Il cambiamento climatico ha un impatto significativo anche sulla salute mentale: qual è il ruolo della psicoterapia?
È sempre più difficile ignorare le immagini che, soprattutto in occasione della recente conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP26) a Glasgow, spopolano su giornali, riviste, social network e in rete in generale. Fotografie di orsi polari intrappolati su iceberg alla deriva, mari invasi dalla plastica, foreste pluviali un tempo lussureggianti rase al suolo dal disboscamento, uomini, koala e altri animali che sfuggono agli incendi apocalittici e bambini che cercano invano di nuotare nell’acqua putrida per avere salva la vita.
Perché parlare di questo su cognitivismo.com, che si occupa di salute mentale e di psicologia?
Le motivazioni sono diverse, la più banale potrebbe essere: “perché non è più possibile voltarci dall’altra parte e ignorare questa emergenza”; o, ancora: “perché il cambiamento climatico è anche un’emergenza sanitaria e i medici hanno il dovere di agire sia come individui sia come parte di un’organizzazione”. E, in effetti, il Servizio Sanitario Nazionale britannico (NHS) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per citarne alcuni, da anni si occupano della sensibilizzazione a questi temi. L’NHS, per esempio, ha ridotto di un terzo, rispetto al 1990, le proprie emissioni proprio grazie a politiche che promuovono la conservazione, la raccolta differenziata e una maggiore consapevolezza sui problemi legati all’ambiente nei suoi professionisti.
Il cambiamento climatico ha un impatto significativo anche sulla salute mentale. In molti contesti, e non solo in quelli più colpiti dalle catastrofi climatiche (come l’America Latina, il Sud Est Asiatico, l’Africa e l’Australia), sempre più spesso le persone si rivolgono agli specialisti per chiedere aiuto rispetto a vissuti di angoscia e ansia relativa all’ambiente e alla sua distruzione (in gergo, eco–anxiety).
Da un recente sondaggio della British Association for Counselling and Psychotherapy (BACP) è emerso che il 55% delle persone intervistate ritiene che il cambiamento climatico abbia avuto un impatto sul proprio benessere, l’8% stima che l’impatto sia notevole, il 30% è preoccupato per come ne sarà influenzata la sua vita futura e il 58% si preoccupa degli effetti sulle generazioni future. In particolare, sono i giovani di età compresa tra i 16 e i 34 anni ad essere i più preoccupati. Analogamente, da un altro studio condotto dall’Università di Bath che ha coinvolto 10.000 persone di età compresa tra 16 e 25 anni, in oltre dieci Paesi, è emerso che il 60% dei ragazzi è estremamente turbato dai cambiamenti climatici, riportando emozioni di paura, ansia e tristezza. Infine, dal sondaggio emerge che quattro giovani su dieci hanno affermato di sentirsi traditi, ignorati e abbandonati dagli adulti e dai politici.
Dunque, quali risposte possiamo dare noi professionisti della psiche?
Caroline Hickman, psicoterapeuta, psicologa del clima, psicoterapeuta e ricercatrice, riconosce che è molto difficile per noi terapeuti capire come affrontare questi temi con i nostri pazienti. Molti di noi – afferma la collega – sono abituati a focalizzarsi sui problemi soprattutto a un livello individuale, mentre il cambiamento climatico ha un impatto a livello esistenziale, ambientale e collettivo e non sempre sappiamo come muoverci su questi piani. Inoltre, da essere umano quale è, il clinico stesso può avere delle reazioni assolutamente personali rispetto a questo tema. Secondo la psicoanalista Sally Weintrobe la realtà del cambiamento climatico comporta il crollo della nostra onnipotenza e ci obbliga a dover rivalutare radicalmente il senso di noi stessi. Ci percepiamo vulnerabili, dipendenti, non protetti e fragili, quando invece pensavamo di essere invincibili.
Nel tentativo di trovare una chiave di lettura delle nostre reazioni alla crisi climatica, le colleghe del Climate Change Awareness and Action Committee (Comitato sulla Consapevolezza e l’Azione per il Cambiamento Climatico) della ISST (Società Internazionale di Schema Therapy) hanno cercato di delineare, avvalendosi dei costrutti propri di questo approccio clinico, le diverse modalità disfunzionali che si possono attivare quando confrontati con questa emergenza.
Nella relazione presentata all’ultimo convegno internazionale di Schema Therapy, nel 2020, le terapeute hanno identificato come, partendo dalle reazioni più emotive (racchiuse negli schema mode del Bambino), è possibile individuare:
- dei vissuti di paura, angoscia e assenza di speranza, tipici del Bambino Vulnerabile (es. “Sono terrorizzato che tutto finisca!”, “Mi sento solo e abbandonato in questo mondo spaventoso e nessuno ci può aiutare!”);
- delle emozioni rabbiose, specifiche del Bambino Arrabbiato (es. “Odio tutto questo! Sono davvero furioso per essere costretto a guardare queste immagini o ascoltare queste cose orribili!”);
- delle espressioni del Bambino Viziato/Impulsivo (es. “Non voglio incasinarmi la vita e cambiare le mie abitudini per questo! Per me funziona tutto benissimo e non ho nessun motivo di cambiare nulla!”).
Su un piano più comportamentale (i cosiddetti coping mode), di fronte alla crisi ambientale, è possibile attivare:
- delle strategie di evitamento, in cui si tende a nascondere la testa sotto la sabbia, eludendo il problema (es. “Meglio non pensarci e bermi un bel bicchiere di vino”);
- un atteggiamento di rassegnazione (es. “Ho smesso di riciclare, tanto non c’è nessuna speranza, è già troppo tardi per fare qualcosa e salvare il mondo, non possiamo più fare nulla”!);
- agire all’inverso (iper-compensazione), per esempio sfruttando in modo esasperato la Natura e le sue risorse, ridicolizzando e sminuendo la gravità di quanto sta accadendo e pretendendo di prosciugare il pianeta fino alla sua ultima risorsa.
Infine, sempre secondo la cornice della ST, potrebbero innescarsi:
- una voce critica che si rivolge verso di sé (dicendo cose come: “Ti dovresti vergognare a lasciar morire il nostro pianeta!”), oppure verso gli altri (“Guarda quegli strafottenti che stanno gettando le loro porcherie dal finestrino della macchina!”);
- dei messaggi colpevolizzanti ed esigenti (es. “È colpa tua se siamo in questa condizione!” o “Non fai abbastanza per salvare l’ambiente”).
In contrasto con queste modalità disfunzionali che spesso interagiscono tra di loro, proprio come si usa fare in psicoterapia, si intende promuovere una modalità adulta, consapevole e sana, che adotti un approccio più funzionale al problema climatico e contrasti i mode più disfunzionali: promuovere la speranza e la possibilità di cambiamento, invece di arrendersi o di farsi schiacciare dalla disperazione o dalla rabbia. Una modalità sana facilita un contatto più diretto con la natura e l’ambiente, promuove emozioni e comportamenti più autentici e responsabili nei loro riguardi, stimola le nostre risposte sensoriali (acuendo l’udito per ascoltare il cinguettio degli uccelli, incentivando l’uso dell’olfatto per sentire l’odore dei fiori o della pioggia, o, ancora, toccare le piante, svolgere attività all’aria aperta, e così via) e favorisce un approccio che consenta di immergersi e contemplare la natura e la sua magnificenza, dalla loro prospettiva.
Anche lo stimabile naturalista e divulgatore scientifico David Attenborough, d’altronde, nel suo intervento alla COP26, incita i governanti di tutti i paesi presenti, non alla paura, bensì alla speranza di poter salvare la nostra terra.
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Per approfondimenti
www.bacp.co.uk/news/news-from-bacp/2020/15-october-mental-health-impact-of-climate- change/
https://schematherapysociety.org/Climate-Change-Awareness-and-Action-Committee
https://www.youtube.com/watch?v=o7EpiXViSIQ
https://www.bacp.co.uk/bacp-journals/therapy-today/2021/november-2021/the-big-issue/
https://schematherapysociety.org/Schema-Therapy-Bulletin
Foto di Markus Spiske da Pexels