Skills training: palestra delle abilità

di Francesca Rossini

Un protocollo di allenamento per imparare a regolare le emozioni e a gestire i rapporti interpersonali

Con “Skills Training” ci si riferisce ad uno dei protocolli fondanti il modello di trattamento Dialectical Behaviour Therapy (DBT) sviluppatosi a partire dal 1980, quando la psichiatra e psicoterapeuta americana Marsha Linehan condusse una ricerca sull’efficacia della terapia comportamentale per il Disturbo di Personalità Borderline presso il National Institute of Mental Health. Come racconta Linehan nel suo libro “Una vita degna di essere vissuta”,  i semi della DBT sono stati piantati nel 1961, quando, a diciotto anni, è stata ricoverata nel reparto Thompson Two dell’Institute of Living di Hartford, in Connecticut, in seguito a uno scompenso psichico durante l’anno del diploma. È grazie all’esperienza vissuta in prima persona, in quella che lei stessa definisce “discesa all’inferno”, che nasce l’esigenza di creare un nuovo modello di trattamento per il Disturbo di Personalità Borderline, diagnosi ricevuta dalla Linehan.
All’interno della costellazione di interventi che caratterizzano l’approccio DBT, si inserisce il protocollo di Skills Training. Si tratta di un gruppo di lavoro il cui focus è allenare le proprie abilità sociali per poter gestire parallelamente gli aspetti emotivi e gli aspetti interpersonali che caratterizzano la vita dei partecipanti al trattamento. Si tratta quindi di una vera e propria palestra, in cui ci si addestra per potenziare abilità sopite o poco allenate, fondamentali per poter fronteggiare aspetti cruciali della vita dell’essere umano, come la gestione degli aspetti emotivi e dei rapporti interpersonali.
Il setting di gruppo ha una duplice funzione: sia poter sperimentare, in vivo, le abilità su cui si sta lavorando, sia ricevere stimolo e validazione dagli altri partecipanti; il gruppo diventa quindi il palcoscenico principe dove poter sperimentare i risultati e il propulsore del proprio addestramento.
Le schede fornite tramite cui si struttura il lavoro, chiamate esse stesse “abilità”, sono delle autoistruzioni mentali, brevi e concise, che guidano il pensiero e di conseguenza il comportamento. A breve termine aiutano a sostituire pattern cognitivi, emotivi e comportamentali disfunzionali; a lungo termine aiutano a migliorare l’attitudine mentale verso sé stessi e verso il mondo.
Non si tratta di psicoterapia, ma di un gruppo di lavoro, dove le persone si mettono in cerchio, guidate da un leader (che insegna, modella e dà i compiti) e un co-leader (che osserva i processi gruppali, aiuta a tenere i tempi, gestisce le crisi).
Lo Skills Training si basa sui principi derivanti dalla mindfulness: la consapevolezza del momento presente, il non attaccamento (all’idea di come dovrebbero essere le cose idealmente, favorendo l’accettazione delle cose così come sono), l’inter-essere (importanza di ogni membro di un gruppo che ha scopi comuni), l’impermanenza (il gruppo è in continuo movimento) e l’idea che il gruppo è perfetto così com’è (ogni membro sta facendo del suo meglio, è importante riconoscere, accettare e validare il funzionamento del gruppo).
Gli obiettivi del protocollo sono essenzialmente quattro: implementare le abilità socio-emotive per gestire la disregolazione emotiva; ridurre l’ansia sperimentata nei rapporti interpersonali, promuovendone una miglior gestione; controllare e prevenire l’impulsività; rafforzare l’identità personale. Questi scopi fanno capo ai quattro moduli secondo i quali è stato organizzato il protocollo: abilità di “efficacia interpersonale”, abilità di “regolazione emotiva”, abilità di “tolleranza alla sofferenza” e abilità di “gestione e controllo degli impulsi (mindfulness)”.
Inizialmente ideato per il trattamento del Disturbo di Personalità Borderline, è stato poi riadattato per il trattamento di altre tipologie di disturbo, come ad esempio la schizofrenia (Social Skills Training).
Verrà prossimamente illustrata l’esperienza di attuazione di questo protocollo all’interno di un contesto residenziale, quale una comunità terapeutica di doppia diagnosi.

Foto di Vie Studio:
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La family connections per aiutare chi è affetto da disturbo borderline

di Elisabetta Pizzi

Nato negli Stati Uniti e diffuso in 19 Paesi tra cui l’Italia, il programma informa e sostiene i familiari delle persone con problemi di regolazione delle emozioni

Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo del sistema emotivo: chi presenta questa diagnosi ha una difficoltà biologica a regolare le proprie emozioni e mostra delle risposte emotive molto intense, anche per motivi apparentemente poco importanti. Alcune volte, la reattività emotiva può essere così esplosiva da determinare delle vere e proprie aggressioni verbali e fisiche nei confronti di altri o da spingere le persone ad attuare seri comportamenti autodistruttivi, come tagli, bruciature sul corpo, uso di alcol e droghe, abuso di psicofarmaci e tentativi di suicidio. I familiari di persone con DBP raccontano spesso di sentirsi impotenti e inadatti ad aiutare il proprio caro e oscillano frequentemente da stati di colpa a stati di disperazione, dalla paura di dire “parole sbagliate” al terrore che possa succedere qualcosa di irreparabile, dalla depressione alla rabbia per essere stati attaccati ingiustamente e colpevolizzati. “Infragiliti” dal carico di stress emotivo, rischiano, inoltre, di attuare senza rendersene conto una serie di azioni che possono aumentare i comportamenti disfunzionali della persona con DBP. family connectionPer questo motivo, un gruppo di familiari, con l’aiuto di alcuni clinici esperti, tra cui Perry Hoffman e Alan Furzetti della NEABPD (National Education Alliance for Borderline Personality Disorder) hanno progettato una rete di supporto che prende il nome di “family connections” (FC). Nata negli Stati Uniti e ora diffusa 19 Paesi, tra cui l’Italia, questa rete di volontari ha lo scopo di diffondere un protocollo di psicoeducazione per parenti e amici di persone con DBP: articolato in 12 incontri, il programma di family connections ha primariamente l’obiettivo di aiutare il familiare a raggiungere il proprio equilibrio interiore e, solo successivamente, di favorire il sostegno psicologico del proprio caro. “Non è egoismo. – spiegano gli autori di FC, nel manuale dedicato – Proprio come sugli aerei, questo corso aiuta a capire come indossare la maschera per l’ossigeno prima di aiutare gli altri!”. Leggi tutto “La family connections per aiutare chi è affetto da disturbo borderline”