Motivazione e dislessia

di Emanuela Pidri

I dislessici hanno un diverso modo di apprendere ma imparano come tutti gli altri

Il grado di difficoltà di un bambino dislessico può essere influenzato da fattori emotivo-relazionali come la motivazione. L’assenza, anche parziale, della spinta motivazionale verso la lettura e verso la scrittura ostacola le capacità attentive e di memoria a breve e a lungo termine. Il bambino demotivato ha scarsa tolleranza verso le frustrazioni per cui, di fronte all’insuccesso, spesso tende a non impegnarsi per risolvere il problema ma reagisce con il più totale disinteresse.

Secondo lo psicologo canadese Albert Bandura, è fondamentale agire sull’autoefficacia, cioè sull’insieme di aspettative che l’individuo nutre nei confronti di se stesso. Il soggetto, infatti, si impegnerà in un’attività in cui pensa di poter riuscire dove ritiene che il suo impegno possa essere positivamente riconosciuto, mentre non dedicherà sforzi in qualcosa in cui è convinto di non poter riuscire. A svolgere un ruolo determinante in questo processo è il locus of control, cioè la tendenza di ognuno ad attribuire a fattori esterni o interni i propri successi o insuccessi. Il bambino che attribuisce i suoi insuccessi a locus interno, attribuendo i pochi successi a locus esterno, sarà altamente demotivato, in quanto convinto che il suo impegno non possa migliorare la sua condizione. Ecco perché, iniziare un percorso di potenziamento, proponendo attività a lui accessibili, risulta importante per accrescere la sua autostima e quindi la sua motivazione. Il bambino dislessico è un bambino che ha alle sue spalle una storia scolastica costellata da insuccessi, perché non riconosciuto in tempo e quindi considerato troppo a lungo svogliato, pigro, disattento. Spesso si sarà sentito dire che non si impegna abbastanza, che dovrebbe fare più esercizio e avrà osservato tutti i suoi compagni procedere bene in un attività che a lui proprio non riesce. Questo può comportare atteggiamenti di fuga non solo fisica, come darsi malato o chiedere continuamente di uscire dall’aula, ma anche cognitiva, cioè pensare ad altro durante la lezione, evitando il più possibile di ascoltare l’insegnante e rendersi invisibile. Spesso tutto ciò si traduce in comportamenti disturbanti per la classe e molti dei bambini dislessici vengono scambiati per iperattivi o bambini poco maturi, con il rischio di ritardarne la diagnosi e quindi l’inizio di specifici interventi mirati al recupero. Anche l’ansia altera molto le prestazioni dell’individuo, per cui il bambino dislessico, con scarse capacità di lettura, posto in una situazione ansiogena, avrà performances ancora inferiori alle sue reali potenzialità. L’insuccesso prolungato provoca scarsa autostima e, dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità, scaturisce un disagio psicologico che può sfociare in un’elevata demotivazione all’apprendimento, in manifestazioni emotivo-affettive particolari (quali la forte inibizione, l’aggressività, gli atteggiamenti istrionici di disturbo alla classe) e, in alcuni casi, nella depressione. Anche in famiglia, la maggior parte dei bambini dislessici si trova a vivere una situazione difficile.

Per molti genitori la scuola è importante e viene prima di tutto il resto, con la conseguenza che di fronte a qualche difficoltà scolastica, si dimenticano tutte le altre abilità che potrebbe avere il bambino. Così inizia una storia fatta di punizioni, esercizi estenuanti per il recupero, talvolta continui cambi di istituto scolastico. Le difficoltà a scuola, l’incapacità degli altri di riconoscerle e di individuare stati d’animo a esse riconducibili, possono comportare grave emarginazione sociale e isolamento. Di fronte a un bambino con difficoltà di apprendimento diagnosticate, la scuola deve redigere un Piano Didattico Personalizzato, in cui vengono indicate le strategie di personalizzazione educativa e le misure compensative e dispensative agenti su autostima, iniziativa personale e fiducia in sé.  I dislessici hanno un diverso modo di apprendere ma imparano come tutti gli altri.

Per approfondimenti:

BANDURA A. (2007). Autoefficacia, teorie ed applicazioni. Fabbri, Milano

BIANCARDI A. E MILANO G. (1999). Quando un bambino non sa leggere. Vincere la dislessia e i disturbi dell’apprendimento. Rizzoli, Milano

CORNOLDI C. (1999). Le difficoltà di apprendimento a scuola. Il Mulino, Bologna

HUNTINGTON DD. E BENDER W.N. (1993). Adolescents with learning disabilities at risk? Emotional well being, depression, suicide. Journal of learning disabilities, 26 pp. 159-166

MEAZZINI P. (2002). La lettura negata ovvero la dislessia e i suoi miti. Guida al trattamento degli errori e delle difficoltà di lettura in cattivi lettori. Franco Angeli, Milano

STONE W. L E LA GRECA A. (1990). The social status of children with learning disabilities a reexamination. Journal of learning disabilities, 23 pp. 33-38

ZAPPATERRA T. (2012). La lettura non è un ostacolo. Scuola e DSA. Edizioni ETS, Pisa

ZOCCOLOTTI et al (2005). I disturbi evolutivi di lettura e scrittura. Carocci, Roma