Tutta “colpa” di Freud e non solo!

di Annalisa Bello

 Un recente studio ha cercato di gettare luce sul ruolo della rabbia e dell’aggressività latente nel Disturbo Ossessivo Compulsivo. Si sarà riusciti nell’impresa?

Da sempre calamitante l’attenzione e la curiosità dei clinici, il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) non ha mancato a solleticare anche la mente freudiana che interpretava la spiccata moralità di questa categoria di pazienti come l’esito di una formazione reattiva a impulsi aggressivi e erotici repressi. Un’aggressività così prorompente da dover essere celata, insomma. In linea con le assunzioni di Freud, alcuni studi riportano punteggi elevati a misure self-report (autosomministrate) di rabbia in soggetti con sintomatologia ossessiva rispetto a quelli di controllo. L’intrigante accoppiata tra la rabbia e il DOC parrebbe assumere particolare rilevanza nella categoria dei checkers (controllori), sebbene le evidenze a tal riguardo sembrino essere contrastanti. All’interno di questo background alquanto confondente, sembrerebbe esserci un imputato: le misure self-report il cui svantaggio sarebbe proprio la scarsa puntualità dei resoconti soggettivi, inficiati ulteriormente da variabili come la desiderabilità sociale. La pensano così Claus e collaboratori che, in uno studio pubblicato su Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry nello scorso gennaio, hanno cercato di gettare luce sull’aggressività latente nel DOC, indagandola attraverso misure più implicite e affidabili, come l’Implicit Association Test (IAT). Gli autori si aspettano, infatti, di confermare la presenza di elevati tratti di aggressività in pazienti DOC rispetto ai controlli. A tal fine, hanno reclutato 58 pazienti con DOC e 28 partecipanti sani i quali, dopo un’iniziale fase di valutazione, atta a validare la diagnosi di DOC, erano chiamati a svolgere il compito sperimentale. Nella fattispecie, i partecipanti allo studio erano chiamati a svolgere un compito di doppia categorizzazione veloce di stimoli appartenenti a quattro categorie: ogni soggetto doveva associare, in tempi rapidi, parole non aggressive a se stesso e parole aggressive alla categoria “altro”; poi le coppie venivano invertite e la categorizzazione era in termini di “io/aggressivo” contro “altri/non aggressivi”.

Sorprendentemente per gli autori, i pazienti con DOC palesavano una rappresentazione di sé meno aggressiva rispetto ai controlli, come confermato ulteriormente dal pattern di correlazioni negative tra il test che misurava la sintomatologia ossessiva e il compito sperimentale, in linea con la fetta di letteratura che, ricorrendo a misure self-report, non aveva osservato il freudiano connubio tra aggressività e DOC. Le inaspettate risultanze hanno messo alla prova gli autori che hanno posto una riflessione: se da un lato la “scomoda” evidenza potrebbe essere dovuta a una differenza tra l’appraisal (valutazione) personale sull’aggressività dei pazienti ossessivi rispetto a quelli di controllo, dall’altro la chiave di volta, secondo Claus e collaboratori, risiederebbe nel senso di responsabilità inflazionata tipica del DOC, che porterebbe i pazienti a neutralizzare con le compulsioni i pensieri ossessivi associati a dannosità per sé o per gli altri. In tal senso, la rabbia e l’aggressività sarebbero gli esiti di un’opera di neutralizzazione non pienamente riuscita. O, ancora: l’aggressività del DOC potrebbe essere più congrua con concetti relati a un pattern più covert (non manifesto) e non esplicito come quello ritratto dalle parole target utilizzate nel compito. Oppure potrebbe essere che, sempre a detta degli autori, il medesimo senso di responsabilità inflazionata abbia portato i pazienti ossessivi ad aderire responsabilmente alla consegna sperimentale di svolgere il compito correttamente e nel minor tempo possibile.

Non resta che chiedersi: ma perché stupirsi tanto? Non risiede forse altrove il nucleo psicopatologico del DOC?

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