“La legge morale dentro di me”: il disgusto come euristica 

di Irene Tramentozzi e Erika Cellitti
a cura di Brunetto De Sanctis

Il disgusto è una delle sei emozioni di base identificate da Charles Darwin, in quanto universale e presente in ogni cultura. Molti autori si sono occupati di identificare gli specifici correlati cognitivo-motivazionali di tale emozione, Castelfranchi e Miceli (2018) propongono innanzitutto che per l’identificazione del disgusto come emozione in quanto tale è necessario che la reazione fisiologica agli stimoli avversivi sia ri-simbolizzata cognitivamente, cioè gli venga attribuito un significato che gli fornisca una valenza affettiva. I due autori identificano inoltre la dimensione del disgusto “morale” sperimentata quando chi è responsabile di un illecito morale viene giudicato come non conforme allo standard di essere umano, pertanto verrà disumanizzato.

R.W. Fischer, avanza l’ipotesi che il disgusto, nella sua componente morale, possa svolgere la funzione di euristica, quest’ultima va intesa come una modalità di ragionamento che esula da quello logico e si basa sull’utilizzo di pensieri rapidi e veloci al fine di giungere a conclusioni pratiche ed “economiche”. Per rendere plausibile la funzione del disgusto come euristica, è necessario avvalersi di un modello teorico che forgi un legame tra disgusto e moralità. Secondo Alexandra Plakias, docente associata in Filosofia all’Hamilton College, il disgusto morale è legato a due aspetti: varia in base alla cultura di riferimento che definisce quanto le persone siano inclini al disgusto e quali azioni trovino disgustose e, in ultimo, quale peso il disgusto assuma nella formulazione del giudizio morale. Per provare tale emozione è necessario che l’atto sia ritenuto, oltre che immorale, anche come potenziale “patogeno sociale”, cioè come fonte di contagio che aumenta la probabilità di agire in modo simile. Il “contagio sociale” non sempre è negativo (si pensi ad esempio al contagio di emozioni positive, come la felicità), ma per quanto riguarda il disgusto, essendo questo associato a trigger negativi, viene posto sotto una luce sfavorevole. Dalla teoria della Plakias si assume pertanto che il disgusto possa fungere da “barriera protettiva” poichè attiva condotte di evitamento dell’azione giudicata come contaminante rispetto alla propria condotta.

Nello specifico, l’euristica del disgusto è per Fischer, guidata dall’assunto che “se X è disgustoso e non faremmo X, allora X è moralmente sbagliato” e questa affermazione viene chiamata dall’autore “visione euristica”. La clausola congiuntiva “non faremmo X” equivale ad un’azione che “noi non faremmo”, dove il “noi” identifica l’in-group, cioè il gruppo di appartenenza. Tale clausola non spiega il “perché non dovremmo fare X”, d’altronde la funzione intrinseca delle euristiche è proprio quella di non fornire spiegazioni sul perché della propria affidabilità e chi la utilizza non deve essere in grado di spiegare perché funzioni, laddove sia in grado di funzionare. Affinché “x” diventi “immorale”, è necessario però, aggiungere alla clausola congiuntiva anche la valutazione di “x” come “disgustoso”.  La forza della clausola congiuntiva risiede proprio nella sua capacità di tracciare una linea di confine tra l’in-group e l’out-group, un caso esemplificativo è quello di un comportamento che, seppur non tollerato da un singolo individuo, ma compiuto regolarmente dai membri del gruppo di appartenenza, non verrebbe investito da un giudizio morale negativo, tuttavia se quel comportamento venisse compiuto da un membro dell’out-group, lo stesso individuo formulerebbe una valutazione morale negativa nei suoi confronti. Tale euristica può però produrre dei “falsi positivi” dal momento che le euristiche, per loro natura, non comportano il riconoscimento dell’errore, poiché esse vengono utilizzate in modo ordinario ed è richiesto loro solo di essere “abbastanza buone” nei contesti in cui vengono applicate.  Per l’autore, in virtù del legame tra disgusto morale e violazione di norme, alle quali si riconoscono adeguate ragioni per sussistere, è possibile quindi affermare che il disgusto è considerabile una buona euristica morale.

In conclusione, l’euristica del disgusto morale sembra avere la funzione di definire i comportamenti in-group\out-group di varia natura e può essere coinvolta nella dis-umanizzazione dei membri dell’outgroup. Tuttavia il dibattito inerente alla funzione del disgusto in quanto euristica è ancora aperto: molti autori sollevano dubbi riguardo alla correlazione tra la valutazione di uno stimolo come disgustoso e, di conseguenza, immorale (seppure la moralità sia legata ad un dilemma ontologico in quanto tale, pertanto non solo inerente al tema del disgusto); inoltre, l’esistenza di infiniti trigger di varia natura che attivano l’emozione, ne mettono in discussione la sua natura in quanto euristica. Alla luce di quanto emerso finora, la visione euristica del disgusto appare comunque più promettente e sembrerebbe aggiungere maggiore comprensione al mero significato di contagio sociale.

Bibliografia:

Robert William Fischer. “Disgust as Heuristic” – ArticleinEthical Theory and Moral Practice“. December 2015

Miceli M, Castelfranchi C. Contempt and disgust: the emotions of disrespect. J Theory Soc Behav. 2018;1–25. https://doi.org/10.1111/jtsb.12159

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