Se vado a scuola mamma muore

di Monica Mercuriu

Intervenire sul Disturbo di ansia da separazione del bambino

Giulio, nove anni, è a scuola ma è preoccupato. Inizia a sentire caldo, il cuore batte forte, troppo forte, ha i crampi allo stomaco e non riesce a deglutire. I pensieri sono tutti per la sua mamma: “Se le succede qualcosa? Io non sono a casa, non posso aiutarla… E se va al supermercato e fa un incidente? Potrebbe morire… Sono sicuro che morirà”. Giulio inizia a chiedere alle maestre di poter chiamare la madre, scoppia in lacrime, le maestre non riescono a rassicurarlo che va tutto bene; Giulio vuole vedere la madre e, puntualmente, alle 10.00 va via da scuola.

I bambini come Giulio sono affetti da Disturbo di ansia da separazione, classificato dall’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM5) all’interno dei Disturbi d’ansia. Questo disturbo, infatti, è caratterizzato da un’ansia eccessiva del bambino quando deve separarsi da una figura familiare. Il livello d’ansia è inadeguato rispetto all’età e al livello di sviluppo raggiunto dal bambino stesso e non va confuso con il normale grado di ansia sperimentato dai bambini in età prescolare nei confronti di separazioni reali o temute. Questo disturbo può insorgere precocemente prima dei sei anni, più comunemente durante il periodo scolare e fino ai 18 anni; per porre una diagnosi deve persistere per almeno quattro settimane e non soddisfare i criteri per un disturbo diverso (spettro autistico, schizofrenia, o altri disturbi psicotici).

Le caratteristiche fenomenologiche del Disturbo d’ansia da separazione sono la preoccupazione eccessiva per incidenti che possono capitare a persone care, la paura che vadano e via e non tornino, l’ansia che qualche evento negativo o sfavorevole (smarrimento, rapimento), vissuto come estremamente possibile e reale, possa separare il bambino da persone care.

Pertanto, spesso questi bambini presentano estrema riluttanza ad andare a scuola per paura della separazione, poiché il tempo trascorso distante dalle figure di riferimento è maggiore rispetto ad un’altra qualsiasi attività, come lo sport ad esempio. Sono bambini che difficilmente stanno da soli a casa durante il giorno, anche per pochi minuti, non vanno a dormire senza la presenza dell’adulto e non dormono fuori casa, rinunciando spesso agli inviti dei compagni di classe o a occasioni come le gite scolastiche.

Possono essere presenti brutti sogni, incubi ricorrenti unitamente alla comparsa frequente di sintomi somatici (nausea, vomito, mal di pancia) quando si verifica la separazione ed eccessiva sofferenza (ansia, pianto, collera, tristezza, apatia e ritiro sociale).

Le ricerche su queste disturbo mettono in luce come possano essere presenti dei fattori predisponenti allo sviluppo di un disturbo d’ansia da separazione, quando ad esempio, nella famiglia si sono verificati lutti, malattie gravi di uno dei genitori o lunghe ospedalizzazioni, oppure un cambiamento di residenza o di stato.

Tra i fattori precipitanti, quelli che concorrono all’esordio del disturbo e allo scompenso del bambino sono: pattern di comportamento familiare legate all’ambiguità; genitori che “imbrogliano” i loro figli quando si devono allontanare, con la convinzione che se non vengono visti il bambino piange o protesta di meno, mentre questo atteggiamento alimenta insicurezza, ambiguità e rinforza l’ansia del piccolo; elevata conflittualità all’interno della coppia; presenza di un disturbo d’ansia in uno dei due genitori.
Può capitare che la solitudine non sia una situazione ben gestita da uno dei genitori e che questi possa rimandare al bambino l’idea di non voler stare solo, che è preferibile che lui stia a casa; oppure un genitore ansioso può trasmettere al proprio figlio la convinzione che il mondo sia pericoloso, che potrebbe accadere qualcosa di brutto se si allontana dal nucleo famigliare. Questi e altri fattori contribuiscono a stabilizzare il nucleo ansioso del bambino che, di conseguenza, tenderà a evitare sistematicamente tutte le situazioni che potrebbero mettere in pericolo lui e la sua famiglia.

Nei protocolli d’intervento CBT, oltre al lavoro con il bambino, si consiglia ampiamente il coinvolgimento dei genitori nel processo terapeutico, con lo scopo di favorire la comprensione delle dinamiche interpersonali che si sono create attorno al disturbo, mettere in luce i fattori di mantenimento e utilizzare strategie funzionali per accompagnare il bambino nel lavoro terapeutico.

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