Disturbo da accumulo: assessment a domicilio

di Vincenzo Russo

Scrivendo il capitolo sull’Assessment contenuto nel libro sul Disturbo da accumulo a cura di Claudia Perdighe e di Francesco Mancini, la cosa che mi ha più incuriosito e nello stesso tempo fatto riflettere, riguarda la necessità di dover eseguire una valutazione della gravità del disturbo, recandosi direttamente nell’abitazione del paziente.

I terapeuti cognitivo-comportamentali sono abituati ad uscire dall’ambito della stanza dove abitualmente svolgono la loro attività professionale per recarsi a casa dei pazienti quando, ad esempio, bisogna attuare la tecnica di esposizione con prevenzione della risposta (ERP).

Ovviamente è capitato anche a me di recarmi a casa di pazienti con disturbo ossessivo compulsivo e ho sempre trovatoSchermata 2015-05-23 alle 08.16.49 tantissima disponibilità nel farmi entrare e nello svolgere insieme, in quell’ambiente personale, tutti gli esercizi di esposizione che il protocollo per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo prevede. Non nascondo che provo sempre una grande emozione quando mi reco a casa dei pazienti e cerco sempre di approcciarmi all’esperienza con enorme rispetto: la persona in quel momento sta per svelarmi un pezzo della sua “intimità” e interpreto questa disponibilità come una sorta di “dono” che le persone mi fanno: accettare che uno sconosciuto entri in casa credo che sia un processo di accettazione importantissimo e quindi, in questo caso, si è già in corsa sul binario della guarigione dalla patologia.

Insieme all’emozione che provo scorgendo quello spaccato d’intimità, contemporaneamente mi aggiro in casa come un investigatore (discreto fino al midollo) sul luogo del delitto: “ecco il cassetto incriminato, ora la maniglia che non deve essere sfiorata e ancora ecco il bagno dove si sono consumati minuti e minuti di lavaggi sfrenati!”.

La parte dell’ERP domiciliare segue sempre un iter di procedura terapeutica che ha già previsto vari colloqui di assessment e di lavoro in studio e dove, in un certo senso, la pianta della casa dove in seguito ci saranno le esposizioni, un po’ inizia a palesarsi ai miei occhi. Non dico che mi aspetto precisamente cosa potrei trovare a casa del paziente ma un esercizio immaginativo l’ho già compiuto e quindi si tratta solo di verificare se la mia fantasia sia giusta o sbagliata. Oltretutto, siccome il lavoro con l’esposizione riguarda, di solito, una parte avantazata del protocollo sul trattamento, si presume che la relazione terapeutica fondata sulla reciproca fiducia e su una motivazione alla terapia di tipo cooperativo-paritetica, sia già bella che consolidata.

Nel caso di un disturbo di accumulo invece, la visita domiciliare fa parte dell’iniziale processo di valutazione dove, di solito, la fiducia nei confronti del terapeuta, e quindi la relazione terapeutica, ancora non si è consolidata. Fare una valutazione “sul campo” è un passo estremamente importante per impostare la strategia terapeutica individualizzata e per capire quanto il disturbo compromette il quotidiano normale utilizzo dell’ambiente domestico. Sebbene esista un test per misurare la gravità del disturbo che si avvale dell’uso d’immagini dei diversi ambienti domestici, come la Clutter Immage Rating Scale (CIR-S; Frost, Steketee, Tolin et al., 2008), una valutazione visiva della casa, meglio se diretta, risulta essere l’unico modo per comprendere anche il livello di insight che il paziente in questione ha del suo disturbo e, siccome di solito risulta essere significativamente basso (Jakubovski, Pittenger, Torres et al., 2011), l’assessment domiciliare risulta essere il metodo di valutazione più potente.

Una caratteristica tipica dei pazienti con disturbo di accumulo è l’intenso sentimento di vergogna e il timore di essere disprezzati dagli altri. Proprio in funzione di questo sentimento, passano la maggior parte della loro vita a nascondere alla vista degli altri gli spazi dove vivono. La vergogna è una delle ragioni che compromette la possibilità di effettuare una visita domiciliare.

Rimane quindi non praticabile la similitudine che il terapeuta fa di se stesso con i collaboratori del dr. House quando si recano a casa dei pazienti per carpirne gli stili di vita con la finalità di eseguire una accuratissima diagnosi; ecco svanire il sogno di sentirmi per una volta come il cinico dr. Foreman, magari affiancato da una affascinante dr.ssa Cameron (gli amanti della serie sanno sicuramente di cosa parlo!).

Nell’articolo intitolato Assessment of hoarding (Frost, Hristova., 2011) gli autori scrivono che le condizioni di vita dei pazienti, sono spesso molto peggiori di quanto il terapeuta possa immaginare. In particolare, quando l’accumulo riguarda gli animali e/o cibarie o resti corporei, risulta molto complicato per chi effettua la valutazione non trasmettere al paziente un mix di emozioni che vanno dallo shock al disgusto.

Come si fa quindi in queste condizioni a essere rispettosi dell’intimità che la persona ci sta mettendo a nudo facendoci entrare a casa sua, della dignità che ci sta trasmettendo in un quel momento e soprattutto della sofferenza che sta provando e contemporaneamente non lasciarsi condizionare dalla normali reazioni emotive che, in quanto esseri umani, potremmo potenzialmente sperimentare? Facendo appello a una buons disciplina interiore riuscirà il terapeuta a rimanere sia consapevole delle proprie emozioni che non condizionante rispetto alla loro possibile manifestazione? Quest’aspetto mi ha profondamente fatto riflettere e non nego che a oggi, non so ancora fare delle previsioni su come potrei reagire in una situazione del genere. Si dice che la soluzione più giusta è farsi guidare dal buon senso, che non si apprende a scuola di specializzazione o in un qualsiasi Master post universitario. Spero di averne da vendere!

Ecco che quindi la procedura di assessment nel disturbo di accumulo assume un’importanza cruciale anche per il proseguimento stesso del trattamento. Il suggerimento che Frost fa è quello di limitare il focus non sugli aspetti estetici degli spazi di vita ma soprattutto su quanto la confusione crea disagio al paziente. Un po’ sterile come suggerimento e un modo molto anglosassone di affrontare la questione, ma se utile perchè non assumere questa predisposizione mentale?

A conclusione di questa mia riflessione, voglio ringraziare tutti i colleghi con i quali ho condiviso questo lavoro ma soprattutto il dr. Currò con il quale ho scritto il capitolo sulle procedure di Assessment riflettendo sugli aspetti umani oltre che professionali che una persona che entra “nelle vite degli altri” deve necessariamente possedere.

Riferimenti Bibliografici

  1. Perdighe , F. Mancini (a cura di) Il disturbo da accumulo, Ed. Raffaello Cortina Editore.

Frost, R.O., Steketee, G., Tolin D.F., Renaud, S. (2008), “Development and validation of the clutter immage rating”. In Journal Of Psychopathology and Behavioural Assessment, 30, 3, pp. 193-203.

Frost, R. O., Hristova, V. (2011), “Assessment of hoarding”. In Journal of clinical Psychology, 67, 5, 456-466

Jakubovski, E., Pittenger, C., Torres, A. R., Fontenelle, F. L., Rosario, M. C., Ferrão, Y. A., Mathis, M. A., Miguel, E. C., & Bloch, M. H. (2011). Dimensional correlates of poor insight in obsessive compulsive disorder. Progress in Neuro-Psychopharmacology & Biological Psychiatry, 35, 1677-168

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