Poeti, Santi e Navigatori in terapia

di Mauro Giacomantonio e Roberto Lorenzini

La psicoterapia favorisce la riduzione della sofferenza individuale ma non necessariamente il bene collettivo

“In Italia per 300 anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera vivevano in amore fraterno, avevano 500 anni di pace e di democrazia. E cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù.Orson Wells

In anni recenti, è stata mossa più volte la critica alla psicoterapia, in particolare cognitivo-comportamentale, di essere figlia del capitalismo. Per estremizzare, il suo compito sarebbe quello di “aggiustare gli individui” per permettergli di dare il loro efficiente contributo alla società. L’incremento dell’enfasi sui beni materiali, tipica del capitalismo, produce una maggiore sofferenza psicologica che dovrebbe essere trattata con la psicoterapia cognitivo-comportamentale che, quindi, diventerebbe uno strumento stesso del capitalismo con cui condivide l’approccio razionalista, edonista, individualista ed efficientista.

Secondo questa visione, la psicoterapia cognitivo-comportamentale in particolare e tutta la psichiatria più in generale spingerebbero verso un conformismo che permetterebbe di preservare il sistema evitando che gli individui ne soffrano troppo.

Questo approccio critico nei confronti della terapia cognitivo-comportamentale, al di là della sua fondatezza e delle alternative che propone, sembrerebbe partire dalla fondamentale assunzione che la somma del benessere individuale porti a un maggiore benessere collettivo.

Tuttavia, la relazione tra psicoterapia, benessere collettivo e sistema sociale non è affatto scontata.

La teoria dei giochi e le ricerche di psicologia sociale sulla cooperazione, infatti, delineano un quadro molto diverso: molto spesso, l’interesse individuale è in contrasto con l’interesse comune. Prendiamo un esempio etologico. Osservando i pinguini, si può notare come in tanti si ammassino sulla costa affamati. Sanno che entrando in acqua troveranno il cibo per sfamarsi. Potrebbero però anche trovare dei temibili predatori: le orche. Se esitassero troppo a lungo, potrebbero tutti morire di fame e la loro comunità si estinguerebbe rapidamente. È necessario, quindi, che qualcuno si sacrifichi lanciandosi per primo e offrendosi come cibo per le orche (o come indicatore della loro assenza). Il sacrificio dei primi, pochi, pinguini che si tuffano, va a beneficio della collettività che potrà (o meno) tuffarsi in tutta tranquillità e sopravvivere prosperosa. Lo stesso si è verificato nel D-day durante lo sbarco alleato in Normandia che ci ha liberato dall’orca hitleriana.

Quali sono gli scopi e le credenze di quei primi pinguini coraggiosi? Probabilmente si sono tuffati per mostrare il loro valore personale, o perché volevano compiacere gli altri o perché non hanno saputo contrapporsi alle aspettative del gruppo, o perché erano affamati e meno capaci degli altri di inibire il “craving” da pesce fresco.

Si sarebbero buttati lo stesso se qualche anno prima avessero affrontato una terapia andata a buon fine?  L’esempio è intenzionalmente estremo. Ma incarna un dilemma che caratterizza la relazione tra individuo e società in molti ambiti: un vantaggio individuale può portare un importante svantaggio a livello collettivo e viceversa.

Se è vero che la psicoterapia cura principalmente l’interesse e il vantaggio dell’individuo e che opera cercando di ridurre i comportamenti svantaggiosi e la sofferenza che li motiva, ne potrebbe conseguire uno svantaggio importante per la società.

Esaminiamo degli esempi che riguardino gli esseri umani.

Uno degli esiti più sperabili della psicoterapia è l’accettazione e il disinvestimento che ne segue. Molte ricerche, unitamente all’esperienza clinica, dimostrano che accettare che alcuni scopi siano compromessi o troppo difficili da raggiungere, e quindi disinvestire da essi per investire altrove, è un tassello fondamentale nel contrasto alla sofferenza. Ma se Leopardi avesse avuto una mente più accettante, a seguito di una psicoterapia col miglior cognitivista di Recanati, noi avremmo probabilmente perso un capitolo fondamentale di letteratura e poesia che caratterizza la nostra cultura.

Molte scoperte, invenzioni, opere d’arte e progressi sociali, cioè inestimabili beni comuni, derivano proprio dall’autodistruttiva incapacità di rinunciare a degli obiettivi irraggiungibili e costosi da parte dei loro autori.  Nikola Tesla, Vincent Van Gogh, i fratelli Wright, Cristoforo Colombo, Martin Luther King, sono ottimi esempi di questi casi. Cosa avremmo perso, collettivamente, se avessero intrapreso una moderna ed efficacissima psicoterapia?

È interessante notare come, per certi versi, proprio l’accettazione possa favorire il mantenimento di alcune delle principali iniquità della nostra società. La teoria della “giustificazione del sistema” ci insegna che le persone che per vari motivi (genere, razza, estrazione sociale) vivono una situazione di svantaggio sociale, tendono a sviluppare una visione accettante del sistema che li discrimina. Il motivo principale è che questo li tiene al riparo dalla sofferenza legata all’essere discriminati e dalla fatica e incertezza legate al tentativo di cambiare le cose. Quindi, sebbene la sofferenza individuale sarà mitigata da una visione accettante, il sistema continuerà a discriminare alcune categorie senza grandi scossoni, perdendo importanti occasioni per migliorarsi e per tendere a un vero benessere collettivo.

Dove ci porta questo ragionamento? Probabilmente a due semplici conclusioni. La prima è che promuovere l’accettazione, il perdono, prospettive meno giudicanti verso sé e gli altri, un bilanciamento della centralità del valore personale o dell’accudimento degli altri, l’adesione ai propri valori, poco ha a che vedere con una visione capitalista della società.

L’altro approdo è forse ancora più importante. Questi ragionamenti, per quanto estremi, ci mostrano che la psicoterapia non è e non deve diventare un’ideologia che pretende di incarnare le grandi verità su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, su come sia opportuno vivere, su cosa serva all’essere umano e cosa gli sia nocivo in termini assoluti. La ricerca e lo studio in psicoterapia sono fondamentali per comprendere e trattare la sofferenza. E lì, ci si dovrebbe fermare senza andare oltre. Sarebbe importante avere chiaro il confine tra la sofferenza egodistonica, cioè il vero target della psicoterapia, e il modo di stare al mondo di quello specifico individuo, giusto o sbagliato che possa sembrarci. Il nostro ruolo è trattare la prima cercando di toccare il meno possibile il secondo.

Foto di Pixabay da Pexels

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