Perché piacere e felicità non sono la stessa cosa

di Maurizio Brasini

In cosa consiste la felicità? In quale direzione bisogna procedere per andarla a cercare?

Nel VII Forum sulla formazione in psicoterapia, tenutosi ad Assisi a metà ottobre, un gruppo di allievi del secondo anno della SPC (Scuola di Psicoterapia Cognitiva) di Roma, coordinato dalla dr.ssa Claudia Perdighe, ha affrontato un tema di ampio respiro filosofico, con importanti ricadute sul modo di concepire gli obiettivi della terapia: il tema della felicità.

La ricerca della felicità nella cultura occidentale è considerata un diritto inalienabile (è persino citata nella costituzione degli USA). E non vi è dubbio che chi si rivolge ad uno psicoterapeuta nutra l’aspettativa di uscire da una condizione soggettiva di sofferenza e possibilmente essere più felice. Ma in cosa consiste la felicità? In quale direzione bisogna procedere per andarla a cercare?

Il punto di vista più accreditato è che la felicità consista nell’eliminazione della sofferenza ovvero nel conseguimento del piacere; il benessere è concepito come uno stato al quale tendere. Questo punto di vista ha antiche origini filosofiche ed è saldamente radicato nelle origini del pensiero della psicoterapia moderna; basti ricordare che Freud ha incentrato la sua visione dell’uomo sulla ricerca del piacere. Ai giorni nostri, a completare il quadro, si è affermata una concezione che a partire dagli anni ’80 era stata scherzosamente definita “edonismo Reaganiano”, una deriva neo-liberista e individualista incentrata sul soddisfacimento egoistico dei propri bisogni in un contesto competitivo.

Ma esiste un altro punto di vista che, nella storia del pensiero occidentale, può essere fatto risalire agli antichi Greci (in particolare, ma non solo, ad Aristotele), e che viene chiamato “eudaimonico”: letteralmente “buon demone”, che tradotto in un linguaggio attuale significa “essere guidati da una buona coscienza”. In questa prospettiva si considera che la natura umana tenda naturalmente a raggiungere la felicità attraverso la piena realizzazione di sé. In questa realizzazione, assumono particolare rilevanza i valori personali; in pratica, vi è una coincidenza tra felicità e virtù. La felicità non è più considerata come uno stato, ma piuttosto come un processo: camminare sul proprio sentiero.

Da questa concezione, in anni recenti si sta sviluppando un interesse per il benessere soggettivo incentrato sul ruolo delle emozioni positive, che alcuni chiamano “psicologia positiva”; in questo differente approccio al benessere si ravvisano tracce significative del pensiero della cosiddetta psicologia umanista. Il benessere soggettivo è collegato all’impegno e alla capacità di coltivare sé stessi secondo sei dimensioni rilevanti: 1) l’autonomia, 2) la crescita personale, 3) le relazioni interpersonali positive, 4) il controllo degli eventi, 5) l’accettazione di sé, 6) il perseguimento di scopi significativi.

Si noterà che in questa accezione di benessere sono coinvolti significativi aspetti valoriali: l’individuo ha maggiori possibilità di sentirsi bene soggettivamente se si impegna a seguire i propri valori. In pratica, la morale è di sostegno al raggiungimento della felicità (in questa vita, e non in vista di un premio nell’aldilà!). Al contrario, nella concezione edonistica, ad esempio nella declinazione Freudiana, ma soprattutto nella sua deriva attuale, la morale è di ostacolo al soddisfacimento del piacere e quindi alla felicità.

Lo studio esplorativo svolto dal gruppo di allievi SPC di Roma, su un campione di ben 1300 soggetti circa, che hanno partecipato online da diversi Paesi dell’Europa, dell’Asia e del Nord America, si è occupato proprio di questo: la morale è ostacolo o opportunità per la felicità? I risultati suggeriscono preliminarmente che gli standard morali contribuiscono significativamente al benessere soggettivo. Contano anche la capacità di interessarsi al benessere degli altri (prosocialità) e il senso di gratitudine. Per quanto riguarda la psicoterapia, è un’indicazione a favore dell’idea che sia utile sostenere i pazienti in un processo di impegno ad avere degli obiettivi di vita e dei valori, e ad impegnarsi per perseguirli. Conclude la dr.ssa Perdighe: “La trappola è nella ricerca dello stato emotivo “felicità”, nel voler essere felici e criticarsi se non lo si è. Non c’è trappola se ci si impegna a vivere secondo i propri valori morali; la felicità non è cercata, ma ne consegue, intesa chiaramente non come gioia/eccitazione ma come emozione coerente con “mi sento a posto”, “sono soddisfatto di me””.

Per approfondimenti:

Iannucci A, Albanese A, Cascone R, Cirimbilla R, Maravolo R, Mignogna C, Mignogna V, Napoli E, Patriciello M, Pelosi G, Rosini P, Villirillo C, Giacomantonio M, Perdighe C, (2017) “Standard morali: ostacolo od opportunità per la felicità?”. Relazione presentata al VII° Forum della Formazione in Psicoterapia; Assisi, 13-15 Ottobre 2017.

Huta, V. (2015). An overview of hedonic and eudaimonic well-being concepts. In L. Reinecke & M. B. Oliver (Eds.), Handbook of media use and well-being. Chapter 2. New York: Routledge. Manuscript accepted for publication on November 11, 2015.

Seligman, Martin E.P. (2002). Authentic Happiness: Using the New Positive Psychology to Realize Your Potential for Lasting Fulfillment. New York, NY: Free Press.

Zuo S, Wang S, Wang F, Shi X (2017): “The Behavioural Paths to Wellbeing: An Exploratory Study to Distinguish Between Hedonic and Eudaimonic Wellbeing From an Activity Perspective”. Journal of pacific rim psychology, Volume 11, 1-13.

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