento delle aree cerebrali prefrontali, comunemente coinvolte in questo tipo di processo. Di contro, l’utilizzo dei soli farmaci antidepressivi sembra intervenire direttamente sull’amigdala, un’area cerebrale profonda coinvolta nella generazione di emozioni negative, lasciando invece inalterato il funzionamento prefrontale. Analogamente, i pazienti con attacchi di panico solitamente presentano una deattivazione a livello delle aree frontali e una iperattività nella amigdala e nell’ippocampo, una struttura contigua alla precedente. Dopo un intervento psicoterapeutico efficace, i pazienti hanno mostrato una normalizzazione nel funzionamento cerebrale in queste aree, con una riattivazione frontale e una riduzione della precedente accentuata attività limbica. Anche nel disturbo di personalità borderline, caratterizzato da una iperreattività sul piano emotivo anche di fronte a stimoli neutri, si è osservata una riduzione della risposta emodinamica in alcune aree cerebrali come l’insula, il cingolo anteriore e le cortecce temporali e cingolata, dopo un intervento psicologico efficace.
Altri studi si sono concentrati sulle modificazioni, riscontrabili in seguito a un intervento psicoterapico efficace a livello molecolare. Anche in questo caso, i primi dati indicano che la psicoterapia può intervenire sull’espressione genica e che questo è possibile proprio grazie al processo di apprendimento, che ha luogo durante questo tipo di percorso. L’acquisizione di nuovi modi di pensare o agire altererebbe la forza di alcune connessioni sinaptiche tra le cellule e questo a sua volta modifica la morfologia, cioè la struttura, neuronale. Anche in questo caso, gli studi hanno mostrato che tali modifiche possono essere diverse in base al tipo di intervento: per esempio, la farmacoterapia sembra avere delle conseguenze diverse, rispetto alla psicoterapia, su tali modificazioni morfologiche.
Concludendo, sebbene ancora agli albori di questo tipo di indagine, sembra che l’intervento psicoterapico influisca su diversi circuiti cerebrali, sia a livello macroscopico che in termini molecolari e che queste modificazioni siano alquanto diverse rispetto a una cura di tipo farmacologico.
Per approfondimenti:
How Psychotherapy Changes the Brain, Hasse Karlsson
I modelli neuropsichiatrici del Disturbo Ossessivo-Compulsivo, B. Basile, M. Saettoni, F. Mancini. In: a Cura di Francesco Mancini. La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo compulsivo (2016). Raffaello Cortina Editore.
Parole chiave: psicoterapia, cambiamento, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo borderline di personalità, depressione, neuroscienze, neuro-immagini