"Ignorare" un’emozione: attenzione selettiva in presenza di distrattori emozionali

di Giuseppe Romano e Andrea Gragnani

La scelta degli elementi endogeni o esogeni sui quali poniamo la nostra attenzione è guidata costantemente dalla rappresentazione (set attenzionale) di ciò che è rilevante per gli scopi attivi in un determinato momento. Tuttavia, l’attenzione può essere distolta da un obiettivo in presenza di uno stimolo con caratteristiche che lo rendono saliente (si pensi, ad esempio, allo squillo improvviso del cellulare mentre stiamo guardando un film). Ciò avviene ancora più facilmente per gli stimoli che suscitano reazioni emotive, poiché tendono a catturare l’attenzione in modo rapido e quindi a ricevere un’elaborazione preferenziale in virtù della loro importanza per il benessere dell’individuo.

A livello cerebrale, queste modulazioni attenzionali sono mediate in particolare dall’amigdala, che potenzia l’elaborazione degli stimoli a contenuto emozionale fin dagli stadi percettivi. Pertanto, quando vi sono stimoli distraenti che hanno significato emozionale, mantenere l’attenzione focalizzata su un compito è particolarmente difficile e impegnativo, in quanto implica “ignorare” un segnale che per sua natura è fatto per non essere ignorato! Leggi tutto “"Ignorare" un’emozione: attenzione selettiva in presenza di distrattori emozionali”

Faccia, facciata e Facebook

di Katia Tenore

Dinamica dell’apparenza e dell’aggressività sui social network

La faccia, così come definita dal celebre sociologo Goffman, rappresenta l’immagine di sé delineata in termini di attributi sociali approvati. Durante le interazioni sociali, ogni attore presenta e rivendica una immagine di sé, una linea di condotta. Quando la faccia di un attore sociale è messa in discussione, si avviano “giochi di faccia”, che rappresentano gli sforzi verbali e non verbali che le persone mettono in atto in caso di conflitto e sfida.
Minacce al mantenimento di una “buona faccia”, come critiche e insulti, sfidano il valore relazionale del singolo e il suo desiderio di essere approvato: in caso di offesa, le persone si rivalgono, possono divenire aggressive e agire una ritorsione per ripristinare la propria “faccia”, danneggiando quella dell’offensore.
Uno studio di una giornalista americana ha dimostrato come l’esperienza e il riconoscimento cosciente di un dolore sociale sia la molla che spinge verso la rappresaglia, che è tesa a ristabilire il proprio onore sociale, sia quando la minaccia è rappresentata dalla critica sia dall’esclusione sociale.
Questa dinamica è osservabile anche nelle interazioni sociali che avvengono nei contesti dei social network. Il bisogno di regolamentare le difficili modalità comunicative ha prodotto il neologismo “netiquette”, il galateo di comportamento in rete. Leggi tutto “Faccia, facciata e Facebook”

Il mondo in prima persona

di Niccolò Varrucciu

Le capacità metacognitive nei disturbi dello spettro autistico

C’è un robusto corpus di ricerche che mostra sostanziali differenze cognitive tra persone affette da Disturbi dello Spettro Autistico (DSA) ad alto funzionamento e persone a sviluppo tipico. L’espressione “differenze cognitive” è preferita al più comune termine “deficit” perché si vuol evidenziare una diversità nei processi e non una mancanza di abilità.

Tre delle aree in cui si rilevano le differenze maggiori sono: il funzionamento esecutivo, i  processi di elaborazione delle informazioni orientati al dettaglio e la consapevolezza di sé, concetto declinabile in molte aree della vita della persona fra cui la metacognizione.

La Teoria della Mente (TdM) è la capacità d’inferire stati mentali come emozioni, intenzioni, desideri e credenze, e di utilizzare questi prodotti mentali per predire, interpretare e spiegare azioni e comportamenti. Perché le capacità metacognitive siano completamente efficienti, l’attribuzione di stati mentali deve riguardare se stessi (prima persona) e gli altri (terza persona), attività mediate da processi differenti e che implicano conoscenze diverse. Nello specifico, la TdM comprende la valutazione di prim’ordine (inferenza di stati mentali su altri) e di second’ordine (inferenza degli stati mentali altrui su una terza persona); tali inferenze possono essere effettuate partendo da una posizione egocentrica (in relazione al proprio sè) o allocentrica (indipendenti dal sé).
Questa complessità ha implicazioni di grande portata, compreso l’uso di questionari self-report nel lavoro clinico e di ricerca. Leggi tutto “Il mondo in prima persona”

Quanto la nascita di un figlio può incidere sull'umore della madre

di Alessandra Nachira

Numerosi studi sostengono che le prime settimane successive al parto sono a più alto rischio di disturbi psichiatrici

La nascita di un figlio è per la donna un momento emotivamente molto delicato. Nella fase successiva al parto, la donna può sperimentare insieme un senso di soddisfazione per essere diventata madre e un senso di responsabilità verso il proprio piccolo. In alcuni casi, però, può coesistere uno stato di labilità emozionale che può sfociare in veri e propri disturbi dell’umore. Tali disturbi risultano essere molto frequenti: in particolare, più dell’85% delle donne ne soffre durante il post-partum, per la maggior parte con disturbi transitori e lievi. Il 10-15% di esse, invece, può essere affetto da disturbi più gravi che possono evolvere o in forme di depressione maggiore o, in rarissimi casi (circa lo 0,1-0,2%), in vere e proprie forme di psicosi. Numerosi studi, infatti, sostengono che le prime settimane successive al parto sono a più alto rischio di disturbi psichiatrici.
La depressione post-partum può essere suddivisa in tre categorie, a seconda della sintomatologia e gravità presentate:

Postpartum blues (“blues” significa malinconia): colpisce le donne nel 60%-80% dei casi. Si manifesta nei primi tre giorni dopo il parto e può risolversi naturalmente entro dieci giorni. La sensazione generale che si sperimenta è di “non sentirsi più la stessa” e spesso si accompagna alla tristezza, che permane per buona parte della giornata. I sintomi principali possono essere: sentimenti di inadeguatezza nei confronti del neonato, irritabilità, nervosismo, labilità emotiva con crisi di pianto senza motivo apparente, difficoltà a dormire, perdita di appetito e calo ponderale, iperattività. Leggi tutto “Quanto la nascita di un figlio può incidere sull'umore della madre”

Come esprimere i propri bisogni

di Roberta Trincas

 Perché molti conflitti nelle relazioni dipendono dal modo di comunicare

La maggior parte dei conflitti interpersonali, con un partner, con un genitore o un figlio, può dipendere dal modo di comunicare.
Certi atteggiamenti o pensieri su cui si basa la propria comunicazione quotidiana si associano a situazioni di conflitto o insoddisfazione e incomprensione nelle relazioni.
Spesso capita di usare frasi che vengono considerate aggressive o pretenziose, come, ad esempio: “Perché non hai fatto ciò che ti ho chiesto?”, “Sei sempre il solito!”, “Potevi stare più attento!”; oppure capita di avere atteggiamenti passivi che implicano pretese o aspettative, l’idea che l’altro debba comportarsi secondo le proprie attese. Infine, alcune persone possono assumere atteggiamenti passivi allo scopo di evitare di comunicare con l’altro per timori diversi (“Se chiedo aiuto sono un debole o dipendo dall’altro”, “Non posso dire di no altrimenti si offende”, ecc.).
Secondo la teoria della comunicazione non violenta di Rosenberg, dietro questi modi di comunicare ci sarebbe un bisogno non riconosciuto. Per esempio: Anna torna a casa da lavoro molto stanca e vorrebbe trovare la cena pronta come coccola da parte del suo compagno; appena varca l’uscio di casa e non trova niente di ciò che si aspettava, si arrabbia e dice al compagno: “Ma che hai fatto oggi a casa? Sei stato senza far niente?”. Leggi tutto “Come esprimere i propri bisogni”

“È l’amore della mia vita, oppure no?”

di Daniela Fagliarone

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Le credenze maladattive delle persone che soffrono di Disturbo Ossessivo-Compulsivo da relazione

Sarà capitato a tutti, in qualche momento della vita, di avere dei dubbi sulla propria relazione o sul partner. Quando, però, si arriva a rimuginare troppo a lungo e a interrogarsi continuamente sull’andamento della relazione, fino a condizionare lo stato affettivo e cognitivo della persona, e il funzionamento della coppia, si può parlare di  Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione (DOC-R). Recentemente è aumentata l’attenzione verso il DOC-R da parte dei clinici e uno dei ricercatori che più si sta occupando di questa variante del disturbo è il dottor Guy Doron, professore associato alla New School of Psychology, dell’Interdisciplinary Center (ICD) Herzliya in Israele. Per Doron e colleghi, le credenze catastrofiche che la persona ossessiva ha sul futuro della propria relazione, come quelle riguardanti le conseguenze del restare in una relazione “sbagliata” o sul chiudere la relazione, assumono notevole importanza nel mantenimento del disturbo. Nel loro studio – il primo su soggetti clinici DOC-R confrontati con altri soggetti DOC e con soggetti normali – è emerso che le persone con disturbo ossessivo-complusivo da relazione possono avere sintomi severi tanto quanto le altre tipologie del disturbo ma tendono ad avere credenze che sono tipiche e specifiche del DOC-R, derivanti dal senso di responsabilità inflazionata, e attribuiscono più importanza ai pensieri e al loro controllo rispetto agli altri. Leggi tutto ““È l’amore della mia vita, oppure no?””

Che sesso sei… e ti dirò che disturbo mentale avrai

Predisposizione alla psicopatologia in base al genere

di Sonia Di Munno
curato da Barbara Basile

Diversi studi epidemiologici hanno mostrato che uomini e donne si differenziano nello sviluppo di specifici disturbi mentali. Mentre le donne sono più soggette allo sviluppo di psicopatologie di tipo “internalizzante”, come la depressione, l’ansia, la distimia, la fobia sociale, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacco di panico e la fobia specifica, gli uomini hanno maggiore rischio di sviluppare disturbi “esternalizzanti”, tra i quali il disturbo di personalità antisociale e la dipendenza da alcol e droghe. Quello che differenzia i due tipi di problematiche riguarda le modalità di attribuzione di causalità di eventi negativi: mentre nei disturbi internalizzanti l’individuo si ritiene di esserne la causa, nei problemi esternalizzanti le cause di tali eventi si attribuiscono agli altri o a fattori esterni.

I motivi della diversa distribuzione dei disturbi psichici non sono ancora noti, ma si ipotizza che alcuni di questi dipendano dalle diverse modalità di interpretazione degli eventi, dalle differenti strategie di fronteggiamento e da differenze biologiche, genetiche, sociali e demografiche.

Recentemente alcuni studiosi hanno cercato di capire se sia possibile spiegare e prevedere tramite un apposito modello queste differenze. Dalle ricerche è emerso che non è il genere specifico a predisporre tout court allo sviluppo di un certo disturbo, ma sarebbe la latente propensione a internalizzare o esternalizzare i problemi che rappresenta, invece, un fattore di rischio più importante. Ovvero, le donne prediligono un ragionamento che tende all’internalizzazione, mentre gli uomini utilizzano più modalità di pensiero esternalizzanti. Leggi tutto “Che sesso sei… e ti dirò che disturbo mentale avrai”

Schizofrenia e trattamenti integrati. Il modello di Granholm

di Caterina Parisio

 “Date a un uomo un pesce e lo nutrirete per un giorno. Insegnate a un uomo a pescare e lo nutrirete per tutta la vita”

Tutte le definizioni presenti in letteratura sulla schizofrenia passano da concetti quali allucinazioni, deliri, sintomi prototipici. Provando, invece, a interrogare il senso comune su un tipico paziente affetto da schizofrenia, emerge un aspetto “fuori dall’ordinario”: un viso o un tono di voce vagamente inespressivi, di fronte al quale si avverte una sensazione di disagio. I fattori critici che determinano questo disagio possono essere riassunti nella definizione “deficit di abilità sociali”. Le abilità sociali sono comportamenti interpersonali regolati socialmente; essi includono codici sull’abbigliamento, regole su cosa dire o non dire, direttive sull’espressione delle emozioni, distanza interpersonale. Indipendentemente dal fatto che non abbiano mai appreso le abilità sociali o le abbiano perse, il basso funzionamento sociale è il core symptom di pazienti con schizofrenia.
È ormai evidente che, nonostante i recenti progressi in termini di farmacoterapia, il solo trattamento biologico non è sufficiente per ottenere uno stile adattivo di vita. Curare un paziente affetto da schizofrenia è una sfida per i clinici e per tutti coloro che quotidianamente si confrontano con persone affette da questa grave patologia. È indispensabile, a tal riguardo, conoscere approfonditamente la psicosi e riuscire a cogliere i segni che consentono una diagnosi precoce. Deficit cognitivi, deficit metacognitivi e conseguente mancanza di consapevolezza della propria malattia, basso funzionamento sociale: per ottenere un trattamento efficace, è necessario integrare in giuste dosi la terapia farmacologica e un efficace e personalizzato trattamento psicosociale. Leggi tutto “Schizofrenia e trattamenti integrati. Il modello di Granholm”

Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi: una relazione controversa

di Maria Pontillo

Una diagnosi iniziale di DOC non può essere considerata di per sé un prodromo di un esordio psicotico in soggetti diagnosticati con Sindrome di Rischio Psicotico

La relazione tra Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e psicosi fino ad ora è stata indagata seguendo principalmente due filoni di ricerca. Il primo prevede la stima della frequenza di ossessioni e compulsioni in pazienti psicotici; il secondo consiste nello studio della presenza e il decorso di sintomi psicotici in pazienti con iniziale diagnosi di DOC. Quest’ultimo può essere considerato l’approccio più utile all’indagine, per due motivi strettamente connessi: prima di tutto, il fatto che studiare questa relazione in pazienti con psicosi franca rischia di essere soggetto all’effetto confondente esercitato dal trattamento farmacologico in corso, in quanto tra gli effetti collaterali della somministrazione di antipsicotici atipici vi è proprio la comparsa o l’esacerbazione (se già presenti) di manifestazioni ossessivo-compulsive; la seconda ragione riguarda l’esistenza dei criteri di Stato Mentale a Rischio di Esordio Psicotico (“Ultra High Risk” – UHR) o, più recentemente, di “Sindrome di Rischio Psicotico” (“psychosis risk syndrome” – PRS), che consentono l’individuazione di sintomi psicotici “sottosoglia”, così definiti in quanto per la loro frequenza, per la durata e per l’intensità non possono essere inquadrati come francamente psicotici.

A tal proposito, risulta interessante indagare il profilo psichiatrico di pazienti con diagnosi di DOC e Stato Mentale a Rischio, al fine di determinare l’impatto della sintomatologia ossessivo-compulsiva sull’evoluzione sull’outcome del quadro clinico, esaminandone l’associazione tra sintomatologia ossessivo-compulsiva, gravità dello status psichiatrico, funzionamento psicosociale e storia del trattamento farmacologico. Leggi tutto “Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi: una relazione controversa”