Aborti ricorrenti e impatto psicologico

di Rossella Cascone

Perdere un bambino è a tutti gli effetti un lutto da elaborare, un evento traumatico che porta con sé uno shock emotivo per entrambi i genitori

Nell’immaginario comune, avere un figlio, crearsi una famiglia, è uno scopo condiviso che porta con sé credenze semplicistiche sulle modalità con cui raggiungere tale scopo: “rimanere incinta è facile”, “la gravidanza è un periodo bellissimo”, “puoi continuare a lavorare e fare tutto quello che facevi prima”. Tali credenze, però, in molti casi, risultano irrealistiche e generano nella donna vissuti di inadeguatezza, rabbia, tristezza, vergogna e colpa.

In realtà, è molto comune che non vi sia una linearità nella fecondità di una coppia: l’incidenza di aborto spontaneo si aggira tra il 15 e il 20% di tutte le gravidanze clinicamente diagnosticate.

Per definizione, si parla di aborto spontaneo quando vi è un’interruzione spontanea di gravidanza entro la ventesima settimana di gestazione.

Di per sé un aborto, verificatosi in qualunque settimana di gestazione, è a tutti gli effetti un lutto da elaborare; un evento traumatico che porta con sé uno shock emotivo per entrambi i genitori.

Nei casi di aborti multipli il ripetersi dell’evento complica inevitabilmente la situazione, aggravando i vissuti emotivi e il processo di elaborazione del lutto. Oltre a portare con sé, in alcuni casi, la diagnosi di infertilità e la conseguente necessità di ricorrere alla fecondazione assistita.

Nello specifico, possiamo distinguere tre tipi di aborto: occasionale, ripetuto e ricorrente.

L’aborto ripetuto si verifica quando, nella storia ostetrica di una donna, vi sono due episodi consecutivi di aborto entro la ventesima settimana di gravidanza; l’aborto ricorrente, invece, si verifica con la presenza di tre o più episodi consecutivi di aborto spontaneo.

Le cause di aborti ricorrenti solitamente sono da collegare a problemi genetici o uterini, trombofilia, malattie endocrine autoimmuni, infezioni e diversi fattori ambientali, ma in molti casi le cause restano sconosciute e generano nella donna la sensazione di essere “difettosa”.

La perdita di una gravidanza desiderata è quindi un evento negativo considerevole che induce un intenso periodo di stress emotivo e può causare notevoli disagi fisici e soprattutto psicologici, come ansia e depressione, disagi nel funzionamento sociale, intolleranza all’incertezza, chiusura in sé stessi. Molto spesso, ad aggravare la situazione vi è la risposta della società che tende a minimizzare o addirittura ignorare la concezione dell’aborto come un lutto. Frasi come “è stato meglio così”, “potete provare ad avere altri bambini”, “il tempo vi aiuterà”, “sarebbe stato peggio se fosse successo più avanti”, rendono sicuramente complicato il processo di elaborazione e di accettazione.

Nel caso di aborti ripetuti la situazione si complica maggiormente. Elena Toffol e collaboratori hanno evidenziato come nelle donne con una storia di aborto spontaneo ci fosse una più alta prevalenza di sintomi depressivi e diagnosi di disturbo depressivo e che, maggiore era il numero di aborti spontanei, peggiore era lo stato dell’umore e più frequente era la diagnosi di depressione.

Questi risultati suggeriscono che un aborto spontaneo, e in particolare il numero di aborti spontanei, contribuisce negativamente e a lungo sulla salute mentale della donna. Da una ricerca del 2015 è infatti emerso che l’8,6% delle donne con aborti ripetuti, contro il 2,2% delle donne che non ne avevano avuti, ha una depressione moderata o grave.

In accordo con gli studi precedenti, Hajar Adib Rad e collaboratori, valutando i problemi psicologici nelle donne con aborto spontaneo ricorrente, hanno sottolineato come l’incidenza di disturbi psicologici sia maggiore in questo campione. Nel loro articolo vengono inoltre racchiusi dati di altre ricerche che mostrano come la perdita di una gravidanza è correlata anche ad ansia e angoscia, specialmente nelle donne che soffrono di aborti ricorrenti, ed è maggiore nelle donne che non riescono a portare a termine gravidanze successive e quindi ricevono diagnosi di infertilità.

Questi risultati indicano come l’aborto ricorrente e l’infertilità possono portare a una notevole quantità di pressione sulle donne e a connessi problemi psicologici che possono persistere anche dopo un anno dall’evento scatenante.

Alla luce di quanto detto, sembra quindi necessario un supporto che miri a ridimensionare il disagio provato, che ristrutturi le credenze irrealistiche e che favorisca il processo di elaborazione e di accettazione, con particolare interesse anche allo sviluppo di una rete sociale di sostegno adeguata.

Per approfondimenti

Adib-Rad H., Basirat Z., Faramarzi M., Mostafazadeh A., Bijani A. (2019); Psychological distress in women with recurrent spontaneous abortion: A case-control study. Turk J Obstet Gynecol, 16(3): 151–157;

Mevorach-Zussman N., Bolotin A., Shalev H., Bilenko N., Mazor M., Bashiri A. (2012);  Anxiety and deterioration of quality of life factors associated with recurrent miscarriage in an observational study. J Perinat Med. 40:495–501;

Tavoli Z., Mohammadi M., Tavoli A., Moini A., Effatpanah M., Khedmat L., Montazeri A.(2018); Quality of life and psychological distress in women with recurrent miscarriage: a comparative study. Health Qual Life Outcomes, 28;16(1):150

Toffol E, Koponen P, Partonen T. (2013);  Miscarriage and mental health: results of two population-based studies. Psychiatry Res.  205:151–58.

Disturbi di personalità spiegati in video

di Alessandra Mancini

Si chiama “Schema Therapy per i disturbi di personalità di cluster C” la serie sottotitolata in italiano per comprendere i disturbi ossessivo, evitante e dipendente

Come aggirare l’invalicabile perfezionista iper-controllante del paziente con Disturbo Ossessivo di Personalità? Come entrare in contatto con i bisogni del paziente evitante, nascosti dietro al muro del “protettore”? Come favorire l’espressione dei bisogni emotivi autentici di una paziente dipendente che cerca di fare di tutto per “leggere” il terapeuta e che si dimentica di esistere (e magari di essere anche un po’ arrabbiata)?

Il nostro TEAM

I disturbi evitante, dipendente e ossessivo-compulsivo di personalità giungono con grande frequenza all’osservazione del terapeuta. Poiché, rispetto ad altri disturbi di personalità, la frequenza di situazioni di crisi è inferiore, vengono spesso considerati meno problematici. Tuttavia, nel corso della terapia, la natura particolarmente rigida di questo tipo di disturbi rappresenta una vera e propria sfida per il terapeuta.

I video della serie “Schema Therapy per i disturbi di Personalità di cluster C” nascono dalla collaborazione tra l’Istituto Olandese di Schema Therapy e la Scuola di Psicoterapia Cognitiva SPC e sono da disponibili con sottotitoli in italiano. Ciascuno dei trenta episodi della serie offre una panoramica delle tecniche specifiche per ciascuna diagnosi, mostrando i differenti stili terapeutici da adottare lungo il corso della terapia. Avvalendosi dell’esperienza di massimi esperti internazionali nell’ambito della Schema Therapy, come Remco van der Winjaard e Guido Sijbers, il DVD 1 presenta un esempio di Disturbo Evitante di Personalità, caratterizzato da uno stile di coping fortemente evitante. La terapia è incentrata sul bisogno di esprimersi e di avere fiducia in se stessi. Il DVD 2 si focalizza sul Disturbo Dipendente di Personalità, una patologia che porta i pazienti a essere arrendevoli e a compiacere gli altri a discapito dei propri bisogni. Le scene di questo DVD mostrano come il terapeuta si concentri sul bisogno frustrato di autonomia della paziente, stimolandone le condotte autonome nel corso della terapia. Infine il DVD 3 è incentrato sul Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità; i pazienti che soffrono di questo disturbo utilizzano uno stile di coping di ipercompensazione, attenendosi a rigide norme di comportamento ed esercitando un controllo eccessivo, a fronte del bisogno frustrato di spontaneità e gioco.

Esempio di sintonizzazione raffinata con la persona che ci troviamo davanti nel divenire del processo terapeutico, questi video ci aiutano a mantenere il focus sull’obiettivo terapeutico attraverso la relazione. Da vedere e rivedere!

I video sottotitolati in Italiano sono reperibili al seguente link https://www.schematherapy.nl/st/

Remco van der Wijngaart

Lavora come psicoterapeuta nel suo studio privato a Maastricht, nei Paesi Bassi. È stato formato in Schema Therapy e supervisionato personalmente da Jeffrey Young, fondatore della ST. È specializzato nel trattamento dei pazienti: Borderline, del Cluster C, con disturbi d’ansia e depressivi.

Dal 2000 offre workshops, corsi di formazione in Schema Therapy e supervisione ad altri psicoterapeuti in tutto il mondo.

remcovanderwijngaart@gmail.com

Guido Sijbers

È un terapeuta cognitivo-comportamentale di livello avanzato ed è Trainer e Supervisore in Schema Therapy. Dal 1998 è stato formato personalmente da Jeffrey Young ed ha intrapreso una stretta collaborazione con Aroud Arntz sul trattamento di pazienti con disturbi d’ansia e di personalità a Maastricht. Dal 1999 lavora anche come trainer in terapia cognitivo-comportamentale per disturbi d’ansia attraverso la Schema Therapy individuale e di gruppo.

guidosijbers@me.com

Per approfondimenti:

Arntz, AR. (2010), Schematherapie bei Cluster-C- Persönlichkeitstörungen. In E Roediger & G Jacob (eds), Fortschritte der Schematherapie: Konzepte und Anwendungen. Hogrefe-Verlag, pp.146-182.

I nostri casi clinici su Mind

di Federica Russo

Si chiude il filone dei casi clinici del ciclo “psicopatologia dell’età adulta” pubblicati sulla rivista di divulgazione scientifica Mind-Mente e cervello.
“La donna dalle mille vite”, “Il dubbio amoroso una perversa ossessione”, “Voglio solo farmi male” e “Antonio: solo sulle montagne russe”: sono i titoli degli articoli pubblicati sulla rivista, a cura degli psicoterapeuti cognitivo comportamentali Cecilia Laglia, Giuseppe Femia, Rosa Vitale e Federica Russo, coordinati dal lavoro di Cinzia Sgheri e supportati dalle illustrazioni di Stefano Fabbri.
Gli articoli finora pubblicati, sottoposti alla supervisione dello psicologo e psicoterapeuta Andrea Gragnani, approfondiscono tematiche della psicopatologia clinica adulta. I casi spaziano nell’eterogeneità delle psicopatologie comunemente incontrate nei percorsi di psicoterapia, che spiccano per peculiarità.
Di seguito i link degli articoli finora pubblicati.

La donna dalle mille vite

Cecilia Laglia e Andrea Gragnani

Quando mancano aspetti fondamentali dell’infanzia, come senso di sicurezza e accudimento amorevole, si può arrivare a soffrire di disturbo istrionico di personalità (DSM-5), che si caratterizza per un’emotività pervasiva ed eccessiva e per un comportamento marcato di ricerca di attenzioni e approvazione da parte degli altri.
https://www.lescienze.it/mind/articoli/2020/06/26/news/la_donna_dalle_mille_vite-4748702/

Rossella è una persona incapace di aprirsi a una vera intimità, tendenzialmente solitaria e caratterizzata da un pervasivo vissuto di profonda e incolmabile solitudine; un panorama desolato in cui nessuno pare conoscerla e amarla abbastanza e in cui albergano una “ferita di invisibilità” e una sensazione di vuoto affettivo che la fanno sentire sempre insoddisfatta e mai appagata dalle relazioni sentimentali e sociali.

Il dubbio amoroso una perversa ossessione

Giuseppe Femia e Andrea Gragnani

Sebbene sia innamorato della sua compagna, il signor A. è ossessionato dai dubbi. Colpa di un disturbo ossessivo-compulsivo che ha origini lontane.
https://www.lescienze.it/mind/articoli/2020/12/30/news/il_dubbio_amoroso_una_perversa_ossessione-4861163/

Il signor A.  riferisce frequenti pensieri intrusivi rispetto alla sua storia amorosa con Alice, sua compagna da oltre 5 anni. Spesso si chiede: “Sto facendo la scelta migliore? E se stessi sbagliando? Mi piace realmente? Ma è davvero così bella?”. Si tratta di una forma di disturbo ossessivo-compulsivo in cui il cuore del disagio del paziente si caratterizza per la presenza di ossessioni indesiderate rispetto alla relazione affettiva e si manifesta con la paura di commettere errori di valutazione, di essere responsabile della sofferenza del partner o di potersi rovinare la vita in una relazione infelice.

Voglio solo farmi male

Rosa Vitale e Andrea Gragnani

Elettra si sente sola. Da tutti si è sentita sfruttata e tradita. E questo pensiero le provoca nausea e odio, verso gli altri e verso se stessa.

https://www.lescienze.it/mind/articoli/2021/06/26/news/voglio_solo_farmi_male-4939648/

Elettra ha 33 anni e un grande vuoto dentro. Per tutta la vita si è sentita sola, incompresa e tradita e oggi quel dolore così antico sembra non darle pace. Questo pensiero le provoca odio e disgusto verso gli altri e verso sé stessa. Il Disturbo Borderline di Personalità è caratterizzato da un quadro di l’abilità affettiva, impulsività, instabilità delle relazioni interpersonali e dell’immagine di sé.

Antonio: da solo sulle montagne russe

Federica Russo e Andrea Gragnani.

“Malato” di lavoro e incapace di gestire la tristezza, Antonio alterna stati di iperattività a fasi depressive. La sua è una diagnosi di disturbo bipolare.

Antonio si sveglia alle sei tutte le mattine. Fin da subito i pensieri si accavallano nella sua mente e ha la smania di cominciare la giornata e mettersi all’opera. Nonostante le ore di sonno siano diminuite, non si sente stanco né affaticato. Non vuole fermarsi o forse non ci riesce. Ma poi arriva la tristezza e la sofferenza si palesa in maniera disarmante. Antonio smette di condividere la sua solita immagine vincente con il mondo, si isola, non riesce a reagire e non ha la forza di fare nulla.

Il prossimo argomento affrontato sarà la psicopatologia dell’età evolutiva. Anche in questa occasione ci si concentrerà su casi clinici che spiccano per la particolarità della sintomatologia presentata o per la frequenza di casi in cui ci si imbatte durante la pratica clinica.

Paziente e terapeuta: un lavoro combinato

di Miriam Miraldi

Il ruolo della relazione terapeutica in terapia cognitivo-comportamentale

Per favorire il cambiamento atteso da un percorso terapeutico, il terapeuta cognitivo-comportamentale dispone di un’ampia gamma di tecniche, le quali, grazie alla ricerca, stanno diventando sempre più basate sull’evidenza scientifica: tuttavia, questo bagaglio di strumenti è condizione necessaria ma non sufficiente in termini di resa e di efficacia clinica. Il terapeuta è chiamato a una certosina concettualizzazione del caso e, parallelamente, allo sviluppo di una relazione rispettosa, sintonica, aperta, non giudicante, capace di far sentire il paziente accolto in un posto sicuro.

Da queste considerazioni parte il lavoro di Nikolaos Kazantis, professore universitario di psicologia clinica a Melbourne, Frank M. Dattilio, docente presso il dipartimento di psichiatria all’università della Pensilvania, e Keith Dobson, professore di psicologia all’università di Calgary, in Canada: nel volume “La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale”, gli autori sostengono che l’obiettivo ultimo della terapia – e della relazione terapeutica – non è capire come adattare ciascun paziente all’interno di una cornice standard di trattamento, quanto piuttosto modulare il modello, adattandolo ai bisogni del paziente che si ha di fronte.

Il manuale fornisce una panoramica delle principali prospettive che si sono sviluppate sul tema nell’ambito della Terapia cognitivo comportamentale (TCC) e si struttura in tre parti.
Nella prima sezione viene definita la relazione terapeutica come lo scambio tra terapeuta e paziente che si sviluppa nella condivisione di credenze, emozioni, sensazioni ed esperienze del paziente allo scopo di attivare un cambiamento. Secondo l’American Psychological Association, “la relazione terapeutica agisce in concerto con i metodi di trattamento, le caratteristiche del paziente e le qualità del clinico nel determinare l’efficacia dell’intervento”. Il terapeuta è chiamato a effettuare una concettualizzazione del caso – che più è specifica, dettagliata e ricca di informazioni, più è efficace nel comprendere le cause e il mantenimento dei problemi di un paziente – e ad adattare alla relazione tutti quei fattori relazionali cosiddetti “aspecifici”, ovvero non prototipici di un orientamento particolare, quali: l’empatia espressa, che valida l’esperienza emotiva del paziente; l’espressione di considerazione positiva, con affermazioni supportive al paziente; l’alleanza di lavoro come forma di dichiarazione di accordo sugli obiettivi terapeutici; la raccolta strutturata dei feedback dal paziente, basata sulla valutazione dei sintomi che manifesta. A questi vanno aggiunti, invece, i principali fattori “specifici” della TCC, quali: a) la collaborazione, spesso paragonata a un’altalena “saliscendi” che richiede sforzi da entrambe le parti per funzionare. Questo aspetto comprende un lavoro di squadra in virtù del quale si invita il paziente a intraprendere un ruolo attivo, a sentirsi padrone del processo, mentre il terapeuta, mantenendo uno stile non interpretativo, riveste la funzione di guida. Per favorire la collaborazione è auspicabile l’uso di un linguaggio inclusivo (“osserviamo insieme cosa succede quando…”, “potremmo provare”); b) l’empirismo collaborativo, attraverso cui il paziente viene sostenuto nell’adottare un metodo “scientifico” per valutare le proprie credenze e “metterle alla prova”; c) il dialogo socratico. Socrate sosteneva: “Io non posso insegnare niente a nessuno, posso solo farli pensare”. All’interno della TCC il metodo socratico è sia tecnica che fattore relazionale specifico: il dialogo socratico, o dialettico, rappresenta una modalità “maieutica” (ovvero che supporta nel “tirar fuori” contenuti interni) di porre domande. Il terapeuta favorendo controesempi, falsificazioni e strategie paradossali come la reductio ad absurdum, facilita la scoperta sul modo del funzionamento del paziente, sulle sue strategie e schemi mentali che a volte possono essere disfunzionali, o poco utili, per il suo benessere psicologico e relazionale.

La psicoterapia è per definizione un processo interpersonale in cui anche la natura delle personalità che interagiscono dà la forma al percorso terapeutico. La parte centrale del manuale illustra proprio come assimilare nell’azione terapeutica gli interventi focalizzati sul comportamento, quelli focalizzati sulla cognizione, gli “esperimenti” cognitivi e comportamentali, fino a sottolineare l’importanza degli homework, ovvero di quei “compiti” non banalmente assegnati ma concordati tra terapeuta e paziente, e che quest’ultimo può impegnarsi a realizzare fra una seduta e l’altra, garantendo in tal modo continuità al suo percorso trattamentale. È importante che il paziente porti avanti queste esperienze tra una seduta e l’altra non per compiacere o per non deludere il terapeuta, ma perché si sente attore del suo percorso di cambiamento.

Nell’ultima sezione del libro gli autori sottolineano l’importanza sia di una pratica professionale deontologica, etica e non discriminante, che della peculiare competenza che il terapeuta deve esercitare nell’essere consapevole, riconoscere e gestire le proprie reazioni emotive e cognitive che si potrebbero attivare all’interno dello scambio relazionale sia col paziente singolo, che all’interno di interventi con coppie, famiglie e gruppi.

Per approfondimenti

Kazantis, N., Dattilio, F.M. e Dobson, K.S. (2019). La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale. Manuale per il professionista. Giovanni Fioriti Editore

Insegnare ai bambini a gestire le emozioni

di Barbara Basile

Crescendo, i bambini imparano a regolare le proprie emozioni e lo fanno soprattutto osservando i propri genitori: quali suggerimenti seguire per aiutarli al meglio in questo percorso?

Le risposte emotive nei bambini variano parecchio nella loro espressione, nella frequenza e intensità e nella capacità di regolarle. La capacità di gestire le emozioni non è innata, ma si apprende con la crescita, soprattutto osservando ciò che accade in famiglia. Sono i genitori, infatti, che aiutano il bambino a comprendere e orientare la tensione interna che si accompagna a un vissuto emotivo. Alcuni bambini sono, per natura, più sensibili o più facili da calmare di altri. In età scolare il bambino diventa più responsabile e consapevole del proprio funzionamento emotivo e all’intervento genitoriale si affianca quello scolastico. Nel corso dell’adolescenza le modificazioni a carico del sistema ormonale sfidano quanto fino ad allora appreso provocando un’apparente retrocessione nella capacità di gestire le emozioni. Leggi tutto “Insegnare ai bambini a gestire le emozioni”

Incontro sul Disturbo Ossessivo-Compulsivo

In Italia 800 mila persone ne soffrono ma pochi ricorrono a una cura. La Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) di Roma ha organizzato una conferenza per rompere il muro di silenzio che circonda il DOC

Le recenti dichiarazioni di Papa Francesco, che ha raccontato al politologo francese Dominique Wolton di aver tratto grande beneficio da una terapia psicoanalitica a cui si è sottoposto all’età di 42 anni, hanno riaperto il dibattito sull’importanza della salute psichica.
Ogni cittadino ha il diritto di godere di buona salute mentale condizione cruciale per il benessere della comunità, oltre che della persona”, recita il Patto Europeo per la Salute ed il Benessere Mentale siglato dai Paesi della comunità europea nel 2008.

In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che da oltre venti anni si propone di sensibilizzare le istituzioni e la comunità alla ricerca del benessere emotivo e psicologico della persona, la Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) di Roma ha organizzato la conferenza “Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC): comprendere come funziona per scegliere come curarsi” in programma il 10 ottobre 2017 alle ore 17.00 a Roma, presso l’Auditorium Via Rieti in via Rieti 11.

Secondo studi epidemiologici recenti, in Italia sono circa 800 mila le persone che soffrono del disturbo ossessivo-compulsivo, una patologia di cui si parla poco nonostante la diffusione e che, se non trattata, tende a diventare cronica. Dagli studi emerge, inoltre, una previsione di 2  neonati su 100 che lo svilupperanno nell’arco della propria vita.

La conferenza si propone di rompere il muro di silenzio che circonda il DOC e di condividere e divulgare le conoscenze scientifiche ad oggi disponibili sulla patologia: esperti del disturbo, di fama nazionale e internazionale, affronteranno diversi aspetti per chiarirne le caratteristiche e fare una panoramica sui trattamenti di provata efficacia.

Nel corso dell’evento, il giornalista scientifico Pietro Greco intervisterà gli esperti presenti sui seguenti temi: cos’è il DOC, come si manifesta e quanti sottotipi esistono? Perché la persona non riesce a liberarsi da quei pensieri pur giudicandoli assurdi o esagerati? Come mai ci si ritrova a compiere lo stesso gesto e si ha difficoltà a smettere? Quali sono le cause? Quali cure si sono dimostrate efficaci? Cosa possono fare i familiari per essere d’aiuto ai propri cari?

Interverranno: Francesco Mancini, curatore del volume “La mente ossessiva” (2016) e direttore dell’Associazione Psicologia Cognitiva – Scuola di Psicoterapia Cognitiva (APC-SPC) di Roma, Andrea Gragnani, psicologo-psicoterapeuta, didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socio fondatore dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC), Angelo Maria Saliani, psicologo-psicoterapeuta, didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socio dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC), Marco Saettoni, psichiatra e psicoterapeuta, didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, dirigente medico ASL Toscana Nordovest, Teresa Cosentino, psicologa-psicoterapeuta, docente della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socia dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC), Giuseppe Romano, psicologo-psicoterapeuta, didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socio dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC), Stefania Fadda, psicologa-psicoterapeuta, lavora presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva, direttrice del Centro assistenza Bambini Sordi e Sordociechi, Katia Tenore, psicologa-psicoterapeuta, didatta della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socia dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC), Barbara Basile, psicologo-psicoterapeuta, docente della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, socia dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo, dottore di ricerca in Neuropsicologia.

Ampio spazio sarà dedicato alla discussione e alle domande che arriveranno dal pubblico. Nel corso dell’evento, inoltre, sarà fornito gratuitamente materiale informativo sul disturbo.

Un evento diretto a chi soffre di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, a chi ha il sospetto di soffrirne, ai suoi cari e a chi semplicemente vuole saperne di più.

Per informazioni e per iscriversi alla conferenza scrivere a: conferenzadoc@apc.it

Parole, parole, parole… Soltanto parole

di Antonella D’Innocenzo

L’uso della realtà virtuale per allenare la defusione

L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è una forma di Terapia Cognitivo- Comportamentale il cui meccanismo principale di cambiamento è la “flessibilità psicologica”, la capacità di un individuo di essere in sintonia con il momento presente e di modificare o perseguire un comportamento in linea con i valori personali, dopo averli identificati.

Ciò che blocca questo processo è l’“evitamento esperenziale”, ossia il tentativo di controllare o eliminare le esperienze spiacevoli (pensieri, sensazioni, emozioni, impulsi ad agire), assumendo comportamenti disfunzionali per il benessere fisico, emotivo e psicologico.

L’evitamento messo in atto dalla persona è sostenuto dalla “fusione cognitiva”, il fenomeno per cui i processi verbali dell’individuo (ad esempio i suoi pensieri) influenzano il suo comportamento portandolo ad agire in modo inefficace o a bloccarsi. Leggi tutto “Parole, parole, parole… Soltanto parole”

Fattori di Rischio Suicidario nei Disturbi di Personalità

di Valentina Di Mauro
curato da Elena Bilotta

L’identificazione delle caratteristiche diagnostiche e di personalità che aumentano il rischio di esiti correlati al suicidio è un traguardo importante da raggiungere sia per la ricerca che per la clinica. Tuttavia, la maggior parte degli studi fino ad ora si è concentrata sui alcuni criteri dei Disturbi di Personalità (PD) e sul loro rischio di esiti correlati al suicidio, occupandosi raramente di modelli di PD esaminati in modo longitudinale e naturalistico. Allo scopo di colmare questo limite, un recente studio (Ansell et al., 2015), ha esaminato 431 partecipanti che sono stati seguiti per 10 anni. I disturbi di personalità sono spesso diagnosticati in pazienti che presentano alto rischio di suicidio, suggerendo che la patologia della personalità può riflettere importanti differenze individuali nel predire tali tentativi. Capire quale PD può aumentare il rischio per un numero crescente di tentativi di suicidio è una strada importante perché ha implicazioni per la pianificazione del trattamento e la valutazione del rischio futuro. La ricerca sui tentativi di suicidio e PD si è concentrata principalmente sul disturbo borderline di personalità (DBP) e  su altri PD del Cluster B (antisociale, istrionico, narcisistico), scoprendo che  i tratti del Cluster B, mediati dalla predisposizione familiare a tentativi di suicidio e dalla gravità dei sintomi, sono indicatori di un rischio maggiore. Tali risultati sostengono un collegamento tra tratto impulsivo/aggressivo e  suicidio. Leggi tutto “Fattori di Rischio Suicidario nei Disturbi di Personalità”

La tesi morale nel Disturbo ossessivo compulsivo

di Daniela Pulsinelli e Francesco Mancini

Confronto sperimentale tra inflated responsibility e fear of deontological guilt

In accordo con la cosiddetta tesi morale del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), le preoccupazioni ossessive sarebbero, in ultima analisi, morali e le compulsioni sarebbero finalizzate a risolvere queste preoccupazioni. La tesi morale, tuttavia, si declina in almeno due versioni. La prima ritiene che lo spiccato senso morale degli ossessivi sia riconducibile alla cosiddetta “inflated responsibility”, vale a dire alla credenza di avere il potere cruciale di prevenire eventi negativi o comunque moralmente criticabili e soggettivamente importanti. Questa tesi implica che il paziente ossessivo e, più in generale chi tende a ossessioni e compulsioni, si riconosca un ampio diritto-dovere di intervenire sulla realtà e dunque larghi margini decisionali. Da ciò deriverebbe la tendenza, tipicamente ossessiva, a sentirsi responsabili di eventi che la maggior parte delle persone giudica al di fuori del proprio controllo e dunque oltre la propria responsabilità. Leggi tutto “La tesi morale nel Disturbo ossessivo compulsivo”