di Emanuela Pidri
Manuale Diagnostico Psicodinamico e Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali a confronto
L’esperienza clinica e le ricerche empiriche descritte nel Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) hanno portato all’individuazione di tipi di disturbi di personalità, descritti privilegiando l’esperienza emotiva, cognitiva, sociale e soggettiva del paziente all’analisi dei criteri. Lo scopo del PDM è quello di integrare gli sforzi del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). Considerando le differenze tra i due manuali diagnostici si evince che: il DSM si presenta come una tassonomia di patologie o di disturbi psichici, mentre il PDM come una tassonomia di persone, cioè orientato alla comprensione del funzionamento del singolo individuo; il DSM ha un impianto di tipo categoriale, mentre il PDM mantiene un approccio dimensionale; il DSM propone cluster di sintomi evitando una qualsivoglia attribuzione di significato, con il preciso intento di rimanere ateorico mentre il PDM si colloca esplicitamente all’interno della cornice teorica psicoanalitica, con l’intento di ascrivere significati ai fenomeni osservati e descritti dopo averli identificati e formulati. Lingiardi e Del Corno, nel 2008, affermano che “il DSM è un esempio di diagnosi multiassiale, categoriale e politetica: le sindromi sono intese come categorie presenti/assenti, reciprocamente indipendenti e definite da un numero minimo di criteri. La valutazione del PDM può invece essere considerata multiassiale, multidimensionale e prototipica in quanto cerca di prendere in considerazione sia le sindromi cliniche sia l’esperienza soggettiva del paziente; il profilo globale del funzionamento mentale e le sue singole funzioni, lo stile di personalità, le sue basi strutturali e la sua funzionalità globale nel contesto di vita del soggetto”. Il PDM, quindi, se da un lato si pone criticamente rispetto al DSM, allo stesso tempo sembra proporsi come uno strumento di valutazione diagnostica complementare che origina, anch’esso, dalla ricerca empirica. Le edizioni del DSM si sono imposte maggiormente a livello internazionale poiché, soprattutto a partire dal DSM-III, sono molto più attendibili per la presenza di precisi criteri diagnostici. Tuttavia, sono presenti problemi metodologici della diagnostica psichiatrica: 1) validità e attendibilità; 2) sistema categoriale versus sistema dimensionale; 3) sistema politetico versus sistema monotetico. La validità di una diagnosi si riferisce alla sua capacità di riferirsi effettivamente a una determinata malattia, entità o costrutto sottostante, mentre la attendibilità indica soltanto il grado con cui operatori diversi concordano su una diagnosi. A questo proposito, va ricordato che i DSM hanno accresciuto in maniera sostanziale solo la attendibilità diagnostica, ma non la validità delle diagnosi stesse. Un altro interessante problema della diagnosi è se classificare le malattie utilizzando categorie o dimensioni. Utilizzare categorie significa suddividere le malattie mentali appunto in categorie diagnostiche in linea con la tradizione della medicina e della psichiatria kraepeliniana e neo-kraepeliniana. Utilizzare dimensioni, invece, significa distribuire le malattie secondo variazioni quantitative (relative alla gravità del disturbo, alla personalità, alla percezione, alla cognizione, alla tonalità dell’umore, ecc.) distribuite in un continuum che va fino alla normalità. I DSM hanno optato per l’approccio categoriale, perché più pratico mentre il PDM riconosce l’importanza dell’approccio dimensionale. Infine, di notevole importanza è il tipo di approccio polittico per cui i pazienti con una determinata diagnosi hanno in comune alcuni criteri diagnostici tutti di ugual valore ponderale: al contrario, uno o più criteri diagnostici devono essere obbligatoriamente presenti per fare diagnosi. Nelle vigenti classificazioni, comunque, come si procede verso un livello di maggiore specificazione diagnostica, si passa gradualmente e inevitabilmente da un approccio di tipo categoriale ad uno dimensionale.
Per approfondimenti:
American Psychiatric Association (1980). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3rd edition, revised. Washington: American Psychiatric Press. Ed.it.: DSM-III-R. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Milano Masson, 1983.
American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4-TR edition, revised. Washington: American Psychiatric Press. Ed. It: DSM IV- TR Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Milano Masson, 2001.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th edition, revised. Washington: American Psychiatric Press. Ed it: DSM V Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Milano Raffaello Cortina, 2014.
Helzer J.E. Et Al., (2008). Dimensional Approaches in Diagnostic Classification. Refining the Research Agenda for DSM-V. American Psychiatric Association, Washington, DC.
Herzing A., Licht J. (2006). Overview of empirical support for the DSM symptom-based approach to diagnostic classification. In PDM Task Force (2006)Psychodynamic Diagnostic Manual. Silver Spring, MD: Alliance of Psychoanalytic Organizations , pag. 663-690.
Lingiardi V., Del Corno F., (2008). PDM. Manuale diagnostico psicodinamico. Cortina Raffaello
Rossi R, Rosso A.M., (2007). Il PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual): unaclassificazione con criteri diagnostici psicodinamici. In POL.it, www.priory.com/ital/rossirosso2007.htm.