di Benedetto Astiaso Garcia
Finito il carnevale le maschere si abbassano, permettendo a ogni ferita di divenire una medaglia
Il Covid-19 accompagna attualmente l’uomo moderno, stanco viandante, nel viaggio della vita, rendendo il suo zaino sempre più pesante, le sue gambe affaticate, la sua testa un groviglio di rovi. Ricordi, pensieri, emozioni e sensazioni somatiche vengono riattivate dal più grande fattore di stress che la società moderna abbia mai dovuto fronteggiare a partire dal secondo dopoguerra. Monetina che cade dentro un pozzo, la pandemia sviluppa, infatti, un rumore assordante dentro ogni persona, fungendo da cassa di risonanza per tutto ciò che vi era sepolto (ansia, solitudine, vulnerabilità umorale, isolamento sociale, preoccupazione per il proprio stato di salute, abbandono, senso di colpa, rabbia, sospettosità interpersonale).
Vestiti solo di una mascherina ben aderente al viso, si genera in noi la scoperta di una precarietà psicologica che a lungo le strategie di coping (meccanismi psicologici messi in atto per fronteggiare problemi emotivi), hanno sommerso: eccoci nudi di fronte a uno specchio a contemplare le ferite della nostra storia, costretti a entrare in una realtà non sempre facile da fronteggiare.
Obbligato a scendere dalla ruota all’interno della quale amava correre, il criceto si rende conto della gabbia in cui abita da tempo. L’alienante velocità cede il passo alla riflessione, l’illusione cala il suo velo, i processi di negazione vengono meno. La vita diviene un video in modalità slow motion, capace di far osservare con maggior dettaglio ogni piccolo particolare… Il tempo si fa denso scorrendo sul calendario, al pari di un farmaco anti reflusso che scivola sornione nella gola… La qualità pixelata dei colori lascia il posto a un innovativo HD, tanto luminoso da guardare quanto destabilizzante, poiché poco abituati a farlo.
La percezione di sé, della propria vita passata e della qualità relazionale appare improvvisamente maggiormente definita, illuminata, al punto da poter abbagliare. Come cera al sole la maschera si scioglie, permettendo di vedere i propri demoni, nucleari e profondi, tanto vicino da dover rievocare il detto dantesco “ecco il luogo dove conviene armarsi di coraggio”. È proprio attraverso il coraggio che fissare il sole diviene l’unica modalità per prendere consapevolezza della propria vita, per lavorare sui propri vissuti e accettare ciò che a lungo è stato nascosto da una narcotizzante e narcisistica modalità di affrontare la realtà.
Il Covid-19 ha aperto il vaso di Pandora, lasciando fuoriuscire i veri mali che affliggono l’uomo e che fino a poco fa erano più o meno goffamente celati. La relazione, seppur stravolta, diviene asse portante di un mondo che scricchiola: finito il carnevale prendiamo atto di noi stessi e dell’altro, percependo la pericolosità di poterci rendere conto di chi siamo realmente.
Conviene veramente prendere atto di chi siamo? Occorreva davvero aprire il vaso di Pandora? Questa volta la storia ha scelto per noi, ponendoci in una condizione tanto delicata quanto privilegiata. L’individuo si avvicina a sé, ricominciando a sentire i profumi della propria storia: questo perché, al pari di quando si osserva un’opera impressionista, la qualità delle proprie relazioni viene compresa meglio solo ponendosi a una certa distanza. Forse realmente per aggiustarci dobbiamo prima romperci in mille pezzi… Forse realmente una ferita che pensavamo avesse smesso di sanguinare è una nuova occasione di crescita, individuale e relazionale.
Ade ha rapito Proserpina, ma, come racconta il mito, la primavera è sempre destinata a tornare. Come diceva il poeta Pablo Neruda, “potranno recidere tutti i fiori ma non potranno fermare la primavera”. Speriamo che in quel momento non avremo solamente il desiderio di toglierci una scomoda mascherina per rimettere la nostra comoda maschera.