di Miriam Miraldi
Il ruolo della relazione terapeutica in terapia cognitivo-comportamentale
Per favorire il cambiamento atteso da un percorso terapeutico, il terapeuta cognitivo-comportamentale dispone di un’ampia gamma di tecniche, le quali, grazie alla ricerca, stanno diventando sempre più basate sull’evidenza scientifica: tuttavia, questo bagaglio di strumenti è condizione necessaria ma non sufficiente in termini di resa e di efficacia clinica. Il terapeuta è chiamato a una certosina concettualizzazione del caso e, parallelamente, allo sviluppo di una relazione rispettosa, sintonica, aperta, non giudicante, capace di far sentire il paziente accolto in un posto sicuro.
Da queste considerazioni parte il lavoro di Nikolaos Kazantis, professore universitario di psicologia clinica a Melbourne, Frank M. Dattilio, docente presso il dipartimento di psichiatria all’università della Pensilvania, e Keith Dobson, professore di psicologia all’università di Calgary, in Canada: nel volume “La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale”, gli autori sostengono che l’obiettivo ultimo della terapia – e della relazione terapeutica – non è capire come adattare ciascun paziente all’interno di una cornice standard di trattamento, quanto piuttosto modulare il modello, adattandolo ai bisogni del paziente che si ha di fronte.
Il manuale fornisce una panoramica delle principali prospettive che si sono sviluppate sul tema nell’ambito della Terapia cognitivo comportamentale (TCC) e si struttura in tre parti.
Nella prima sezione viene definita la relazione terapeutica come lo scambio tra terapeuta e paziente che si sviluppa nella condivisione di credenze, emozioni, sensazioni ed esperienze del paziente allo scopo di attivare un cambiamento. Secondo l’American Psychological Association, “la relazione terapeutica agisce in concerto con i metodi di trattamento, le caratteristiche del paziente e le qualità del clinico nel determinare l’efficacia dell’intervento”. Il terapeuta è chiamato a effettuare una concettualizzazione del caso – che più è specifica, dettagliata e ricca di informazioni, più è efficace nel comprendere le cause e il mantenimento dei problemi di un paziente – e ad adattare alla relazione tutti quei fattori relazionali cosiddetti “aspecifici”, ovvero non prototipici di un orientamento particolare, quali: l’empatia espressa, che valida l’esperienza emotiva del paziente; l’espressione di considerazione positiva, con affermazioni supportive al paziente; l’alleanza di lavoro come forma di dichiarazione di accordo sugli obiettivi terapeutici; la raccolta strutturata dei feedback dal paziente, basata sulla valutazione dei sintomi che manifesta. A questi vanno aggiunti, invece, i principali fattori “specifici” della TCC, quali: a) la collaborazione, spesso paragonata a un’altalena “saliscendi” che richiede sforzi da entrambe le parti per funzionare. Questo aspetto comprende un lavoro di squadra in virtù del quale si invita il paziente a intraprendere un ruolo attivo, a sentirsi padrone del processo, mentre il terapeuta, mantenendo uno stile non interpretativo, riveste la funzione di guida. Per favorire la collaborazione è auspicabile l’uso di un linguaggio inclusivo (“osserviamo insieme cosa succede quando…”, “potremmo provare”); b) l’empirismo collaborativo, attraverso cui il paziente viene sostenuto nell’adottare un metodo “scientifico” per valutare le proprie credenze e “metterle alla prova”; c) il dialogo socratico. Socrate sosteneva: “Io non posso insegnare niente a nessuno, posso solo farli pensare”. All’interno della TCC il metodo socratico è sia tecnica che fattore relazionale specifico: il dialogo socratico, o dialettico, rappresenta una modalità “maieutica” (ovvero che supporta nel “tirar fuori” contenuti interni) di porre domande. Il terapeuta favorendo controesempi, falsificazioni e strategie paradossali come la reductio ad absurdum, facilita la scoperta sul modo del funzionamento del paziente, sulle sue strategie e schemi mentali che a volte possono essere disfunzionali, o poco utili, per il suo benessere psicologico e relazionale.
La psicoterapia è per definizione un processo interpersonale in cui anche la natura delle personalità che interagiscono dà la forma al percorso terapeutico. La parte centrale del manuale illustra proprio come assimilare nell’azione terapeutica gli interventi focalizzati sul comportamento, quelli focalizzati sulla cognizione, gli “esperimenti” cognitivi e comportamentali, fino a sottolineare l’importanza degli homework, ovvero di quei “compiti” non banalmente assegnati ma concordati tra terapeuta e paziente, e che quest’ultimo può impegnarsi a realizzare fra una seduta e l’altra, garantendo in tal modo continuità al suo percorso trattamentale. È importante che il paziente porti avanti queste esperienze tra una seduta e l’altra non per compiacere o per non deludere il terapeuta, ma perché si sente attore del suo percorso di cambiamento.
Nell’ultima sezione del libro gli autori sottolineano l’importanza sia di una pratica professionale deontologica, etica e non discriminante, che della peculiare competenza che il terapeuta deve esercitare nell’essere consapevole, riconoscere e gestire le proprie reazioni emotive e cognitive che si potrebbero attivare all’interno dello scambio relazionale sia col paziente singolo, che all’interno di interventi con coppie, famiglie e gruppi.
Per approfondimenti
Kazantis, N., Dattilio, F.M. e Dobson, K.S. (2019). La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale. Manuale per il professionista. Giovanni Fioriti Editore