Vivere nel paradosso di una perdita ambigua
Qual può essere il vissuto di una persona che vive una rottura relazionale, fisica o psicologica, quando tuttavia la persona amata non è andata via completamente?
Nella letteratura, si fa riferimento a questa condizione con l’espressione “perdita ambigua”, intendendo un’esperienza di sofferenza irrisolta che si può sperimentare nel caso di una perdita non chiara, ancora in corso, che continua senza chiusura. In questo ambito la ricerca psicologica inizia negli anni Settanta con le famiglie di piloti scomparsi e con quelle di veterani con malattia di Alzheimer, estendendosi poi a tutti i casi in cui una persona amata è fisicamente assente ma psicologicamente presente e viceversa (ad esempio cari scomparsi in guerra, in disastri naturali, per incidenti, rapimenti, migrazioni, casi di divorzi, anziani in casa di cura o giovani adulti che escono di casa, adozioni, demenze, malattie mentali croniche o presenza di un proprio caro che soffre di dipendenze).
Facciamo un esempio. Il marito di Ruth è sopravvissuto a un forte ictus, anche se ha riportato perdita di memoria e compromissione cognitiva, scivolando, con il passare degli anni, sempre più nella demenza. Ruth ha continuato a prendersi cura di lui, ma spesso sente un profondo dolore e tristezza come se ci fosse stata una morte. Eppure si sente in colpa, perché suo marito è ancora vivo. Ha emozioni contrastanti e dubbi su come sentirsi, sulla sua identità: è una donna sposata ma è sola, costantemente in lutto.
Condizioni come queste generano confusione, dubbi, ansia, tristezza o addirittura sintomi depressivi persistenti. In questo contesto di dubbio, la speranza per il ritorno della persona perduta continua, in quanto mancano le informazioni necessarie a consentire la trasformazione e il cambiamento, dare significato alla perdita e permettere la risoluzione del lutto.
Gli effetti di una perdita ambigua possono coinvolgere l’intera famiglia, portando a svariate conseguenze: la confusione e l’ambivalenza possono influire sulla capacità di prendere decisioni e di comunicare in modo efficace; la mancanza d’informazioni può portare i membri a percepire la situazione in modo diverso; il vissuto d’incomprensione per la propria condizione può aumentare la riluttanza a raggiungere gli altri (individui, famiglia, comunità) per ricevere supporto fisico ed emotivo. Ne conseguono conflitti e fratture, maggiore isolamento e mancanza di sostegno reciproco. Aiutare le famiglie e gli individui a trovare significato e speranza in tale confusione rappresenta una sfida importante per una gestione efficace del disagio e della perdita.
Da un punto di vista terapeutico, l’obiettivo diventa il lavoro sulla resilienza, la capacità di persistere nel perseguire obiettivi importanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà.
I clinici e i ricercatori che si sono occupati dell’argomento descrivono quali sono i punti salienti dell’intervento: aiutare le persone a trovare un significato alla perdita subita, favorendo così l’inizio del processo di coping; dare un nome al problema, informando sulle caratteristiche della perdita ambigua e fare in modo che famiglie e individui ne parlino insieme, in quanto l’isolamento, così come la rabbia e il desiderio di vendetta, può ostacolare la capacità di dare un senso a ciò che si sta vivendo; insegnare abilità che permettano di fronteggiare i sentimenti d’impotenza e di lasciar andare ciò che non si può controllare; aiutare i pazienti a ricostruire la propria identità; normalizzare le emozioni contrastanti (è normale che individui e famiglie si sentano arrabbiati anche con la persona scomparsa, e sviluppare sentimenti di colpa per la propria rabbia); aiutare a riscoprire la speranza, investendo in nuove cose pur ricordando quelle vecchie, riorganizzando la propria vita nonostante la confusione e l’incertezza.
Per approfondimenti:
Ambiguous loss: A complicated type of grief when loved ones disappear. Article in Bereavement Care, August 2014