di Giuseppe Grossi
C’è una crepa in ogni cosa. È da lì che entra la luce (Leonard Cohen)
Giorno dopo giorno apriamo le porte dei nostri studi interrogandoci su quelle che saranno le difficoltà che incontreremo, quale nuova sfida ci porterà il paziente della mattina e quello della sera. Ci ritroviamo a ragionare e riflettere tornando a casa in macchina, sul treno o sulla metro, cercando di trovare il capo che possa sciogliere la matassa. E così, da giorni, sono fermo a osservare, incantato, una nuova sfida. Ripercorro mentalmente i passaggi della terapia e i racconti di alcuni dei mei pazienti, pensando a quanto siano speciali. Solo dopo mesi e ore di terapia mi ricordo quella posizione socratica che mi ha affascinato, spingendomi verso un modo di fare terapia in cui nulla è scontato. E inizio a ragionare sul perché dico questo: perché quando penso a Cristiana, Flavio o altri la prima cosa che mi viene da considerare è quanto siano speciali? Nello stesso momento in cui mi pongo la domanda nasce in me una sfida, un dibattito tra due forze opposte che mi catapultano in uno dei miti più amati e discussi da sempre: Narciso. Penso a lui e per un momento mi fermo sulla sua condanna di essere il più bello, tanto da ritenersi ed essere considerato unico e speciale. Poi torno con la mente a Cristiana, entro nella sua cameretta piena di specchi e la vedo con in mano una lametta e il desiderio di tagliare le sue parti imperfette, ciò che la renderebbero “mediocre”. Ripenso al continuo tentativo di buttare via quelle parti per essere migliore. Penso al suo disturbo alimentare e al desiderio di scomparire pur di non vedere quella imperfezione, pur di aumentare lo spazio tra le gambe e sentirsi per un attimo bella, migliore. Immagino questo stato dissolversi nel disperato desiderio di fare ancora un po’ di più, un po’ più di prima. E così si riparte con uno sforzo ulteriore, con l’obiettivo più alto che la renderebbe ancora più bella. Inerme, la vedo arrivare a un inevitabile fallimento, la disperata conclusione che nulla la condurrà a quella perfezione. Disperata nel proprio dolore, Cristiana vaga sempre più nel buio, alla ricerca del proprio valore, confrontandosi con un’immagine che è semplicemente il frutto delle parole del suo profeta, colui che la vede essere il 10 a scuola, sempre più magra e da tutti amata. Siamo sicuri che ciò che ha spinto Narciso ad annegare nello stagno sia la sua vanità? Che Cristiana abbia assunto 30 pasticche di Xanax per amore della sua immagine riflessa negli specchi della cameretta, tra foto ricordo e pagelle incorniciate? Vi sembra ovvio pensare che continui a tagliarsi perché innamorata della sua perfezione e non che quello specchio, quel voto a scuola e altro abbia svelato la sua vera natura e la normale imperfezione? “Preferisco essere niente che essere mediocre”: queste le parole di Cristiana, dopo aver tentato più volte di togliersi la vita. Oggi lei, come molti, si trova a combattere contro la necessità di sentirsi speciale, di essere perfetta. Cosa avrebbe detto Liriope se tornando a casa il figlio Narcisio le avesse raccontato di quella imperfezione riflessa nelle acque dello stagno? Cosa sarebbe accaduto se Liriope non avesse tolto tutti gli specchi, dando a Narciso la possibilità di osservare la sua reale natura e forse anche una normale imperfezione? E ancora, facendo un piccolo passo indietro, cosa sarebbe accaduto a Narciso se il profeta non avesse raccontato a sua madre quel tragico destino? Troppo spesso ci sforziamo di essere quello che crediamo di dovere essere, incastrati dalle paure più profonde e lontani dai desideri personali, convinti che esista un solo modo per essere felici.
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