di Roberto Petrini
La condivisione ci ha fatto superare le difficoltà evolutive e oggi ci aiuta ad affrontare il Coronavirus
Sei milioni di anni fa, l’umanità si separò dalla linea evolutiva comune delle grandi scimmie. Prima si differenziarono gli Orango, poi i Gorilla e, per ultimi (quindi gli antenati comuni più prossimi), i Bonobo e gli Scimpanzé. I Bonobo sono scimmie molto empatiche e risolvono le tensioni con comportamenti come il gioco e il sesso; gli Scimpanzé sono meno pro-sociali e decidono spesso le dispute con la violenza.
Noi Homo siamo “scimmie bipolari”, a volte collaborativi ed empatici, a volte gerarchici e violenti, ma sembra proprio che la capacità che ci ha maggiormente condotto a superare le difficoltà evolutive sia stata la cooperazione. Certo, è stata importante anche l’organizzazione gerarchica della società, come anche la creazione di un maschio super alfa come Dio, che ci ha trasmesso leggi morali alle quali sottometterci, perché la sottomissione gerarchica è un meccanismo molto più antico e potente della moderna vergogna e senso di colpa.
Milioni di anni fa, il nostro antenato in comune, per far fronte alle sfide imposte dall’ambiente, iniziò a sviluppare una collaborazione di base, detta anche strumentale. In questo tipo di cooperazione ancestrale e basica, c’è il continuo monitoraggio del comportamento degli altri partecipanti ad una azione congiunta, per vedere se stanno facendo la loro parte. È una proto-collaborazione basata sull’individualismo e il controllo, come si verifica in questo periodo di infezione da Coronavirus: “Stai rispettando le prescrizioni o stai andando a correre? In bici? Quante volte porti fuori il cane? Stai uscendo troppo spesso per fare la spesa?”.
In seguito, individui con la stessa simultanea percezione e comprensione del mondo, iniziarono a coordinarsi per cercare di raggiungere obiettivi comuni e scegliere, come collaboratori, solo i partner similmente meritevoli. Il cooperatore scorretto, per non restare solo, anche se forte e aggressivo, era spinto a conformarsi (“la penso diversamente ma assecondo la decisione della maggioranza”) per evitare la solitudine, che voleva dire morte certa.
Ogni deviazione dalla norma iniziò a dover essere giustificata nei termini dei valori condivisi dal gruppo, per essere compresa e accettata, e il trasgressore perdonato: “Esco, sì, ma per andare in farmacia, per fare la spesa settimanale, per andare a lavoro”.
In conclusione, il nostro antenato comune, a differenza delle altre grandi scimmie come gli Scimpanzé e i Bonobo, ha acquisito la grande capacità dell’“autogoverno normativo”, cioè l’abilità di autoregolarsi socialmente basandosi su delle strutture culturali e, conseguentemente, di configurare la realtà in una prospettiva utile a risolvere i conflitti.
Nel processo collaborativo moderno perché la persona sia motivata a contribuire, deve percepire una situazione di equità, dove la fiducia nel fatto che l’altro coopererà aumenta l’impegno della persona nel fare la sua parte. Le persone che condividono azioni, comportamenti ed emozioni hanno come “premio evolutivo” il sentimento di vicinanza e la creazione di un legame con l’altro. Milioni di anni fa è comparso il genere Homo, sopravvisse al raffreddamento globale, alla siccità e alle carestie grazie al coordinamento e alla condivisione.
“Ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna – scriveva Seneca – e di considerarli nella loro essenza: capirai che in essi non c’è niente di terribile se non la nostra paura”.
Per approfondimenti:
Michael Tomasello “Diventare Umani” Raffaello Cortina Editore. Frans De Waal “il bonobo e l’ateo” Raffaello Cortina Editore