di Mauro Giacomantonio e Luigi Leone
Cosa ci può dire la psicologia della recente diffusione del populismo in Italia e in molti altri Paesi occidentali?
Un articolo recentemente apparso sull’Economist ha evidenziato che, ad eccezione di uno, tutti i principali partiti delle recenti elezioni politiche possono essere definiti populisti anche se con gradi e caratteristiche diverse.
Il populismo è quindi un componente fondamentale del quadro politico attuale, almeno nella nostra nazione (ma non solo). Alcuni studiosi hanno quindi iniziato a esaminare cosa contraddistingue gli atteggiamenti populisti e le caratteristiche psicologiche che più frequentemente si associano a chi non resiste a questo tipo di ideologia.
Al cuore del populismo si trova una visione “Manichea” della società, divisa in modo netto e senza zone di grigio tra “il popolo puro” e “l’élite corrotta”. Basandosi su questa visione, è possibile distinguere almeno tre elementi essenziali. Il primo è l’anti-élitismo: tutte le élites sono votate a ingannare, sfruttare e sopraffare il popolo. Ovviamente l’élite politica è in prima fila in questo quadro senza sfumature, ma anche altri tipi di élite non vengono risparmiate, come ad esempio gli scienziati e gli intellettuali. Oltre a questo, c’è l’idea che la sovranità popolare non debba risentire di alcuna restrizione e si dovrebbe quindi garantire accesso diretto da parte del popolo alle decisioni più importanti riguardanti la vita sociale. Il volere del popolo, secondo questa visione, dovrebbe dominare sulla costituzione e sulle leggi e non dovrebbe essere mediato da rappresentanti eletti. Infine, l’ideologia populista si fonda sulla credenza che il popolo sia sempre omogeneo e virtuoso. Qualsiasi cosa faccia o voglia, è coeso e si contrappone all’élite corrotta, in modo simile a come fece Robin Hood e i suoi contro il principe John e lo sceriffo di Nottingham.
Esistono varie sfumature di populismo, anche in relazione al contesto nazionale, alcune delle quali sono più vicine all’ideologia di destra. Non a caso il populismo si associa con la tendenza all’autoritarismo. Sappiamo, inoltre, che percepire il proprio gruppo di appartenenza come svantaggiato o in difficoltà aumenta la tendenza ad assumere questo tipo di posizioni. Un ruolo importante viene anche giocato dalla paura e dall’instabilità emotiva.
Per avere un quadro completo della questione, bisogna anche menzionare il fatto che i populisti tendono a credere alle teorie cospirazioniste che si basano proprio sull’idea che ci sia un piccolo gruppo di potenti che manovrano il mondo a discapito del popolo di giusti. Nei casi più benevoli lo fanno diffondendo informazioni false, come nel caso dei cambiamenti climatici. Nei casi peggiori intervengono direttamente influenzando la salute, l’economia, le leggi, i conflitti.
Sembra che il populismo cresca florido nella paura, la paura di un altro che minaccia l’identità, la paura di un futuro incerto e la paura di perdere dei privilegi o, peggio ancora, dei diritti fondamentali.
Ma perché queste paure costituiscono un terreno fertile proprio per questa visione del mondo che ha caratteristiche così specifiche? Una risposta a questa domanda potrebbe forse risiedere nel concetto di “controllo compensatorio”.
L’incertezza che riguarda l’identità, il lavoro e, più in generale, i progetti esistenziali degli individui può essere attenuata da una spiegazione degli eventi e della nostra società che sia ipersemplificata, che non preveda eccezioni o vie di mezzo e soprattutto che attribuisca a una élite “malvagia” la maggioranza dei problemi che affliggono le persone. Questa visione può contribuire a riacquisire quel senso di controllo che è tanto caro agli esseri umani sia per la sua semplicità, sia perché sposta altrove le responsabilità. Anche in questo risiede l’irresistibile fascino del populismo.