Distanziamento: l’effetto sui ragazzi

di Caterina Villirillo

È sempre possibile, nonostante le difficoltà oggettive, favorire la focalizzazione sugli aspetti positivi di ciò che accade

La parola d’ordine di questi ultimi mesi è “distanziamento”: siamo continuamente bombardati da informazioni che ribadiscono quanto sia importante mantenere le distanze dagli altri, rinunciare alle nostre abitudini, ai nostri hobby e alla nostra vita sociale. Ma che effetto ha tutto ciò sugli adolescenti?

Dalla letteratura sappiamo che il fattore che più correla con la felicità in età evolutiva è avere buone relazioni interpersonali. Le relazioni con i pari, infatti, sembrano avere notevoli effetti sul benessere soggettivo dei bambini e degli adolescenti sia nella loro vita quotidiana sia nel corso del loro sviluppo a lungo termine. Quello che fa la differenza nel percepire le relazioni come soddisfacenti e quindi fonte di felicità, è quanto si ha l’impressione di contare, di essere visto, di essere importante per le persone significative o per il gruppo cui si appartiene.

In un momento così singolare della storia, ciò che più lamentano i nostri pazienti adolescenti è, infatti, l’impossibilità di frequentare i loro amici: questa sembra essere l’unica cosa di cui sentono veramente la mancanza, dimostrando, per il resto, di aver sviluppato un buon adattamento e rivelandosi molto più bravi di noi adulti a differenza di quanto si potrebbe pensare.

Cosa si può fare, dunque, per promuovere il benessere dei ragazzi e favorire la coltivazione delle relazioni sociali anche nel convivere con la pandemia?
Sicuramente è fondamentale fare in modo che abbiano, all’interno della routine quotidiana, un momento dedicato alla condivisione e al confronto con i pari, utilizzando le piattaforme online che tutti abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi tempi. Riprendere le attività scolastiche online è stato sicuramente d’aiuto poiché ha favorito un’occasione di socialità a cui i ragazzi avevano dovuto rinunciare ma, in generale, sono diverse le attività che si possono svolgere a distanza con i propri coetanei e questo periodo di quarantena può essere un’occasione per stimolare la creatività dei ragazzi e valutare possibilità di confronto con gli altri che in tempi “normali” può essere più difficile considerare.

Una domanda che mi piace porgere ai pazienti è: “Cosa posso fare grazie al Coronavirus?”. Quest’interrogativo, che in un primo momento può spiazzare, può invece stimolare le capacità di problem solving e favorisce, parlando in termini di Acceptance and Commitment Therapy, il perseguimento dei propri valori adottando metodi alternativi e avendo in mente cosa è importante per sé a prescindere da come si coltiva. Quello che noto nella pratica clinica è che, lavorando in questi termini e dunque promuovendo le competenze sociali e il perseguimento dei propri obiettivi, i pazienti stanno meglio, forse anche più di noi adulti, spesso ancorati alle nostre routine e con scarsa creatività.
È davvero emozionante scoprire insieme ai ragazzi la bellezza di fare nuove amicizie sui balconi, scoprendo di avere una vicina di casa coetanea e con tante passioni in comune che magari per tanti anni, presi dalle proprie attività e dal caos della vita quotidiana, non avevano mai notato. È bello riscoprire la bellezza della scrittura e imparare a coltivare le proprie amicizie per corrispondenza, raccontando le proprie giornate e sentendosi meno soli nell’affrontare questi cambiamenti che sono sicuramente d’impatto. È stimolante avere degli appuntamenti quotidiani fissi per fare sport insieme, cucinare delle torte anche con quegli amici lontani, che abitano in quartieri diversi della città con cui, in condizioni normali, è più difficile condividere momenti della propria quotidianità. I nostri ragazzi hanno imparato a divertirsi anche partecipando a party online e festeggiando il loro compleanno spegnendo le candeline davanti a più dispositivi collegati contemporaneamente, riscoprendo la bellezza dei piccoli gesti dimenticati come ricevere un disegno per regalo o una poesia dedicata.

Qualche giorno fa ho ricevuto questo messaggio da una “pazientina”:

“Questo compleanno l’ho passato pensando molto ai tuoi consigli, l’ho trascorso con tanta felicità, amore e creatività come mi hai detto, e anche se ero collegata virtualmente con le mie amiche mi sono focalizzata sulla bellezza del momento, le ho sentite molto vicine, ho ricevuto dei disegni bellissimi, ho capito quanto ci tengono a me. Si sono impegnate tanto anche se erano a distanza e ho trascorso ore spensierate con loro: è un compleanno che ricorderò!”.

Questo ci fa riflettere sull’efficacia di lavorare sulla promozione del benessere in qualsiasi contesto. È sempre possibile, nonostante le difficoltà oggettive più o meno grandi, favorire la focalizzazione sugli aspetti positivi degli eventi e promuovere una condotta in linea con i propri valori che garantisce un appagamento immediato.

Sicuramente stiamo vivendo un periodo difficile, diverso dal solito, ma questa diversità ci sta insegnando tanto e sicuramente, quando si ritornerà alla normalità, ci ritroveremo tutti un po’ cambiati e magari sapremo distinguere meglio cosa possiamo tralasciare, in cosa possiamo rallentarci e cosa è invece importante per noi, perseguendolo con tutti i mezzi disponibili e con soluzioni che in altri tempi sarebbe difficile immaginare.

Per ulteriori approfondimenti

Demir M., Ozen A., Dogan A., Bilyk N.A. & Tyrell F.A. (2011): I Matter To My Friend, Therefore I Am Happy: Friendship, Mattering, And Happiness. Journal of Happiness Studies, 12, 983–1005.

Demir M. & Weitekamp, L.A. (2007). I am so happy cause today I found my friend: Friendship and personality as predictors of happiness. Journal of Happiness Studies, 8, 181–211.

Holder M.D. & Coleman B. (2009). The Contribution of Social Relationships to Children’s Happiness; Journal of Child and Family Study, 10, 329-349.

Lópéz-Perez B., Sánchez J. & Gummerum M. (2016). Children’s and Adolescents’ Conceptions of    Happiness. Journal of Happiness Studies, 17, 2431–2455.

Mata K.A. (2019). Happiness: The Young Filipina Perspective. International Journal of Scientific & Engineering Research, vol 10, 1521-1525.

Nickerson A.B. & Nagle R.J. (2004). The influence of parent and peer attachments on life satisfaction in middle childhood and early adolescence. In Quality-of-life research on children and adolescents (pp. 35-60). Springer, Dordrecht.

Terry T. & Huebner E.S. (1995). The relationship between self-concept and life satisfaction in children. Social Indicators Research, 35, 39–52.

Turrell S.L. & Bell M. (2019). ACT per adolescenti. Trattare teenager e adolescenti in terapia individuale e in gruppo. A cura di Rossi E. Roma, Giovanni Fioriti Editore.

Stare male. Farsi male

di Miriam Miraldi

Il dolore fisico come tentativo di soluzione al dolore emotivo tra gli adolescenti

Negli ultimi anni, se da una parte i dati sul suicidio, seconda causa di morte nei giovani, hanno mostrato un generale calo, dall’altra sono invece aumentati i comportamenti autolesivi, ovvero di aggressione diretta verso di sé, attraverso tagli, bruciature, ferite.

Secondo uno studio del 2017 dell’Osservatorio Nazionale per l’adolescenza, due giovani su dieci hanno questo tipo di esperienza. Alcuni studi rilevano maggiore frequenza nelle ragazze, altri sembrano invece non rilevare significative differenze tra ragazzi e ragazze nella frequenza, piuttosto le differenze di genere sono più evidenti nelle modalità: mentre le ragazze utilizzano maggiormente il cutting o il tagliarsi, attraverso l’uso di lamette o altri materiali come pezzi di vetro,  i ragazzi tendono a utilizzare prevalentemente colpi autoinferti  o bruciature, per esempio di sigaretta o con accendini. I dati possono essere sottostimati in quanto tali comportamenti vengono agiti segretamente e possono essere accompagnati anche da vergogna e colpa, contrastando il diffuso malinteso che l’autolesionismo sia prevalentemente una forma di ricerca di attenzioni.

Solitamente il primo episodio avviene tra i 13 e i 14 anni, tuttavia si osservano alcune più rare situazioni anche in età precedente; in ogni caso si tratta generalmente di giovani che riportano caratteristiche associate al disagio emotivo come la forte autocritica, la depressione, l’ansia e la disregolazione delle emozioni. Inoltre, la letteratura indica che questi fenomeni si associano ad altri tipi di comportamenti autodistruttivi, come le difficoltà legate all’alimentazione e l’abuso di sostanze.

La ricercatrice americana Jennifer Muehlenkamp, in una recente analisi sul tema, condotta insieme ai suoi colleghi, ha evidenziato come nella letteratura scientifica il termine “autolesionismo intenzionale” o “auto-danneggiamento intenzionale” (DSH, deliberate self-harm) viene spesso impiegato come un termine più comprensivo per comportamenti autolesionistici, con o senza intenzionalità suicidaria, che hanno esiti non fatali; questa espressione tende a essere utilizzato principalmente nei paesi europei. Al contrario, molti studi pubblicati da ricercatori del Canada e degli Stati Uniti utilizzano “autolesionismo non suicidario“ (NSSI, non-suicidal self injury) per intendere l’aggressività deliberata e autoinflitta al proprio corpo, senza intento suicidario. In quest’ultima accezione, l’autolesionismo è riconosciuto anche come disturbo specifico nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5). Uno dei criteri diagnostici, in particolare, sottolinea anche l’aspetto “motivazionale”, per cui si osserva che l’individuo è coinvolto in attività autolesionistiche con una o più delle seguenti aspettative: ottenere sollievo da una sensazione o uno stato cognitivo negativi;  risolvere una difficoltà interpersonale; indurre una sensazione positiva.

L’autolesionismo può associarsi a diverse condizioni psicopatologiche, è positivamente correlato al suicidio, e assolve a differenti funzioni sia interpersonali che intrapersonali; lo si riscontra in particolare tra i giovani affetti da disturbi ansioso-depressivi e in coloro i quali mostrano alti livelli di disregolazione emotiva, caratterizzata da marcati e repentini cambiamenti dell’umore.

Ma perché i giovani e giovanissimi attivano tali comportamenti?

Le emozioni costituiscono un potente trigger e l’autolesionismo può essere al servizio di vari scopi: può servire per esprimere rabbia autodiretta o disgusto verso di sé, per punirsi o espiare una colpa, per porre fine a momenti di dissociazione o depersonalizzazione (dovuti per esempio a traumi o abusi); in generale, comunque, viene per lo più eseguito per “dare sollievo”, per alleviare – seppur solo temporaneamente – intense emozioni negative e per interrompere stati mentali indesiderati di frustrazione, solitudine, tristezza, distacco, angoscia o vuoto. Le condotte autolesionistiche consentono di spostare l’attenzione sul dolore fisico, non occupandosi di quello emotivo da cui, di fatto, originano. Anche da un punto di vista psicofisiologico, diverse ricerche sostengono l’ipotesi per cui esso eserciti la funzione di “regolatore delle emozioni”, in quanto si riscontra un abbassamento dell’arousal durante e dopo la messa in atto comportamenti autolesivi, che avrebbero dunque un potere “calmante”; questi studi derivano per lo più dalla teoria di Marsha Linehan sulla disregolazione emotiva nel Disturbo borderline di personalità, e sostengono che l’autolesionismo sia quindi una strategia di coping, ovvero di fronteggiamento delle situazioni emotivamente stressanti, per quanto chiaramente maladattiva. Il fatto che tale strategia in qualche modo “funzioni”, inducendo stati positivi, può attivare un circolo vizioso di mantenimento, favorendo la reiterazione di tali comportamenti.

Per approfondimenti

Muehlenkamp, J. J., Claes, L., Havertape, L., & Plener, P. L. (2012). International prevalence of adolescent non-suicidal self-injury and deliberate self-harm. Child and adolescent psychiatry and mental health6(1), 10.

Linehan M.M. (2011). Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline. Il modello dialettico. Raffaello Cortina Editore.

Klonsky E.D., Victor, S.E e Boaz Y.S. (2014). Nonsuicidal Self-Injury: What we know and what we need to know. The Canadian Journal of Psychiatry, 59(11), 565-568.

Andover M.S., Morris B.W., (2014). Expanding and Clarifying the Role of Emotion Regulation in Nonsuicidal Self-Injury. Can J Psychiatry, 59(11): 569–575.