Curare la fobia dei ragni

di Giulia Mangani
a cura di Brunetto De Sanctis

Il trattamento dell’aracnofobia: terapia dell’esposizione o controcondizionamento?

Il trattamento classico di esposizione per l’aracnofobia può essere migliorato? Partendo da questa domanda, uno studio ha utilizzato la tecnica del “controcondizionamento” per valutare se potesse incrementarne l’efficacia. In particolare, la ricerca, ha tenuto conto degli effetti del disgusto, della paura e della valenza negativa esperiti dai soggetti fobici nei confronti dei ragni.
Riguardo il disgusto e la paura di contaminazione, numerose ricerche hanno fornito sopporto alla tesi secondo cui tale avversione è alla base dell’aracnofobia, come dimostrato dalle prove ottenute dalla ricercatrice olandese Sandra Mulkens, secondo cui basta il contatto di un ragno con un prodotto alimentare per rendere tale cibo disgustoso. La fobia del ragno sembra quindi essere concettualizzata come “paura del contatto fisico con uno stimolo rivoltante”. 
Sebbene numerosi studi abbiano dimostrato l’efficacia del trattamento classico di esposizione, con una singola sessione in vivo di due ore e mezza, nel ridurre la paura dei ragni e il comportamento di evitamento, secondo Frank Baeyens e colleghi “la terapia di esposizione spesso non riesce a modificare la valenza intrinseca negativa dell’oggetto fobico”.
A partire da queste premesse, è stato ipotizzato che l’esperienza di controcondizionamento, potrebbe fornire l’unico modo sia per portare verso una maggior neutralità la valutazione negativa dei ragni sia per ridurre le proprietà disgustose di questi. Ciò, a sua volta, potrebbe limitare ulteriormente i comportamenti di evitamento delle persone, così come le loro risposte di paura, aiutando nel contempo a prevenire il ritorno di disturbi fobici.
I partecipanti selezionati (donne con una aracnofobia clinicamente diagnosticata) sono stati assegnati in modo casuale o alla normale condizione di esposizione di una sessione o alla condizione di controcondizionamento. Per quest’ultimo gruppo di soggetti, durante le esposizioni, sono stati usati i loro cibi preferiti ed è stata trasmessa la loro musica favorita.
In linea con la precedente ricerca, entrambe le condizioni di trattamento sono risultate molto efficaci nel ridurre il comportamento di evitamento e la paura dei ragni mentre, in contrasto con la previsione di Frank Baeyens, l’esposizione classica in vivo è apparsa abbastanza efficace nel modificare la valenza negativa dei ragni. Riguardo le proprietà contaminanti e disgustose, queste sono state fortemente ridotte dopo il trattamento, come indicizzato dallo spettrometro DQ (un questionario sul disgusto utilizzato per lo screening iniziale dei partecipanti) mentre gli esiti del “test dei cookie” (un test comportamentale che valuta quanto i soggetti siano ancora interessati a mangiare un biscotto dopo che quest’ultimo è venuto a contatto con un ragno), hanno rivelato risultati simili a quelli di Sandra Mulkens e colleghi.
La tecnica di controcondizionamento, dunque, non è risultata essere più efficace né nel modificare la valenza dei ragni a livello dell’esposizione né rispetto al trattamento a lungo termine a un anno di follow-up. Apparentemente quindi, la terapia classica risulta essere abbastanza efficiente nel correggere la componente valutativa a livello di aracnofobia, mentre rimane da valutare se sia possibile migliorarne ulteriormente il risultato attraverso procedure specificamente progettate per la riduzione della valutazione negativa dei ragni.

Quando il disgusto è patologico

di Sara Quaranta
a cura di Brunetto De Sanctis

Correlati cognitivi e psicofisiologici del disgusto nel disturbo ossessivo compulsivo

Nel mondo, tre persone ogni duecento soffrono di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e per quanto possa capitare a tutti di sentirsi contaminati dopo aver utilizzato un bagno pubblico e che per questo ci si lavi un po’ più del normale, in queste persone i sintomi sono pervasivi oltre che invalidanti. La letteratura scientifica ha dimostrato che il disgusto ha un ruolo rilevante nel DOC. Questa emozione di base la cui funzione evolutiva è la protezione della salute da malattie contagiose, con l’evoluzione della società si è espansa ai domini socio-morali. Una reazione di disgusto ha due componenti: la propensione/tendenza a rispondere con disgusto e la sensibilità/avversione alle sensazioni di disgusto.
Gli psicologi cognitivisti Alexis E. Whitton, Julie D. Henry e Jessica R. Grisham hanno voluto indagare: 1) se ci fosse corrispondenza tra elevato disgusto di tratto self-report e risposte fisiologiche intense in individui con diagnosi DOC; 2) se le credenze ossessive fossero associate a risposte di disgusto tenendo sotto controllo variabili come la diagnosi e il disgusto di tratto.
Per la risposta fisiologica del disgusto, sono state utilizzate l’elettromiografia facciale e l’analisi dell’attività elettrodermica. La prima è stata utilizzata col fine di registrare l’attività di un particolare pattern di muscoli facciali coinvolti nell’espressione del disgusto: il muscolo levatore del labbro superiore (muscolo prossimo al naso che permette di arricciare il labbro superiore) e il muscolo corrugatore del sopracciglio che permette di contrarre la fronte. La seconda finalizzata a registrare l’indice del livello di conduttanza epidermica, il quale tende ad aumentare durante la visione di film o immagini disgustosi.
Al fine di valutare la presenza e la gravità delle credenze ossessive, è stato somministrato l’Obsessive Beliefs Questionnaire-44 (OBQ-44), un questionario self-report costituito da 44 item suddivisi in tre sottoscale: responsabilità/stima del pericolo; perfezionismo/certezza; importanza/controllo dei pensieri.
I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: 25 individui con diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo, 25 individui con diagnosi di disturbo d’ansia e 25 individui sani. Inoltre è stato selezionato un set di 36 immagini statiche raggruppabili in sei categorie di domini tematici differenti (bagni sporchi, pattumiere, sangue, trasgressioni morali, immagini neutre e immagini negative ma non disgustose).
Le risposte fisiologiche sono state registrate durante la visione di ogni immagine attraverso dei sensori opportunamente applicati sul viso dei partecipanti e inoltre è stato chiesto loro di fornire un punteggio da 1 (per niente disgustato) a 8 (estremamente disgustato).
La presentazione delle categorie come pure delle immagini entro ogni categoria ha seguito un ordine random.
Dai punteggi medi del disgusto self-report si evince che rispetto agli individui sani e ansiosi, gli individui con DOC erano più propensi e sensibili a reazioni di disgusto e valutavano significativamente più disgustose immagini raffiguranti bagni sporchi e pattumiere.
Per quanto riguarda i risultati elettromiografici ed elettrodermici non è emersa nessuna significativa differenza tra i gruppi.
In conclusione, sebbene gli individui con DOC abbiano una maggiore propensione a reagire con disgusto a stimoli francamente disgustosi, è stato osservato che la presenza e la gravità delle credenze ossessive correlava positivamente con il disgusto self-report anche durante la visione di immagini neutre e che l’attività del muscolo levatore del labbro superiore era elevata durante la visione di immagini negative. Per queste ragioni si parla di “disgusto patologico”, cioè una tendenza a rispondere con reazioni di disgusto anche in contesti in cui non sono presenti stimoli disgustosi.

Esperienze precoci di colpevolizzazione e rimprovero nel DOC

di Brunetto De Sanctis

La tecnica dell’Imagery with Rescripting nello studio dell’infanzia di persone con disturbo ossessivo compulsivo

È stato pubblicato di recente un lavoro di Basile e collaboratori in cui sono stati indagati i contenuti emotivi delle esperienze infantili di persone con Disturbo Ossessivo Compulsivo. Già da tempo, molti studi hanno evidenziato lo stretto collegamento tra il DOC e il senso di colpa. Numerose ricerche sperimentali, correlazionali e anche di neuroimaging mettono, infatti, in risalto come l’inflated responsibility, ma soprattutto il timore di colpa, in particolare di colpa deontologica, giochino un ruolo chiave nella genesi e nel mantenimento del disturbo. Se effettivamente il timore di colpa deontologica è un fattore determinante dei sintomi ossessivi e del loro mantenimento, allora  è ragionevole interrogarsi sulle esperienze precoci che plausibilmente hanno reso inaccettabile il rischio di essere colpevoli.
Molteplici osservazioni cliniche e alcune ricerche retrospettive sostengono l’ipotesi che i futuri pazienti ossessivi abbiano vissuto, durante l’infanzia, numerose esperienze di rimprovero vissute in modo drammatico.
I dati sulle esperienze precoci avverse nei pazienti ossessivi, tuttavia, sono ancora scarsi. Per ovviare  a questa carenza Basile e collaboratori, tramite la tecnica dell’Imagery with Rescripting (IwR), hanno indagato il contenuto delle memorie infantili di un gruppo di pazienti con DOC (19 persone), mettendole a confronto con un altro gruppo di pazienti con diagnosi diverse (18 persone, affette soprattutto da disturbo depressivo maggiore e disturbi di ansia). L’IwR è una procedura di tipo esperienziale, utile a rintracciare esperienze precoci avverse emotivamente connesse con la sofferenza sintomatica attuale. Il fine è rielaborare le memorie di queste esperienze rendendole meno traumatiche e dolorose.
Nella ricerca di Basile et al. i pazienti sono stati invitati a rivivere una recente crisi ossessiva, poi a ricordare un episodio, vissuto da bambino, caratterizzato da una tonalità emotiva simile mettendo a fuoco ed esprimendo ciò di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento doloroso. In una fase successiva (fase di Re-scripting), mentre il paziente rivive l’episodio critico e il terapeuta suggerisce di immaginare che  una figura di aiuto (solitamente il paziente o il terapeuta stesso), intervenga cercando di rispondere ai bisogni frustrati del bambino (protezione, accettazione, attenzione, cure, etc.). L’interazione tra il bambino e la figura d’aiuto prosegue finché i bisogni del bambino non sono pienamente soddisfatti.
Il contenuto dell’episodio recente, dell’episodio ricordato e dell’intervento della figura d’aiuto sono stati raccolti e valutati da giudici indipendenti all’oscuro dello scopo della ricerca.
I pazienti con DOC, rispetto agli altri pazienti, riportavano più frequentemente senso di colpa sia nell’evento recente sia in quello remoto. Questi ultimi erano caratterizzati da rimproveri o critiche da parte di uno o entrambi i genitori che inducevano colpa e paura nei bambini, evidenziando come i bisogni frustrati percepiti fossero legati al sentirsi attivamente rifiutati dai propri genitori. Nella fase di rielaborazione, i pazienti ossessivi modificavano il significato originario che avevano dato all’episodio critico, concludendo che quanto era successo non era una loro colpa. Nei pazienti ossessivi ma non negli altri, emergeva, dalle memorie degli eventi passati, un’idea di sé come persona responsabile di eventuali errori, profondamente sbagliata e meritevole di essere punita, biasimata e in aggiunta rifiutata. Questi dati sono congrui con i risultati di altre ricerche che hanno riscontrato come lo stile genitoriale a cui i pazienti con DOC erano esposti, risultasse centrato sulla moralità e particolarmente severo, ma soprattutto preoccupato del rispetto delle norme piuttosto che delle conseguenze sugli altri.
L’ipotesi “morale” del DOC, quindi, riceve un’altra conferma da questa ricerca: il senso di colpa appare un’emozione centrale nel disturbo. A conclusione, gli autori evidenziano come questo lavoro apra la strada a interventi terapeutici sulle radici del disturbo ossessivo.

Per approfondimenti

Alonso P, Menchón JM, Mataix-Cols D, Pifarré J, Urretavizcaya M, Crespo JM, Vallejo J (2004). Perceived parental rearing style in obsessive–compulsive disorder: relation to symptom dimensions. Psychiatry research 127, 3, 267-278.

Basile B, De Sanctis B, Fadda S, Luppino O.S, Perdighe C, Saliani A.M, Tenore K and Mancini F. (2018). Early life experiences in ocd and other disorders: a retrospective observational study using imagery with re-scripting. Clinical Neuropsychiatry (2018) 15, 5, 299-305.

Mancini F (2016). La mente ossessiva. Raffaello Cortina Editore.

Salkovskis PM, Shafran R, Rachman S, Freeston MH (1999). Multiple pathways to inflated responsibility beliefs in obsessional problems: Possible origins and implications for therapy and research. Behaviour Research and Therapy 37, 11, 1055-1072.

Timpano KR, Keough ME, Mahaffey B, Schmidt NB & Abramowitz J (2010). Parenting and obsessive compulsive symptoms: Implications of authoritarian parenting. Journal of Cognitive Psychotherapy 24, 3, 151-164

Come cambiare le preferenze condizionate

di Sandra Rienzi
a cura di Brunetto De Sanctis e Olga Ines Luppino

Il controcondizionamento abbina uno stimolo condizionato a uno incondizionato avente una valenza opposta rispetto allo stimolo incondizionato originale

Le preferenze influenzano potenzialmente tutto il comportamento umano; perciò il paradigma del condizionamento valutativo (ossia il cambiamento nella valutazione di uno stimolo quando lo si abbina ad altri stimoli positivi o negativi) fornisce un’interessante cornice per indagare sperimentalmente i processi di formazione di una preferenza. Questo tipo di condizionamento sembra essere poco sensibile alla tecnica dell’estinzione (in ambito clinico l’equivalente è dell’esposizione); ciò non vuol dire però che i cambiamenti condizionati non si possano modificare a proprio piacimento.  La letteratura riporta due possibili procedure per modificare preferenze condizionate: la rivalutazione dello stimolo incondizionato e il controcondizionamento, il quale implica l’abbinamento di uno stimolo condizionato a uno incondizionato avente una valenza opposta rispetto allo stimolo incondizionato originale. Kerkhof e collaboratori si sono dati l’obiettivo di investigare l’efficacia del controcondizionamento come strategia per il cambiamento di preferenze condizionate. L’esperimento ha esaminato l’effetto di tre procedure – un’ulteriore condizionamento, estinzione e controcondizionamento – su preferenze condizionate apprese di recente in un paradigma “picture-taste”. Le principali scoperte hanno indicato che né la prova con l’ulteriore condizionamento né quella con l’estinzione hanno eliminato completamente la valenza che lo stimolo condizionato ha acquisito durante la fase di acquisizione, come invece è in grado di fare il controcondizionamento. Tale studio ha confermato i risultati di Baeyens e collaboratori, i quali osservarono come l’apprendimento valutativo fosse più sensibile al controcondizionamento che all’estinzione. I risultati riguardanti il limitato impatto dell’estinzione sulla valenza condizionata sono, inoltre, in linea con numerosi studi precedenti.
L’osservazione che l’apprendimento valutativo è meno o per nulla sensibile all’estinzione ha portato alcuni autori a suggerire che, nonostante il condizionamento valutativo somigli a livello procedurale ad altre forme di condizionamento pavloniano, esso potrebbe avere alla base processi differenti.
Oltre all’importanza a livello teorico, queste scoperte hanno potenzialmente notevoli implicazioni per il cambiamento delle preferenze a livello applicativo. Il vantaggio nell’utilizzo del controcondizionamento come valida alternativa alla rivalutazione dello stimolo condizionato nel cambiamento delle preferenze condizionare consiste nel fatto che non è necessaria la conoscenza dell’iniziale acquisizione dello stimolo incondizionato. Indagare l’impatto del controcondizionamento su preferenze preesistenti di cui non si conosce come siano state acquisite diventa perciò possibile. Oggetto di studio a livello clinico potrebbero essere, ad esempio, le fobie. Le scoperte riguardanti la debole suscettibilità all’estinzione del condizionamento valutativo suggeriscono che un intervento di esposizione standard potrebbe ridurre con successo la componente di aspettativa nella fobia, ma questo potrebbe allo stesso tempo non avere alcun effetto sul significato negativo acquisito dell’oggetto fobico. Dato che c’è evidenza che questa valenza negativa rimanente possa formare una fonte affettivo-motivazionale per il riemergere della fobia originale, potrebbe essere terapeuticamente vantaggioso combinare l’esposizione con tecniche mirate al cambiamento della valenza dello stimolo fobico. In questi casi, infatti, non è chiaro come la rivalutazione dello stimolo incondizionato possa essere applicata per ridurre la valenza negativa acquisita dell’oggetto fobico, mentre il metodo del controcondizionamento è facilmente applicabile.