Riuscire a navigare nella propria vita, esplorando credenze e convinzioni nuove, ci aiuta a capire cosa ci guida e ci permette di decidere: continuare a lasciarsi guidare o prendere in mano il timone?
A volte capita di ascoltare i pazienti iniziare una prima seduta con: “Non capisco, io sono una persona fortunata, proprio ora che ho tutto, che sono una persona felice, perché mi sta capitando tutto questo?”; altri, invece, riferiscono di conoscere molto bene il loro problema e di sapere come risolverlo, ma di stare comunque molto male.
Spesso, queste persone sono spinte a iniziare un percorso terapeutico da una emotività nuova e a volte sconvolgente, mai sperimentata prima, ma non per questo sbagliata o “cattiva”.
Lavorare con loro è come ricostruire pian piano un puzzle i cui tasselli sono le esperienze, i comportamenti.
Cosa guida il paziente in questa costruzione e può aiutare, lui e il terapeuta, a capire quale possa essere l’immagine finale da costruire?
Sicuramente, a questo livello, giocano un ruolo centrale le emozioni e i pensieri del paziente che, accompagnato dalle domande del terapeuta, inizia a selezionare alcuni pezzi per comporre il suo puzzle, finché l’esplorazione si concluda e l’immagine sia chiara ai suoi occhi.
È ciò che accadeva al Signor M, frenato dalla paura del giudizio e dalla difficoltà a gestire i sensi di colpa, causati dalla prospettiva di una eventuale separazione dalla moglie, con cui viveva da più di vent’anni.
M, non era mai stato fedele nei vent’anni di matrimonio e si sentiva legittimato a tradire la propria moglie con la quale non aveva mai avuto rapporti sessuali, da una sorta di tacito accordo: lei era libera di non superare la sue difficoltà sessuali e lui poteva provvedere al suo bisogno con altre donne, purché tornasse a casa.
Tutto cambiava, però, quando il signor M perdeva la testa per una donna, inizialmente una delle tante con cui aveva avuto un flirt, conosciuta alcuni mesi prima del nostro appuntamento.
L’immobilità di M nel prendere una decisione nei confronti di sua moglie e del proprio matrimonio, lo spingeva, per la prima volta nella sua vita, a sperimentare forti stati di ansia con attacchi di panico, risolti solo con l’interruzione di quella che ormai era diventata una storia extraconiugale, per lui desiderata ma maledetta.
Tale rottura e il conseguente allontanamento dalla donna lo portava, però, a sperimentare dei forti stati di vuoto e una depressione che lo spingeva ad iniziare prima una cura farmacologica e, solo dopo alcuni mesi, una psicoterapia.
M si sentiva in colpa all’idea di dovere lasciare la casa, perché questo rappresentava per lui un modello sbagliato di uomo, padre e genitore. Egli credeva che “chiunque lascia la propria casa, dove vive con la propria moglie e i propri figli, è un egoista che pensa solo al suo bene e, così facendo, crea problemi non solo alla donna che ha sposato, ma soprattutto al figlio, modificando una quotidianità e degli equilibri indispensabili per il benessere del bambino”.
M, infatti, nei vent’anni di relazione, aveva rinunciato a una paternità biologica, nonostante ne sentisse il bisogno costante anche dopo l’adozione di una bambina.
Il sistema di valori e le credenze dell’uomo, sul tema della famiglia e sul ruolo di padre e di genitore, lo spingevano continuamente a fare dei passi indietro rispetto alla possibilità di separarsi da sua moglie, ma lo stato di tristezza e i sentimenti di vuoto, dovuti all’allontanamento dalla sua Circe, lo spingevano a ricercarla.
Il Sig. M era vittima del suo stesso conflitto, di cui ormai era consapevole: “Lascio mia moglie e abbondono i modelli, i valori, le credenze, i “tabù” (come lui li definiva) e provo a gestire gli stati emotivi di ansia e di colpa che ne derivano, o resto ancorato a questi, tranquillo ma infelice?”
Come accade in molte storie, il sig. M è riuscito a fare una scelta e risolvere il conflitto, solo dopo che l’immagine delle credenze che lo tenevano unito alla moglie era chiara ai sui occhi e solo dopo avere chiaro nella sua testa i pezzi del puzzle costruito e la logica con cui venivano posizionati.