di Barbara Masciopinto
Rigidità e perfezionismo nei propri scopi come strategia per comprovare la propria autoefficacia
Attraverso l’esperienza, l’individuo sviluppa la propria autoefficacia: la fiducia sulle proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con l’azione e di poter controllare il pericolo. Stili di attaccamento disfunzionali potrebbero condizionarne il corretto sviluppo: quando il genitore è fonte di conforto e di pericolo al tempo stesso, il bambino reagisce all’imprevedibilità sviluppando strategie di coping (comportamenti adattivi per fronteggiare stress), strategie regolative e strategie di controllo.
Esperienze di deprivazione affettiva, inoltre, alterano il Sistema della Gratificazione, un’area cerebrale finalizzata a incentivare comportamenti importanti per la sopravvivenza. Un’esperienza gratificante libera dopamina, un neurotrasmettitore che renderà salienti gli stimoli collegati all’esperienza vissuta e permetterà di memorizzare anche le azioni eseguite. La ripetizione automatica delle azioni sarà permessa grazie alla contemporanea ipo-attivazione delle aree frontali, deputate al controllo degli impulsi.
All’interno di un ambiente imprevedibile, quando l’individuo emetterà comportamenti per ripetere un’esperienza gratificante otterrà nulla o addirittura una conseguenza avversativa. L’esperienza di piacere potrebbe quindi connotarsi come qualcosa di pericoloso, da dover controllare. Tuttavia, la neurobiologia ha dimostrato l’esistenza di due tipi di piacere: quello edonistico, legato al consumo, e quello legato all’appetizione, sperimentato durante l’emissione dei comportamenti strumentali per ottenerlo, anche in assenza della ricompensa. Attraverso il corso dello sviluppo, quindi, si potrebbero verificare una serie di apprendimenti nei quali l’individuo sperimenta piacere in corrispondenza di “esperienze di controllo”, gratificanti in termini di autoefficacia. L’esercizio del controllo diventerebbe pertanto un comportamento automatico, difficile da inibire e da gestire con maggiore flessibilità (esempio: Sara, quando inizia una relazione e la lontananza fisica indebolisce la sua percezione di controllo del rapporto, si induce il vomito).
Il tratto dell’esercizio del controllo si potrebbe collocare su un continuum di gravità in funzione del trauma, della disfunzionalità della risposta ricevuta e dalle strategie metacognitive, intese come capacità di riflettere sui propri e altrui stati mentali:
- Se durante l’infanzia si sperimenta l’indifferenza, la sensazione di trasparenza potrebbe interferire con la costruzione dell’identità, determinando la comparsa di un tratto istrionico. L’esercizio del controllo potrebbe diventare la strategia elettiva per gestire i propri stati interni e l’ambiente come ad esempio nel Disturbo ossessivo compulsivo di personalità; impotenza significa inconsistenza: “Se non controllo sento di non esistere”. (Esempio: Quando Rebecca, durante il litigio, sperimenta una reazione dell’altro incongrua rispetto alla sua, dubita dell’esistenza di ciò che lei stessa ha manifestato. Successivamente si morde e la comparsa del livido la tranquillizza).
- Se si sperimenta una risposta disfunzionale, l’esperienza d’impotenza potrebbe produrre una sensazione simile al crollo e il controllo potrebbe diventare il mezzo per confermare la propria capacità di resistenza.
Lo sviluppo della metacognizione permetterebbe il conseguimento di obiettivi personali, con una crescita dell’autostima e un conseguente minore bisogno di messa alla prova (esempio: Anna tratteneva l’urina fino allo sfinimento, questa condotta scompare in adolescenza, quando riesce a negarsi i suoi cibi preferiti). Al contrario, il fallimento dei tentativi di controllo sull’ambiente, indebolirebbero l’autostima, con conseguente aumento del bisogno di farne di nuovi. Questo circolo vizioso potrebbe facilitare relazioni di co-dipendenza con partner abusanti o squalificanti, nelle quali l’individuo sperimenta scarsa efficacia a livello interpersonale, richiamando il trauma infantile. È possibile che l’egocentrismo infantile sia determinante nello stabilire una connessione tra accudimento carente e una propria inadeguatezza; ciò probabilmente stimolerà, in età adulta, strategie di controllo in ambito relazionale, finalizzate a ottenere riconoscimento dell’altro.
Il perfezionista si assume la responsabilità del fallimento del rapporto; ciò stimolerebbe nuovi tentativi per mettersi alla prova e ottenere la relazione ideale. Ignorando il funzionamento dell’altro come causa del blocco relazionale, il perfezionista corroderà la propria autostima, ostacolando l’uscita dal circolo vizioso. Infatti, uno dei timori è che esista qualcun altro, in grado di ottenere la relazione, che proverebbe il “non aver fatto abbastanza”. Il partner, a sua volta, si nasconderà dietro le presunte debolezze dell’altro, alimentando il senso di colpa e la caduta dell’autostima di quest’ultimo.
Infine, l’autocontrollo è indebolito dalla numerosità degli stimoli sul quale si esercita: se l’individuo conferma il proprio potere negandosi il piacere, proprio la rigidità e l’eccesso di deprivazione potrebbero far scivolare nel polo opposto della dicotomia, ovvero la dipendenza.
In conclusione, guidare il bisogno dell’individuo verso l’indipendenza dalle dimostrazioni della propria autoefficacia, attraverso la costruzione di più funzionali strategie di regolazione, potrebbe rappresentare un aspetto primario nella terapia di pazienti con tale funzionamento.
Per approfondimenti:
Bandura A. Autoefficacia: teoria e applicazioni. 1997, ed. it. 2000: 17,68,69
Liotti, G., Farina B. 2011. Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano. Cortina editore.
Schultz W. Neuronal reward and decision signals: from theories to data. Physiological Reviews.95(3): 853-951; Berridge KC, Kringelbach ML. Plasure systems in the brain. Neuron. 2015 6; 86(3): 646-64
Schultz W (1986) Responses of midbrain dopamine neurons to behavioral trigger stimuli in the monkey. J Neurophysiol. 56: 1439-1462.
Kelley AE Memory and addiction: shared neural circuity and molecular mechanisms. Neuron. 2004 Sep 30; 44 (1): 161-79