Abbi cura di te

di Sonia Di Munno

La Compassion Focused Therapy, un nuovo approccio psicoterapeutico per combattere la vulnerabilità alla psicopatologia

Negli ultimi anni, studi sperimentali hanno evidenziato come l’attitudine della persona ad autocriticarsi in maniera disprezzante e invalidante contribuisca al mantenimento della psicopatologia. Una terapia che si focalizza su questa attitudine, verso se stessi e verso gli altri, è la Compassion Focused Therapy (CFT). Tutto nasce da uno studio di Gilbert che aveva notato la resistenza dei pazienti depressi alle tecniche di ristrutturazione cognitiva e della persistenza di pensieri disfunzionali di disvalore, non amabilità e disprezzanti verso se stessi. Questi pazienti, benché razionalmente riuscissero a formulare dei pensieri alternativi a queste credenze nucleari, non riuscivano emotivamente a sentirli veri e autentici e non cambiava la loro sensazione di solitudine e indegnità che li caratterizzava. Gilbert scoprì un sistema di regolazione affettiva particolarmente deficitario in questi pazienti, il soothing system (sistema calmante). Questo sistema raggruppa emozioni positive di sicurezza, tranquillità e appagamento che si sperimentano durante le interazioni affiliative con gli altri. La CFT suggerisce che esperienze infantili di accudimento disfunzionale hanno reso più funzionale, per questi pazienti, un iper-sviluppo del sistema di protezione della minaccia, il threath system (il sistema della paura) di cui il comportamento auto-critico sarebbe una manifestazione a discapito di un normale sviluppo del soothing system.  L’autocritica, secondo Gilbert, non è altro che una strategia di coping (ovvero la modalità di adattamento con la quale si fronteggiano le situazioni stressanti) disfunzionale, che ha avuto origine in un ambiente di sviluppo percepito come imprevedibile, minaccioso, o in cui la sensazione di amabilità viene difficilmente sperimentata. Questa regolazione emotiva tesa a monitorare e punire aspramente gli errori connessi, invece che di incoraggiarsi e di accudirsi, avrebbe il ruolo di mantenere il locus of control interno, cioè la percezione di controllare gli eventi esterni negativi, essendo più attenti a questi, con l’effetto collaterale di darsi la colpa e responsabilità per l’accaduto. Per questo motivo l’autocritica servirebbe come difesa parossistica rispetto alla sensazione di immodificabilità degli eventi negativi esterni accaduti.

L’idea di Gilbert fu proprio di riattivare il soothing system ipostimolato attraverso dei training specifici, conosciuti come “compassionate mind training” (CMT); in questi training si riattiva la capacità motivazionale della compassione, intesa come capacità fisiologica di provare empatia e benevolenza verso le sofferenze di sé e degli altri.

Diversi studi hanno evidenziato che le persone che riescono ad avere verso se stessi un atteggiamento più cordiale, gentile, tollerante, benevolo e compassionevole tendono ad avere migliori rapporti sociali e soffrire meno di ansia, depressione, vergogna e paura di fallire. Inoltre questo faciliterebbe la regolazione emotiva di fronte alle situazioni difficili e diminuirebbe significativamente la ruminazione negativa.

L’auto-compassione è un costrutto psicologico auto-correlato, riferendosi alla capacità di trattare i propri problemi personali, i sentimenti di inadeguatezza e sofferenza con un senso di calore, connessione ed equilibrio. Secondo Neff, l’autocompassione si compone di tre elementi principali: l’auto-gentilezza, che si riferisce alla tendenza a essere premuroso e comprensivo con se stesso quando ci si trova a fronteggiare fallimenti personali, problemi e stress; sorte umana comune, cioè l’inclinazione a riconoscere il fallimento, i problemi e lo stress come normali condizioni umane; infine, la consapevolezza,  la capacità di non essere troppo assorbiti dalle proprie difficoltà e dai sentimenti negativi associati, così da poter mantenere un sano equilibrio tra gli eventi negativi e positivi. Questo costrutto contribuisce alla resilienza e all’adattamento umano di fronte alle avversità ed è correlato con il benessere, in quanto gli individui con livelli più elevati di autocompassione generalmente mostrano livelli più bassi di stress e sintomi psicopatologici. Dal punto di vista fisiologico, è associato a un aumento dell’ossitocina, neuropeptide che fornisce una sensazione di calma e tranquillità e inibisce l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (circuito cerebrale associato alla paura). L’attivazione di questo sistema, inoltre, non solo favorisce una migliore regolazione emotiva ma migliora anche le funzioni immunitarie e la longevità.

 

Per approfondimenti:

Barnard, L. K., & Curry, J. F. (2011). Self-compassion: Conceptualizations, correlates, and interventions. Review of General Psychology, 15, 289–303.

Gilbert, P., e Irons, C. (2005). Focused therapies and compassionate mind training for shame and self-attacking. In P. Gilbert (ed.), Compassion: Concepzualisations, Research and Use in Psychotherapy (pp. 263-325)

Gilbert, P., McEwan, K., Matos, M., & Rivis, A. (2011). Fears of compassion: Development of three self-report measures. Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice, 84, 239–255

Peter Muris e Nicola Petrocchi (2016). Protection or Vulnerability? A Meta-Analysis ofthe Relations Between the Positive and Negative Components of Self-Compassion and Psychopathology. Clinical Psychology and Psychotherapy Clin. Psychol. Psychother.

Zak PG (2012). The moral molecule. Penguin Group, New York

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