Quando l’umore dipende dalla memoria

di Emanuela Pidri

Personalità e bias di memoria nella depressione

I disturbi dell’umore consistono in alterazioni o anomalie del tono dell’umore dell’individuo di entità tale da causare alla persona problemi, disfunzioni persistenti o ripetute, disagio marcato e un disadattamento nella vita sociale, relazionale e lavorativa. Oggi i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia una combinazione multifattoriale in cui convivono influenze genetiche, biologiche, ambientali e psicologiche. In letteratura esistono diversi studi che tentano di spiegare l’eterogeneità della sintomatologia depressiva nonché diverse modalità di elaborazione dell’informazione e diversi bias di memoria. Tra i bias maggiormente studiati vi è il fenomeno dell’overgeneral memory, in base al quale i pazienti depressi hanno difficoltà a rievocare episodi specifici del passato e invece tendono a riportare categorie di eventi, l’evitamento dell’aspetto emotivo, la ruminazione cognitiva e il deficit esecutivo. L’ipotesi di ricerca di Simona Torre e Alessandro Couyoumdjian è di verificare la presenza di bias cognitivi mnemonici quali l’overgeneral memory bias e il bias dei ricordi specifici a contenuto negativo in soggetti depressi, approfondendone lo studio in relazione ai due sottotipi di personalità analclitico e introiettivo di Sid Blatt. Il campione, composto da 30 soggetti, un gruppo di controllo (14) ed un gruppo sperimentale (16), è stato sottoposto a varie analisi. Dall’analisi del Depression Experiences Questionnaire (DEQ) emerge che i soggetti depressi e in remissione sono più numerosi per quanto riguarda l’autocritica rispetto al gruppo di controllo in cui è proporzionale la suddivisione tra personalità autocritiche e dipendenti; l’analisi del Ruminative Response Scale (RRS) evidenzia come la ruminazione, che non è altro che un tratto di personalità, sia maggiormente presente tra i depressi; l’analisi del Center for Epidemioloc Studies Depression Scale (CES-D), che valuta lo stato depressivo presente, mostra differenze significative tra i tre gruppi; l’analisi del Millon Clinical Multiaxal Inventory III (MCMI-III) mostra che i depressi hanno punteggi più alti nelle scale ansia, distimia, disturbo depressivo, disturbi depressivo maggiore; dall’analisi quantitativa e qualitativa dei ricordi emerge che i depressi presentano un netto calo di ricordi episodici con una maggior inclinazione verso i ricordi legati al fallimento e una presenza maggiore dell’overgeneral memory bias, presenza di bias per i ricordi negativi che si esprime attraverso una maggiore vividezza dei ricordi negativi stessi ma anche attraverso una distorta interpretazione dei ricordi ambigui a favore del negativo; l’analisi della  Scale visuo-analogiche (VAS) evidenzia che il gruppo dei depressi sperimenta tristezza, vergogna, colpa e tensione e, infine, l’analisi del battito cardiaco non evidenza differenze significative di attivazione fisiologica nei tre gruppi.
La stretta dipendenza tra memoria e umore è, dunque, dimostrata.
Concludendo, è stata confermata l’ipotesi per cui i soggetti depressi hanno una difficoltà a rievocare ricordi episodici e mostrano un overgeneral memory bias che si esprime attraverso incapacità di focalizzare il ricordo su un singolo evento, ipergeneralizzando i ricordi e riassumendoli. Si è dimostrato il bias per un accesso preferenziale verso i ricordi a contenuto negativo. Rispetto agli scenari futuri di ricerca, sarebbe interessante approfondire il funzionamento del bias categoriale, valutando quanto l’incapacità di accesso a ricordi episodici possa rallentare la guarigione e quanto, allo stesso modo, il focus eccessivo su un passato che continua a presentarsi attraverso flashback sia altrettanto deleterio. Sarebbe utile domandarsi se la personalità di base influisca sul tipo di ricordo evocato. Ci sono almeno due vantaggi del recuperare eventi specifici dalla memoria: può consentire a una persona di pensare su un evento in un modo diverso e, in secondo luogo, l’accesso a memorie specifiche può aiutare nella pianificazione e nell’apporto di modifiche verso un comportamento futuro.

Per approfondimenti:

Torre S. e Couyoumdjian A. (2017). Personalità e memoria categoriale nella depressione. Cognitivismo clinico 14,2, 191-221.

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