di Barbara Paoli
L’autocontrollo come fattore resiliente
Con il termine “autocontrollo” ci si riferisce, in generale, alla facoltà di regolare comportamenti, pensieri ed emozioni e, più in particolare, alla capacità di frenare gli impulsi e ad adottare comportamenti indesiderati o potenzialmente dannosi e disadattativi.
La pandemia di Coronavirus sta causando migliaia di morti in tutto mondo. Ricerche attuali suggeriscono che la gravità della diffusione del Covid-19 percepita dagli individui è correlata a una serie di reazioni emotive e comportamentali negative.
Nonostante le scarse ricerche attuali, sono stati esaminati i meccanismi sottostanti la percezione di malattia attingendo al modello di rischio-resilienza. Uno studio, in particolare, propone l’autocontrollo come fattore resiliente, che potrebbe moderare l’associazione tra gravità percepita del Covid-19 e problemi di salute mentale. I dati emersi da un sondaggio nazionale cinese, condotto a febbraio scorso su un campione di 4607 partecipanti, sono stati utilizzati per esaminare questa possibilità. I risultati hanno mostrato, dopo aver controllato le variabili demografiche, che la gravità percepita del Covid-19 e l’autocontrollo erano rispettivamente positivamente e negativamente correlati a problemi di salute mentale. Si deduce che l’autocontrollo modera la gravità percepita dell’associazione Covid-19 con problemi di salute mentale. Questi risultati suggeriscono che rispetto a chi ha un alto autocontrollo, gli individui con basso autocontrollo sono più vulnerabili e hanno più bisogno di aiuti psicologici per mantenere la salute mentale durante la pandemia di Covid-19. Questo recente studio mette in evidenza un processo cognitivo importante che sembrerebbe fungere da fattore resiliente in questo periodo storico drammatico: le teorie sull’autocontrollo si focalizzino su elementi e dinamiche diverse, ma sembrano accomunate da ciò che è stato definito come “assunto dell’opposizione”. Il modello chiarificatore di fondo, infatti, rimanda all’idea di un sistema ponderato che oscilla in funzione dei pesi gravanti sulle sue estremità: da un lato si potrebbe situare il sistema affettivo/impulsivo, teso alla gratificazione immediata e all’azione motivata dalle spinte viscerali e dalla reattività emotiva; dall’altro lato graverebbe un sistema cognitivo e razionale che, in sinergia con le altre funzioni esecutive come l’attenzione, la flessibilità cognitiva, la pianificazione e la memoria di lavoro, medierebbe l’effettivo autocontrollo e renderebbe possibile il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine pianificati.
Questo modello esplicativo generale rimanda, peraltro, a diversi aspetti della teoria del prospetto formulata dal premio Nobel Daniel Kahneman, in cui vengono immaginati due sistemi decisionali e di pensiero concorrenti: il Sistema 1, che determina le azioni impulsive e automatiche e il sistema 2, che media le funzioni di valutazione, riflessione, le dimensioni razionali e decisionali. Il Sistema 2 è tuttavia lento, consapevole, molto dispendioso da avviare e mantenere attivo, specialmente in situazioni stressanti.
Gli studi di neuroimmagine suggeriscono un supporto neuroscientifico a quanto detto. In particolare è stato osservato che l’attivazione delle aree prefrontali laterali (sistema razionale/decisionale) correla con la disattivazione funzionale delle aree limbiche (sistema affettivo/impulsivo) e che questa relazione opposizionale si manifesta durante l’esercizio dell’autocontrollo, nell’inibizione di un impulso. Sono dunque utili a migliorare l’autocontrollo tutti gli esercizi e le pratiche che tendono ad attivare e a irrobustire i sistemi cerebrali al centro dei processi cognitivi, volontari e consapevoli, come i training per l’attenzione sostenuta, per i controlli inibitori verso risposte apprese o automatiche e così via. Allo stesso modo sono utili gli esercizi e le pratiche in grado di disattivare i processi emotivi, automatici e impulsivi, come ad esempio l’osservazione consapevole e non giudicante delle emozioni, dei desideri, il decentramento e la defusione dalle emozioni mediata dai training mindfulness.
Il termine inglese “mindfulness” è stato scelto per tradurre “pali” (la lingua indiana delle prime scritture buddiste) e “sati” (consapevolezza, attenzione, ricordo). Si tratta di un training mentale a tre componenti: autoregolazione dell’attenzione (mantenuta sull’esperienza immediata); orientamento attitudinale (curiosità, apertura, accettazione); intenzione, controllo volontario costantemente “ricordato” e con cui si riporta l’attenzione sull’oggetto prescelto ogni volta che interviene una distrazione. Esercitando questi stati e questi processi mentali, la pratica della mindfulness svilupperebbe così le capacità di autoregolazione, di attenzione e la metacognizione, cioè la consapevolezza dei contenuti di coscienza, addestrando peraltro a osservarli in modo non giudicante, senza coinvolgimento. La possibilità di usare l’attenzione per intercettare e riconoscere i processi mentali è la precondizione del controllo del comportamento e la regolazione delle emozioni e dell’impulsività. In questo senso, si potrebbe dire che la mindfulness può allenare la capacità di rispondere agli stimoli in modo riflessivo piuttosto che riflesso.
È stato osservato che la mindfulness, essendo una pratica che interrompe gli automatismi, aiuta ad abbassare i livelli di attivazione fisiologica e dei sintomi somatici. Produce l’attivazione del sistema nervoso parasimpatico, che aiuta la persona a rilassarsi, anche più delle tecniche di rilassamento tradizionale. Le evidenze suggeriscono che la mindfulness è associata a una maggiore flessibilità comportamentale e che ciò si ripercuote positivamente sulla salute, particolarmente importante in un periodo storico come quello odierno.
Per approfondimenti:
Berkmann, E.T. (2018) The neuroscience of self-control, in The Routledge International Handbook of Self-Control inHealth and Well-Being Concepts, Theories, and Central Issues. A cura di Denise de Ridder, Marieke Adriaanse, Kentaro Fujita Routledge, New York, 2018, pp. 112-126.
Castelfranchi, C. (2000) Affective Appraisal vs Cognitive Evaluation in Social Emotions and Interactions. In A. Paiva (ed.) Affective Interactions. Towards a New Generation of Computer Interfaces. Heidelbergh, Springer, LNAI 1814, 76-106.
Kahneman D. (2011). Thinking, Fast and Slow. New York.
Chiesa, A. and Serretti, A. Are mindfulness-based interventions effective for substance use disorders? A systematic review of the evidence. Subst. Use Misuse. 2014; 49: 492–512.