Hikikomori: la vita in una stanza

di Brunetto De Sanctis

Una nuova e grave forma di ritiro sociale descritta inizialmente in Giappone trova riscontro anche in Italia, con una stima di circa centomila casi

La nozione di eremita o recluso è esistita in molte culture da tempo immemorabile. Tuttavia, in Giappone negli ultimi anni è stata identificata una sindrome particolarmente grave di ritiro sociale, che ha raccolto l’interesse dei ricercatori e dei clinici del mondo della salute mentale: con il termine “hikikomori” è stato definito un fenomeno in cui le persone diventano dei reclusi nelle loro case, evitando varie situazioni sociali (ad esempio scuola, lavoro, interazioni sociali, ecc.).
Tamaki Saito, lo psichiatra che ha reso popolare questo termine, definisce gli hikikomori come persone che diventano reclusi nella propria casa per almeno sei mesi, con un inizio dalla seconda metà della terza decade di vita e con una maggior percentuale di persone di sesso maschile. Nello specifico, il Ministero della Salute giapponese pone cinque criteri per l’identificazione di questa grave forma di ritiro: uno stile di vita centrato a casa; nessun interesse o volontà di frequentare la scuola o il lavoro; la persistenza dei sintomi oltre i sei mesi; l’esclusione della schizofrenia, del ritardo mentale o di altri disturbi mentali; tra quelli che non hanno interesse o voglia di frequentare la scuola o il lavoro, quelli che mantengono relazioni interpersonali (ad esempio amicizie) devono essere esclusi dall’essere considerati hikikomori. Spesso nella storia di vita queste persone sono presenti eventi traumatici vissuti nel periodo scolastico (bullismo) oppure vivono in contesti socio-economici precari con crisi del mercato del lavoro. Risulta ancora molto dibattuto se questo fenomeno abbia un’entità diagnostica a sé oppure sia un quadro di ritiro sociale contestualizzabile in altri disturbi psichiatrici come fobia sociale, depressione, disturbo della personalità evitante. Lo studioso Alan Robert Teo, insieme con alcuni colleghi, ha effettuato uno studio in cui ha messo in evidenza come questo fenomeno sia presente non solo in Giappone ma anche in altre nazioni sia orientali sia occidentali. L’autore, per differenziare questo fenomeno da altre diagnosi psichiatriche, ha utilizzato i seguenti criteri di identificazione: passare la maggiorparte del giorno, per quasi tutti i giorni a casa (da almeno sei mesi); evitamenti della scuola o del lavoro (da almeno sei mesi); evitamento delle relazioni sociali come amici o familiari (da almeno sei mesi); sperimentare un distress significativo o un forte limitazione a seguito dell’isolamento sociale. Il trattamento terapeutico dell’hikikomori spesso comporta una combinazione di psicoterapia e terapia farmacologia. Tra gli interventi utilizzati ad oggi, vi sono: il parent training, il trattamento di esposizione per aumentare gradualmente il contatto sociale, la terapia di gruppo con persone con la stessa problematica e tecniche di psicoterapia focalizzate sul trauma infantile. Per coloro che sono completamente reclusi, il primo passo di solito comporta visite domiciliari ripetute con l’obiettivo di “estrarre” l’hikikomori dalla stanza. Sicuramente nel futuro sarà utile specificare al meglio questo fenomeno per identificarlo, eventualmente, come una diagnosi, e analizzare gli interventi maggiormente efficaci nel trattarlo.

 

Per approfondimenti:

Teo A.R. (2010). A New Form of Social Withdrawal in Japan: A Review of Hikikomori. Int J Soc Psychiatry. March ; 56(2): 178–185.

Saito, T. (1998). Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending adolescence). PHP Shinsho; Tokyo.

Teo A.R., Fetters M.D., Tateno M., Balhara Y., Choi TY., Kanba S., Mathews C.A. and Kato T.A. (2015). Identification of the hikikomori syndrome of social withdrawal: Psychosocial features and treatment preferences in four countries. Int J Soc Psychiatry. February ; 61(1): 64–72.

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