Verso una definizione comune di dipendenza affettiva patologica: una nuova scala di misurazione basata su un modello cognitivo

di Paola Lioce

Secondo il modello cognitivo della dipendenza affettiva patologica (DAP) sviluppato da Erica Pugliese e collaboratori, la DAP può essere considerata un fenomeno relazionale in cui almeno uno dei due membri della coppia ha un bisogno indispensabile dell’altra persona – tipicamente un partner violento o manipolatore – e protegge la relazione a tutti i costi. La rottura causa una sofferenza emotiva intollerabile, così la persona rimane intrappolata nella relazione. Dal momento che il partner del dipendente affettivo patologico causa una continua frustrazione di scopi importanti di relazione come l’autostima, l’autonomia e la sicurezza, queste persone vivono un conflitto spesso non consapevole tra il mantenimento del legame di attaccamento e lo scopo di proteggere sé stessi e l’autostima. Spesso queste persone mantengono la relazione nella speranza di un cambiamento del partner che, non solo non si verifica mai, ma che congela a lungo il rapporto con gravi conseguenze in termini di disturbi fisici e/o psicologici. In questi casi non è inedito arrivare a una degenerazione della relazione in vera e propria violenza intima da parte del partner di tipo fisico o psicologico.

Ma qual è il profilo tipico del dipendente affettivo patologico? Per quale ragione non riesce ad uscire dalla relazione pur essendo consapevole delle conseguenze negative che essa porta? Secondo il modello cognitivo della DAP spesso l’adulto con dipendenza affettiva è stato un bambino che ha subito traumi di deprivazione emotiva e abuso. Potrebbe essere nata una identificazione con il genitore che portava avanti la missione di amore e sacrificio verso il partner problematico oppure potrebbe essere stato un figlio dedito a salvare il genitore abusato e trascurato dal partner. Mantenere la relazione nonostante il disagio vissuto ha le sue origini nel desiderio spesso inconsapevole di rimediare ai traumi vissuti durante l’infanzia.
Lo scopo principale della persona dipendente affettiva non è ricevere cura dei suoi bisogni (come succede nel disturbo dipendente di personalità). Il “dipendente affettivo” considera “noiosa” la relazione con il partner amorevole, si sente oppresso dai partner premurosi e continua a scegliere partner sfuggenti o distanti. Lo scenario peggiore per il dipendente affettivo è la rottura del rapporto con il partner e di conseguenza fa di tutto per mantenere la relazione tossica ed essere amato come sogna. L’antiscopo comune a tutti i soggetti con dipendenza affettiva patologica è dunque la rottura del legame con il partner.

Negli ultimi decenni si è registrato negli studi di psicoterapia un aumento del tasso dei pazienti vittime di relazioni intime disfunzionali e violente. Nonostante i dati siano allarmanti, il concetto di dipendenza affettiva patologica non trova ancora posto nella nosologia psichiatrica.

Sulla base del modello cognitivo di DAP sopra citato è stata recentemente sviluppata una scala di misurazione della dipendenza affettiva patologica chiamata PADS (Pathological Affective Dependence Scale). La scala è stata testata su un campione clinico di 25 persone di età compresa tra 29 e 61 anni reclutate in un gruppo di auto mutuo aiuto Millemè – violenza di genere e dipendenze affettive e nel centro di psicoterapia, presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma (SPC). Gli item della PADS sono articolati in quattro fattori principali, che possono descrivere il funzionamento mentale del dipendente affettivo tipico: Fattore Altruistico (quando si vuole evitare la sofferenza dell’altro ritenuto bisognoso); Fattore Deontologico (quando ci si ritiene indegni di un altro partner); Fattore Vulnerabilità (quando ci si considera vulnerabili e si mantiene la relazione per evitare di sentirsi soli e in pericolo) e Fattore Conflitto. Il conflitto può essere di tre tipi: Assente (nel momento in cui la persona non si rende conto di stare in una relazione tossica ma gli altri glielo fanno notare), Alternato (quando si alternano momenti di consapevolezza della disfunzionalità della relazione, a momenti di soddisfazione), Akrasico (quando ci si rende conto che sarebbe il caso di interrompere la relazione ma la persona non riesce a rinunciarvi).

Sembrerebbe che la dipendenza affettiva patologica sia la base cognitiva ed emotiva della violenza di genere; dunque, identificare i profili di DAP è utile per intervenire prima che la dipendenza affettiva sfoci in violenza e a lavorare anche con programmi psicoeducativi (ad esempio in contesti come scuole, università, centri antiviolenza, servizi sociali ecc.). Avere a disposizione uno strumento che possa misurare la sintomatologia che presenta la persona con dipendenza affettiva patologica potrà essere un valido aiuto in questa direzione.

Bibliografia

American Psychiatric Association (APA) (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Author.

Iannucci, Perdighe, Saliani, & Pugliese, E. (2021). Karina. Il Legame Irrinunciabile: Scopi, Anti-Goal e Conflitti Tipici della Dipendenza Affettiva Patologica. Cognitivismo Clinico.

Perdighe, C., Pugliese, E., Saliani, A. M., & Mancini, F. (2022). Gaslighting: una sofisticata forma di manipolazione, difficile da riconoscere. Psicoterapeuti in-formazione.

Pugliese, E., Saliani, A. M., & Mancini, F. (2019). Un Modello Cognitivo delle Dipendenze Affettive Patologiche. Psicobiettivo, 1, 43-58.
https://doi.org/10.3280/PSOB2019-001005

Pugliese, E., Saliani, A. M., Mosca, O., Maricchiolo, F., & Mancini, F. (2023). When the War Is in Your Room: A Cognitive Model of Pathological Affective Dependence (PAD) and Intimate Partner Violence (IPV). Sustainability, 15, 1624.
https://doi.org/10.3390/su15021624

Pugliese, E., Mosca, O., Saliani, A.M., Maricchiolo, F., Vigilante, T., Bonina, F., Cellitti, E., Barbaro, G.F., Goffredo, M., Lioce, P., Orsini, E., Quintavalle, C., Rienzi, S., Vargiu, A., & Mancini, F. (2023). Pathological Affective Dependence (PAD) as an Antecedent of Intimate Partner Violence (IPV): A Pilot Study of PAD’s Cognitive Model on a Sample of IPV Victims. Psychology, 14, 305-333.
https://doi.org/10.4236/psych.2023.142018

Kane, T. A., Staiger, P. K., & Ricciardelli, L. A. (2000). Male Domestic Violence: Attitudes, Aggression, and Interpersonal Dependency. Journal of Interpersonal Violence, 15, 16-29. https://doi.org/10.1177/088626000015001002

Foto di Anete Lusina:
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Curare il disturbo ossessivo compulsivo

di Mauro Giacomantonio

La Terapia Cognitivo Comportamentale è efficace?

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una psicopatologia piuttosto diffusa e invalidante. Può manifestarsi in diverse forme, ad esempio con compulsioni di lavaggio o di controllo, ed esordire già in giovane età. È quindi di fondamentale importanza sviluppare e mettere alla prova protocolli di intervento sempre più incisivi e sostenibili dalle persone che soffrono di DOC.

Proprio con questo intento, Andrea Gragnani e collaboratori hanno recentemente pubblicato un articolo che esamina, attraverso uno studio condotto su pazienti che presentavano sintomi ossessivi, l’efficacia di un intervento sviluppato e perfezionato dal Prof. Francesco Mancini e il suo gruppo clinico e di ricerca negli ultimi venti anni.

Questo modello di intervento, oltre ad essere basato su una specifica concettualizzazione teorica del DOC, si pone il problema di favorire la capacità di tollerare la minaccia ossessiva e, quindi, di aderire meglio alla tecnica dell’esposizione con prevenzione della risposta (ERP). L’ ERP, infatti, è una tecnica psicoterapica molto efficace per il trattamento del DOC, che troppo frequentemente viene rifiutata o abbandonata dai pazienti perché percepita come ansiogena.

In risposta a questo problema, l’intervento esaminato nell’articolo propone una serie di tecniche cognitive che facilitano il processo di accettazione della minaccia, riducendo sia la convinzione di potere o dovere ridurre il rischio temuto, sia la tendenza a ricorrere a ragionamenti eccessivamente sbilanciati sul versante della prudenza. La capacità di accettare il rischio aiuterà poi il paziente a tollerare l’esposizione rinunciando alle condotte di protezione. Dei 40 pazienti che hanno sperimentato il protocollo proposto, una elevata percentuale (80%) ha riportato un beneficio significativo e in pochissimi hanno abbandonato il trattamento proposto.

Questi risultati confermano la necessità di articolare un trattamento complesso che favorisca prima l’accettazione “cognitiva” della minaccia e permetta poi di sperimentarla praticamente attraverso l’ERP.

Studi di efficacia come quello pubblicato da Gragnani e colleghi sono particolarmente preziosi per la pratica clinica quotidiana, perché permettono di valutare gli aspetti cruciali per la riuscita del trattamento, aprendo così la strada al suo perfezionamento.

Per approfondimenti

Gragnani, A., Zaccari, V., Femia, G., Pellegrini, V., Tenore, K., Fadda, S., Luppino, O.I., Basile, B., Cosentino, T., Perdighe, C., Romano, G., Saliani, A.M., Mancini, F. (2022). Cognitive-Behavioral Treatment of Obsessive-Compulsive Disorder: The Results of a Naturalistic Outcomes Study. Journal of Clinical Medicine, ;11(10):2762.

Articolo integrale: https://doi.org/10.3390/jcm11102762

“L’amore è l’unica cosa”

di Caterina Villirillo

L’intervento di Steve Hayes e altri spunti per il trattamento dell’età evolutiva al Congresso Intermedio SITCC

Un congresso tra amici e colleghi in atmosfera natalizia con vista mare: è il ricordo che conservo del Congresso Intermedio SITCC che si è svolto dal 9 all’11 dicembre 2022 ad Ancona. Un congresso per la prima volta interamente dedicato all’età evolutiva: un’occasione unica di confronto e formazione che ha coinvolto diversi colleghi che operano nel territorio nazionale e che si occupano quotidianamente di questa particolare fase della vita. Il programma è stato ricchissimo e variegato. La prima giornata ha previsto tre workshop paralleli esperienziali dedicati all’Acceptance and Commitment Therapy, alla Theraplay e al trattamento dei disturbi da Tic e della Sindrome di Tourette. Nelle giornate successive, in due tavole rotonde diversi membri dell’equipe per età evolutiva SPC-APC hanno avuto il piacere di esporre i propri lavori sul tema dei disturbi specifici di apprendimento e dei disturbi di personalità, nell’ottica dello sviluppo nell’arco della vita. Ci sono stati, inoltre, sei simposi paralleli dedicati a lavori clinici e di ricerca.
Gli spunti offerti da questi interventi e l’esposizione delle tecniche che hanno stimolato il desiderio di lavorare in modi alternativi con i pazienti sarebbero già stati sufficienti a rendere questo congresso imperdibile, ma la main relation di Steve Hayes, fondatore dell’Acceptance and Commitment Therapy, ne ha definito l’unicità. È stato emozionante ascoltare il professore che, con la semplicità che lo contraddistingue, ha spiegato come è necessario occuparci del benessere infantile, considerando il mondo attuale in cui i bambini vivono, in continua trasformazione. Secondo Hayes, è necessario reinventarci ogni giorno, senza perdere mai l’entusiasmo e la passione per il nostro lavoro: “Il mio messaggio per voi è quello di guardare alla scienza della flessibilità psicologica, – ha detto – ma anche a come questa possa rendere noto ciò che già conoscete, ovvero portare amore a voi stessi; anche quando è difficile, – ha aggiunto – vi aiuterà a portare amore nel mondo nel modo in cui volete portarlo nel mondo, perché l’amore non è ogni cosa, l’amore è l’unica cosa”. Parole che costituiscono una bussola che potrà guidarci e indirizzare i nostri valori nella professione di terapeuta.
Non sono mancati i momenti di convivialità ed è sempre bello osservare come a fare ancora più grande il valore di molti colleghi stimati sia la capacità di sapersi prendere con leggerezza, di appassionarsi e divertirsi: un grande valore aggiunto al mestiere del terapeuta, soprattutto quando ci si trova di fronte a piccoli e giovani pazienti. Il senso di appartenenza a questo gruppo io l’ho sentito, è stato bello ritrovare colleghi che per vie diverse hanno fatto parte del mio percorso e vedere come tutte le strade si ricongiungono in una rete coesa di collaboratori preziosi, che parlano la stessa lingua, che ogni giorno si impegnano a perseguire l’obiettivo di favorire il benessere e migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti. I dati sulla sofferenza psicologica in età evolutiva, condivisi anche durante il convegno, sono purtroppo allarmanti ed è importante dare maggiore rilievo a questa tematica perché conoscere e condividere tecniche sempre più aggiornate può permetterci, in tempo reale, di intervenire sulla vulnerabilità storica degli adulti di domani. Queste sono occasioni davvero preziose e mi auguro che il successo di questa prima edizione possa incoraggiare la scelta di rendere il congresso SITCC per l’età evolutiva un appuntamento fisso. E intanto arrivederci a Bari per il congresso SITCC di settembre 2023!

Foto di Nothing Ahead:
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Prevenire la sofferenza in età evolutiva

di Giordana Ercolani

Nuove prospettive e linee di intervento al Congresso Intermedio SITCC 2022      

Metti una società scientifica e professionale con oltre 2000 soci che si occupano di psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia clinica e psicoterapia. Una tradizione di quasi 40 anni di lavoro dedicato all’approfondimento di aspetti teorici, clinici e applicativi nell’approccio cognitivo comportamentale. Un gruppo di colleghi che in questa società scientifica esprimono il loro particolare interesse sulla psicoterapia dell’età evolutiva.
Aggiungi un programma scientifico ricchissimo, che in tre giornate ha offerto: tre workshop dal taglio pratico su modelli specifici di intervento in età evolutiva; due tavole rotonde sul tema dei disturbi specifici dell’apprendimento e dei disturbi di personalità, in un’ottica di sviluppo e nell’arco di vita; la main relation del prof. Steven C. Hayes, ideatore e co-sviluppatore dell’Acceptance and Commitment Therapy; sei simposi paralleli in cui sono stati presentati lavori clinici e di ricerca relativi all’applicazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) in età evolutiva.

Infine, immagina la tanta voglia di stare insieme e di confrontarsi dopo un lungo periodo di pandemia e la location suggestiva di una città sul mare come quella di Ancona: il risultato è senza dubbio un’esperienza positiva. Così è stato il Congresso Intermedio SITCC 2022 intitolato “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.

Grazie al lavoro svolto dal comitato scientifico, rappresentato dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva APC-SPC e la Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva SBPC, per tutti i soci è stato possibile partecipare al primo congresso SITCC dedicato interamente all’età evolutiva. L’imbarazzo della scelta sui panel da seguire è stato costante, ma al tempo stesso l’indecisione è stata piacevolmente modulata dalla soddisfazione nel vedere così tanti terapeuti distribuiti nelle aule e dalla possibilità di confrontarsi con colleghi che avevano seguito simposi diversi dai propri. Sono stati, infatti, davvero tantissimi gli spunti di riflessione da cogliere durante le tre giornate di lavoro, nella comune convinzione che, grazie a una vincente integrazione tra scienza, pratica clinica e creatività, sia possibile intervenire nel percorso di vita dei nostri giovani pazienti prima che diventino degli adulti sofferenti. A partire dalla giornata di workshop, si è potuto sperimentare, ad esempio, quanto con la Theraplay si possa avere accesso al mondo interno di bambini e adolescenti con attività che apparentemente sembrano “solo” ludiche. Ciò avvalora ulteriormente quanto una puntuale rappresentazione del funzionamento del paziente nella mente del suo terapeuta, unita a un razionale strategico che ne tenga conto, siano elementi fondamentali in grado di trasformare una “semplice” pratica di confronto giocoso in una preziosa occasione di consapevolezza, elaborazione della sofferenza e cambiamento. Allo stesso modo, proseguendo con i simposi e le tavole rotonde, è stato possibile constatare, a conferma di quanto già riscontrabile nella pratica clinica quotidiana, come quei bambini e ragazzi che fin dai primi anni di vita si trovano costretti a confrontarsi con una vulnerabilità neuropsicologica crescano costruendo una immagine di sé stessi e del mondo attorno strettamente vincolata a esperienze di svantaggio in molti domini di vita. Il risultato è una marcata ricaduta negativa sull’immagine di sé e sulle relazioni interpersonali, spesso origine di sofferenza psichica che, se trascurata o considerata solo marginalmente, li porterà con grande probabilità ad essere degli adulti ancor più problematici. Riassumere tutto in poche righe è davvero un’impresa impossibile, non resta che aspettare il prossimo congresso organizzato dai colleghi dell’area di Interesse sulla Psicoterapia dell’Età Evolutiva e parteciparvi, così da essere ancora più numerosi e alimentare uno scambio scientifico sempre più stimolante.

Foto di Artem Podrez:
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Tutti i colori del Congresso SITCC

di Rosaria Monfregola

Report dell’’evento ad Ancona sull’età evolutiva

Quest’anno è stata Ancona, la città dei due soli, a ospitare il congresso intermedio SITCC, che si è svolto a dicembre; nell’intero weekend non è stato possibile vedere i due soli (l’alba e il tramonto sul mare) a causa di forti piogge, ma l’ultimo giorno l’immagine di un arcobaleno sul mare ancora riaffiora nella mia mente, a suggellare l’esperienza di questo congresso.

In apertura gli organizzatori forniscono qualche dato dalle sfumature grigiastre: “Si consideri che la metà degli adulti con una patologia psichiatrica hanno un esordio prima dei 14 anni” (Rapporto dell’OMS del 2021) e “in Italia circa 400.000 minori sono in carico ai servizi sociali, di cui 77.000 per maltrattamento” (Rapporto CISMAI del 2021). Queste solo alcune ragioni a favore di un congresso incentrato sulla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, sottolineando l’importanza dell’intervento terapeutico in età precoce. E con l’avvio dei lavori inizia a colorarsi il panorama congressuale.

Uno dei colori è rappresentato dal confronto tra professionisti su tematiche specifiche. Ad esempio, nella prima tavola rotonda, con focus sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e sulle comorbilità psichiatriche, si è parlato dell’importanza della diagnosi esplicativa nelle comorbilità dei DSA, delle co-occorrenze con i disturbi esternalizzanti che rappresenta un importante fattore di rischio in età evolutiva. Nella seconda tavola rotonda, incentrata su disturbi di personalità, prodromi e modelli di intervento, i colleghi hanno condiviso l’importanza di rintracciare i precursori di rischio e i fattori protettivi per uno sviluppo armonico della personalità in età evolutiva, ma soprattutto la necessità di effettuare una diagnosi precoce. Di grande rilevanza, ad esempio, il contributo sui comportamenti suicidari e l’autolesività non suicidaria in adolescenza.

Un altro colore di questo congresso è dato dall’esplicazione di numerosi modelli di intervento presentati nei workshop, nella presentazione di casi clinici, oppure proposti in forma descrittiva nei vari simposi: per citarne alcuni, si pensi alla Trauma Focused Therapy (TF-CBT) che ha dominato il simposio sul trauma, al Modello a Tre assi (TAM) esposto nel simposio sull’Adolescenza, o al Cool Kids Program, il modello scopistico presentato in più di un lavoro o un protocollo di promozione del benessere volto al miglioramento della qualità di vita nei ragazzi con DSA.

L’esperienzialità è stata una tinta accesa dei tre workshop in parallelo che hanno introdotto nell’applicazione di modelli specifici di intervento. Nel workshop “La Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi da tic e della Sindrome di Tourette”, la dott.ssa Monica Mercuriu ha presentato il modello di terapia cognitivo comportamentale integrata (CBTI), arricchito da video e vignette cliniche. Il fare esperienza di un’esemplificazione di trattamento in diretta, mediante collegamento online con un giovane paziente con sindrome di Tourette, è stato un momento prezioso per toccare con mano l’applicazione dell’Habit Reversal Training (H.R.) e dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), tecniche evidence based per la sintomatologia ticcosa.

Non sono mancati i lavori di ricerca che hanno consentito di portare dati di efficacia nei diversi ambiti di applicazione della terapia cognitivo comportamentale in età evolutiva.

Un nuovo colore è stato dato dalle nuove prospettive, tra le quali quella proposta dall’ospite internazionale, il prof. Steven C. Hayes: l’Extenden Evolutionary Meta-Model (EEMM), un approccio evolutivo basato sui processi, che attenziona la natura multidimensionale e multilivello del funzionamento umano. Oltre alle sei dimensioni psicologiche, l’autore cita i livelli biofisiologici e socioculturali osservabili nei processi di cambiamento.

Infine, un tocco di luminosità è stato dato dalla condivisione con i colleghi: nei coffee break e nel corso dell’immancabile e briosa cena sociale, il confronto è stato quel quid in più che ha permesso la condivisione di idee e l’arricchimento della rete di relazioni.

È con un arrivederci a Bari 2023 (save the date: 21-24 settembre) che si è concluso questo congresso SITCC!

 

Foto di Alexander Grey:
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La salute del sonno nell’età evolutiva

di Debora Meneo, Carlo Buonanno e Chiara Baglioni

Effetti e rischi dei cambiamenti nel pattern sonno-veglia nell’età dello sviluppo e dell’adolescenza

Il sonno è un processo psicofisiologico necessario per la nostra sopravvivenza, regolato dal sistema nervoso centrale e che occupa circa un terzo della nostra vita. Nei primi anni di vita passiamo più tempo dormendo che svegli e fino alla fine dell’adolescenza abbiamo bisogno che il nostro sonno occupi uno spazio importante della giornata per poter ottenere un buon funzionamento a livello mentale e fisico. Durante l’età dello sviluppo, infatti, i cambiamenti nel pattern sonno-veglia si associano ai progressi nella maturazione cerebrale. Nonostante l’importanza del sonno per lo sviluppo, le problematiche a esso associate sono diffuse in età pediatrica. Infatti, la maggior parte dei bambini apprende ad addormentarsi da solo attraverso associazioni positive create all’addormentamento dalle interazioni con i genitori. I disturbi comportamentali del sonno sono molto frequenti nell’età dello sviluppo e riguardano circa il 30% dei bambini e il 10% degli adolescenti. Il trattamento di psicoterapia a orientamento cognitivo comportamentale è indicato come intervento di prima linea per i disturbi comportamentali del sonno in tutte le età. La terapia, basata su ampia evidenza empirica, include una famiglia di tecniche e strategie dirette a modificare credenze e atteggiamenti relativi al sonno. L’intervento è diretto esclusivamente ai genitori quando i bambini sono molto piccoli, può coinvolgere il bambino in età scolare e si rivolge principalmente al ragazzo o alla ragazza durante l’adolescenza. La problematica più prevalente è il disturbo di insonnia, che si presenta come una difficoltà di inizio o di mantenimento del sonno, o di risveglio precoce, associata a un disagio rilevante durante il giorno. Secondo i criteri diagnostici internazionali (DSM-5, APA, 2013 e Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno, AASM, 2014), nell’età evolutiva il disturbo di insonnia si può manifestare anche attraverso una resistenza ad andare a dormire negli orari indicati dai genitori, o una capacità selettiva di iniziare e/o riprendere il sonno solo in alcune condizioni, come per esempio esclusivamente se presente il genitore. Dato che gli orari di sonno dei bambini sono spesso definiti dalla famiglia, può capitare che il disturbo di insonnia si associ a un disturbo del ritmo circadiano. L’interazione tra un sonno discontinuo e di scarsa qualità, con orari irregolari o non appropriati rispetto al ritmo solare e sociale e con una quantità di sonno ridotta, rappresenta un problema sempre più diffuso. In generale, è stata osservata una tendenza verso un addormentamento tardivo in età pediatrica: i bambini sono spesso messi a letto più tardi rispetto a quanto il loro orologio circadiano permetterebbe normalmente; questo, a sua volta, contribuisce a un altro trend verso la riduzione della durata del sonno nei bambini. Durante lo sviluppo, il bisogno di sonno è più alto che in età adulta (dalle 9-11 ore in età scolare alle 8-10 ore in adolescenza). Tuttavia, bambini e ragazzi nel mondo occidentale riportano una tendenza a dormire meno rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida internazionali. Dati precedenti all’insorgenza della pandemia da Covid-19 nella popolazione italiana hanno mostrato come bambini e adolescenti italiani tendono ad andare a dormire circa un’ora più tardi in confronto ai coetanei del Nord Europea o degli Stati Uniti e a riportare una quantità del sonno minore rispetto al loro bisogno fisiologico. Dati raccolti durante il periodo di pandemia in Italia hanno mostrato un’allarmante prevalenza di sintomi di insonnia nei bambini più piccoli, nei bambini in età scolare e negli adolescenti. Tuttavia, definire quando un sonno insufficiente diventa disfunzionale in questa fase di vita può rilevarsi operazione non semplice. La maggior parte degli studi sul sonno nei bambini si è focalizzata su una singola dimensione, come la durata appropriata per l’età o la presenza di difficoltà nell’addormentamento. Nel 2014, prendendo in considerazione l’età adulta, Daniel Buysse ha proposto di definire cos’è un sonno sano in un’ottica multidimensionale. Le dimensioni sono: soddisfazione, livello di vigilanza diurna, tempo del sonno, efficienza e durata. Ognuna di queste dimensioni è risultata connessa alla salute e alterazioni in ognuna di esse si associano a esiti negativi dal punto di vista del funzionamento della persona e della salute fisica e mentale. Integrando il concetto di salute del sonno proposto da Buysse nel 2014 e nell’applicarlo ai bambini, Donald Meltzer e colleghi nel 2021 aggiungono una sesta dimensione della salute del sonno in età pediatrica: i comportamenti relativi al sonno. All’interno di tali comportamenti rientrano sia la regolarità del pattern di sonno che le routines all’addormentamento. Un pattern di sonno irregolare, segnato da un’alta variabilità in orario e durata del sonno da giorno a giorno, è risultato nocivo per la qualità del sonno dei bambini e associato a problematiche comportamentali. Una routine consistente aiuta a rafforzare la normale regolazione del ciclo sonno-veglia; inoltre, l’uso di strategie di addormentamento sotto forma di routine in accordo alla regolazione del sonno aiutano a creare un momento interattivo che nutre la capacità del bambino di addormentarsi in modo indipendente. Routines che non sono consistenti o non compatibili con l’igiene del sonno possono, invece, alimentare la resistenza all’addormentamento, un orario di sonno tardivo e, di conseguenza, una durata del sonno ridotta. Per esempio, molti bambini sono esposti alla televisione o a dispositivi elettronici in generale prima o durante l’addormentamento, con un conseguente ritardo dell’orario di sonno e della sua durata. Queste abitudini possono associarsi a livelli di attivazione psicofisiologica che sono incompatibili con il sonno. È importante sottolineare che i disturbi del sonno in età pediatrica sono una problematica che ha effetto su tutto il sistema familiare. Molti genitori sviluppano ansia e preoccupazione per il sonno dei propri figli e questo, a sua volta, incide sulla loro capacità di gestire lo stress e di avere un buon riposo. In una recente intervista apparsa su The Guardian, il dottor Dimitri Graviloff, direttore del servizio per i disturbi del sonno in età pediatrica dell’Oxford University Hospital, sottolinea come l’apprensione dei genitori verso la salute del sonno dei bambini abbia portato molti a richiedere l’aiuto di consulenti privati, che non sempre hanno una formazione professionale adeguata. Infatti, come il dottor Graviloff avverte, si tratta di un’industria non regolamentata, all’interno della quale non ci sono standard di formazione per i consulenti o di scientificità per gli interventi o consigli erogati. Il prezzo che molti genitori pagano è alto, non solo sul versante economico, ma anche sul versante delle possibili ripercussioni di interventi non basati sull’evidenza sulla salute del sonno dei bambini. È quindi sempre più importante avere informazioni basate sull’evidenza da comunicare alle famiglie e includere i bambini stessi, quando l’età lo permette e il prima possibile, nell’educazione sul sonno, in modo da fornire loro strumenti di auto-regolazione che potranno usare anche in futuro per prevenire problematiche di sonno a lungo termine.

Per approfondimenti
Bacaro, V., Chiabudini, M., Buonanno, C., De Bartolo, P., Riemann, D., Mancini, F., Baglioni, C. (2021b). Sleep Characteristics in Italian Children During Home Confinement Due to Covid-19 Outbreak. Clinical neuropsychiatry, 18(1), 13–27. https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210102

Bacaro, V., Gavriloff, D., Lombardo, C., & Baglioni, C. (2021a). Sleep Characteristics in the Italian Pediatric Population: A Systematic Review. Clinical neuropsychiatry, 18(3), 119–136.  https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210302

Buysse D. J. (2014). Sleep health: can we define it? Does it matter?. Sleep, 37(1), 9–17. https://doi.org/10.5665/sleep.3298

Meltzer, L. J., Williamson, A. A., & Mindell, J. A. (2021). Pediatric sleep health: It matters, and so does how we define it. Sleep medicine reviews, 57, 101425. https://doi.org/10.1016/j.smrv.2021.101425

Articolo The Guardian: https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2021/may/29/losing-my-mind-can-baby-sleep-gurusreally-help-exhausted-parents

Foto di Matheus Bertelli:
https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-che-si-appoggia-la-testa-sulla-sua-mano-mentre-chiude-gli-occhi-573253/

Essere genitori di un bambino autistico

di Federica Codini

Strategie di Coping e sviluppi futuri

L’esperienza della disabilità è un terremoto emotivo che sconvolge l’esistenza di una persona che si vede costretta a riscrivere i piani della propria vita. Il sogno di avere quel figlio perfetto svanisce nel nulla e da questo momento a quello di accettazione della disabilità intercorre un tempo variabile per ciascuno: nel mezzo troviamo senso di colpa, vergogna, rabbia, impotenza, depressione che si alternano tra loro e, come in una danza, si danno il cambio con un nuovo slancio propositivo a ogni stadio evolutivo del figlio.

Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) è un disturbo del neurosviluppo a insorgenza precoce, caratterizzato da difficoltà nell’interazione e nella comunicazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati.

I caregiver, coloro che se ne prendono cura, possono trovarsi a dover fronteggiare richieste di natura pratica, psicologica e sociale.

Le sfide che i caregiver di persone con ASD affrontano più frequentemente sono: stress, impatti negativi sulle relazioni, difficoltà finanziarie, problemi di salute fisica e mentale. Inoltre, questi genitori riferiscono una minore soddisfazione matrimoniale e hanno circa il doppio delle probabilità di divorziare rispetto ai genitori i cui figli non hanno ASD o che hanno altre disabilità. Il 60% delle madri di un bambino affetto da ASD non ha potuto proseguire la propria carriera professionale, mentre quelle rimaste occupate hanno riferito di orari di lavoro ridotti e perdita di guadagno. Con il termine “stress” si intende l’esito di un processo di valutazione ed emerge nel momento in cui le richieste esterne (ambiente) e/o interne (della persona) mettono a dura prova le risorse dell’individuo. Per far fronte allo stress percepito, è possibile prendere in considerazione le varie strategie di coping e cioè le modalità con cui le persone affrontano le diverse situazioni.

Una revisione della letteratura sulle strategie di coping ha messo in luce come la distrazione, la ristrutturazione cognitiva, la minimizzazione e l’accettazione possano aiutare un individuo ad adattarsi a un’esperienza stressante.

È stato osservato come in mancanza di risorse esterne, al fine di far fronte alle varie sfide quotidiane, i caregiver facciano affidamento alle risorse interne. Tale considerazione ci spinge a fare luce sul come implementare strategie di coping utili a incrementare risorse interne dei caregiver. Una delle strategie di coping prese in considerazione dalla psicologa britannica Deborah Lancastle è il coping di rivalutazione cognitiva, che si basa sulla capacità di rivalutare una situazione in un’ottica più positiva e/o neutra. Dato che le situazioni stressanti causano una maggiore reattività del sistema nervoso autonomo e reazioni fisiche spiacevoli, come battito cardiaco accelerato e affaticamento, è plausibile ipotizzare che le emozioni positive possano ridurre l’impatto fisiologico del sentirsi tristi o arrabbiati. Lo studio rileva risultati in linea con quelli della psicologa statunitense Susan Folkman, in cui si osserva come il coping di rivalutazione cognitiva sia correlato a una maggiore resilienza, a emozioni più positive e a un minor senso di carico di cura, alimentando quindi sempre più l’attenzione allo sviluppo di un programma che veda come centrale un intervento nel supportare i caregiver nell’uso efficace di tale strategia di coping.

Per approfondimenti

Deborah Lancastle ID1 *, Joanna Hill1 , Susan Faulkner1 , Alecia L. Cousins2. The stress can be unbearable, but the good times are like finding gold”: A phase one modelling survey to inform the development of a self-help positive reappraisal coping intervention for caregivers of those with autism spectrum disorder. PLoS uno. 2022; 17(3)

Folkman S. Stati psicologici positivi e gestione di forti stress. Soc Sci Med . 1997; 45 ( 8 ):1207–21. doi: 10.1016/s0277-9536(97)00040-3

Moskowitz J. T, Folkman S. Collette L. Vittinghoff E. Affrontare e umore durante il caregiving e il lutto correlati all’AIDS . Ann Behav Med . 1996; 18 ( 1 ):49–57. doi: 10.1007/BF02903939

 

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Self criticism in psicoterapia

di Andrea Paulis

Le tecniche per promuovere lo sviluppo di un dialogo interno sano e per ridurre l’impatto dell’autocritica

Ogni essere umano può fare esperienza di un “dialogo interno” dalle connotazioni più o meno critiche, in cui riflette sul sé e sulla propria condizione. Tuttavia, in alcuni individui questo può polarizzarsi, prendendo una forma così ostile da provocare e mantenere intensi sentimenti di indegnità.

Secondo lo psichiatra Sidney Blatt, questo processo, che in letteratura prende il nome di “self criticism” (o “self blame”), può variare per livello di gravità e si manifesta attraverso un’autocritica caratterizzata da forte preoccupazione per la propria realizzazione, sentimenti di fallimento, colpa, inferiorità e vergogna.

Lo psicologo clinico Paul Gilbert suggerisce l’esistenza di due diverse forme di autocritica denominate “sé odiato” (hated-self) e “sé inadeguato” (inadequate-self). La prima forma, il sé odiato, sarebbe un tipo di dialogo interno focalizzato sull’odio di sé, sull’aggressività autodiretta e sul desiderio di eliminare degli aspetti indesiderati del sé. La seconda forma, il sé inadeguato, sarebbe indirizzato a sottolineare ed enfatizzare le proprie inadeguatezze, mantenendo una funzione auto-correttiva anziché auto-persecutoria.

Nonostante la differenziazione, entrambe queste tipologie di dialogo risultano correlate a una bassa autostima, una ridotta soddisfazione per la propria vita e rappresentano un fattore discriminante tra popolazione clinica e non clinica. Infatti, la presenza di self criticism all’interno del quadro clinico si associa a comportamenti autolesionistici, suicidi, disturbi depressivi, ansia sociale, disturbi alimentari, disturbo borderline di personalità, deliri persecutori e disturbo post-traumatico da stress. La letteratura in merito indica che, a prescindere dalla diagnosi, gli individui con livelli più elevati di autocritica tendono ad avere peggiori outcome psicoterapeutici e che, quando l’autocritica viene ridotta con successo durante la terapia, migliorano gli esiti. La moltitudine di ricerche sottolinea la natura transdiagnostica e la rilevanza clinica del self criticism nel mantenimento del disagio psicologico.

Evidenze come queste stimolano il dibattito clinico e pongono l’accento sul considerare il self blame, quando e se presente, come un obiettivo particolarmente rilevante per la cura delle difficoltà psicologiche.

Ma come è possibile promuovere lo sviluppo di un dialogo interno più sano e ridurre l’impatto dell’autocritica?

Una delle tecniche spesso utilizzate a tale scopo è il Chairwork, intervento ideato originariamente dallo psichiatra Jacob Moreno nel 1948 e successivamente assorbito da diversi approcci psicoterapeutici come quelli di matrice cognitivo comportamentale.

Il Chairwork, a prescindere dal tipo di psicoterapia che ne prevede l’uso, si basa su tre principi generali:

    • molteplicità: il sé è sfaccettato e le “parti del sé” rilevanti possono essere differenziate attraverso il posizionamento in sedie separate;
    • personificazione: le parti del sé possono essere interpretate dall’individuo in modo da facilitare lo scambio di informazioni;
    • dialogo: le parti del sé sono incoraggiate a parlare tra loro, con il paziente o con il terapeuta al fine di alleviare il disagio.

Molte forme di terapia cognitivo comportamentale che incorporano questa pratica si sono dimostrate clinicamente efficaci e i pochi studi che hanno testato direttamente la tecnica sembrano confermarne l’utilità.

Un dato interessante riguarda l’indagine condotta da Matthew Pugh e colleghi, su 102 terapeuti cognitivo comportamentali per indagare l’uso e la propensione al lavoro con le sedie: la maggioranza degli intervistati percepiva l’intervento come clinicamente efficace e coerente con il modello cognitivo comportamentale, tuttavia, solo il 35% dei professionisti era adeguatamente formato all’uso della tecnica. I feedback rilevati hanno identificato l’ansia del terapeuta e l’accesso limitato alla formazione come preponderanti fattori inibitori per l’uso della tecnica.

In conclusione, oltre a rendersi necessarie ulteriori ricerche relative al Chairwork, i dati suggeriscono che una formazione specifica su questo tipo di intervento, e in generale sul trattamento dei fattori  di mantenimento transdiagnostici, potrebbe migliorare gli outcome terapeutici.

Per approfondimenti

    • Wakelin, K. E., Perman, G., & Simonds, L. M. (2022). Effectiveness of self‐compassion‐related interventions for reducing self‐criticism: A systematic review and meta‐analysis. Clinical Psychology & Psychotherapy, 29(1), 1-25.
    • Pugh, M. (2018). Cognitive behavioural chairwork. International Journal of Cognitive Therapy, 11(1), 100-116.
    • Biermann, M., Bohus, M., Gilbert, P., Vonderlin, R., Cornelisse, S., Osen, B., Graser, J., Brüne, M., Ebert, A., Kleindienst, N., & Lyssenko, L. (2020). Psychometric properties of the German version of the Forms of Self-Criticizing/Attacking and Self-Reassuring Scale (FSCRS). Psycho- logical Assessment, 33(1), 97–110. https://doi.org/10.1037/ pas0000956
    • Pugh, M., Bell, T., Waller, G., & Petrova, E. (2021). Attitudes and applications of chairwork amongst CBT therapists: a preliminary survey. The Cognitive Behaviour Therapist, 14.

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Senso di colpa, emozione a due facce

di Estelle Leombruni

Colpa altruistica e colpa deontologica: una tesi dualistica

In un recente articolo pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, il neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta Francesco Mancini e la psicoterapeuta Amelia Gangemi affrontano il tema della colpa, offrendo al lettore le informazioni necessarie per un’approfondita comprensione di questa complessa emozione e delle sue implicazioni sulla sofferenza psichica.

La tesi portata avanti è quella dell’esistenza di due forme distinte di colpa: la “colpa altruistica”, che viene sperimentata quando si assume di aver compromesso uno scopo altruistico, e la “colpa deontologica”, derivante dall’assunzione di aver violato una propria norma morale.

Queste due forme di colpa generalmente coesistono nella vita quotidiana, tuttavia è possibile anche sperimentarle separatamente: sentirsi in colpa per non essersi comportati in maniera altruistica senza però violare una propria regola morale oppure trasgredire una norma morale senza che sia presente una vittima, ovvero in assenza di una persona danneggiata.

Sono numerose le evidenze empiriche che supportano tale distinzione: da un punto di vista comportamentale, per esempio, le ricerche mettono in luce come, inducendo uno dei due tipi di colpa, si ottengono azioni di risposta differenti (azione che tutela uno scopo altruistico o azione per uno scopo morale). Dal punto di vista dei circuiti neurali coinvolti in questi processi, gli studi condotti tramite la risonanza magnetica funzionale mettono in risalto come si attivino network cerebrali diversi a seconda del tipo di colpa sperimentato. La distinzione è evidente anche per quanto riguarda il rapporto che questi due sensi di colpa hanno con altre emozioni: per esempio, la colpa deontologica sembrerebbe che abbia una stretta connessione con il disgusto mentre la forma altruistica con il vissuto di pena.

Questa duplice visione del sentimento di colpa consente una maggiore comprensione di altri fenomeni (come del cosiddetto omission bias ovvero la tendenza sistematica a favorire un atto di omissione rispetto a uno di commissione) e ha importanti implicazioni circa la psicologia clinica, in particolare, nella comprensione del disturbo ossessivo- compulsivo, in cui la colpa deontologica svolge un ruolo cruciale, e di alcune forme di reazione depressiva, per cui sembra essere rilevante la colpa altruistica.

Una comprensione più approfondita dei disturbi consente di sviluppare interventi psicoterapici che mirino specificatamente al tipo di colpa che potrebbe essere alla base delle problematiche presentate, garantendo in questo modo una maggiore possibilità di successo terapeutico, ossia di raggiungimento e mantenimento degli obiettivi prefissati.

L’approfondimento proposto dai due autori consente, quindi, non solo di comprendere meglio le determinanti psicologiche e le implicazioni cliniche dei due sensi di colpa, ma anche di sviluppare interessanti spunti di riflessione sulle implicazioni psicoterapiche e sulle future possibili ricerche.

Per approfondimenti:

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2021.651937/full