Natura e meccanismi della perdita di motivazione

di Veronica Landeschi
a cura di Cristiano Castelfranchi

“Volere è potere” un famoso detto che trova anche le sue fondamenta nel libro di Lessona del 1869, ispirato all’opera di Smiles, che altro non era che la raccolta dei testi di una serie di conferenze rivolte ad un gruppo di giovani inglesi di umili origini, che l’autore aveva tenuto con il fine di spingerli a migliorare la propria posizione sociale.

Troviamo anche moltissimi corsi di motivazione, proprio per incoraggiare le persone ad un cambiamento; per spronarle a raggiungere i loro obiettivi, a far si che il loro desiderio di arrivare ad una determinata condizione desiderata sia possibile.

C’è da chiedersi: perché se una cosa la bramo, la desidero tanto ho bisogno di incoraggiamento per raggiungerla? Quale è, o quali sono, i punti in cui piano piano perdo la motivazione nel raggiungere il mio obiettivo?

Ecco che nel loro articolo, il Prof. Cristiano Castelfranchi e la Prof.ssa Maria Miceli (istituto di Psicologia, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma), “Nature and Mechanism of Loss of Motivation” approfondiscono e analizzano i vari atteggiamenti mentali come la frustrazione soggettiva, l’aspettativa negativa, la delusione e lo scoraggiamento per delineare i loro ruoli nella perdita di motivazione. Sono così analizzate le possibili condizioni cognitive necessarie affinché si presenti la perdita di motivazione.

L’essere umano, in quanto agente cognitivo, quando ha uno scopo che si attiva nella sua mente, si delineano tutte le azioni necessarie per raggiungere lo stato desiderato. Per essere motivati a fare qualcosa occorre, quindi, una relazione tra due obiettivi: per arrivare a “Q” devo ottenere “P”. La forza con cui si desidera raggiungere “q” consiste  nella spinta per pianificare e perseguire i vari sottoscopi “p”, ovvero i sottobiettivi per arrivare al macrobiettivo. Per esempio, se mi voglio laureare (Q) prima devo superare gli esami (P).

Molti studi hanno collegato la perdita di motivazione alla paura del fallimento, soprattutto inteso come un obiettivo di evitamento, in cui ci sono ostacoli o difficoltà da affrontare; ci sono molti momenti in cui l’obiettivo da raggiungere rimane quello e rimane fermo, ma i vari sottobiettivi possono subire qualche battuta di arresto.

Che ruolo ha la frustrazione nella perdita di motivazione? Iniziamo con il dire che un obiettivo non raggiunto non è necessariamente frustrato. Ma per identificare la frustrazione con il nostro obiettivo è necessario considerare il peso del tempo nella sua rappresentazione, tassello che può dare origine ad una perdita di motivazione nel continuare a perseguire lo scopo attivo, o come suggerito da Klinger, attraverso la frustrazione possiamo anche indurre una fase detta di “rinvigorimento” in cui gli sforzi vengono maggiorati per il raggiungimento degli obiettivi. Se mi preparo per un esame e mi pianifico un calendario di studio e non mi preparo per tempo, posso decidere di non presentarmi a questa seduta di esami o posso aumentare la mia voglia di prepararmi in fretta e sostenere l’esame.

Le aspettative giocano un ruolo cruciale nella fase decisionale, in quanto riescono ad influenzare l’intenzione. Un obiettivo per essere considerato raggiungibile deve avere un costo di scelta e di perseguimento inferiore rispetto a quello che sarà il beneficio ottenuto al momento del suo raggiungimento. Se c’è un’aspettativa negativa, relativa al raggiungimento dell’obiettivo, ecco che abbiamo la percezione di una realizzabilità incerta: maggiore è l’inconveniente e più probabile è la perdita di motivazione e la relativa caduta di intenzioni sequenziali.

Quando abbiamo un’aspettativa positiva che diventa un’aspettativa negativa abbiamo una delusione. Ecco che ci si riferisce a quel momento del raggiungimento dei nostri obiettivi in cui assistiamo ad un cambiamento dal positivo al negativo, che influenza la perdita di motivazione. La perdita di motivazione potrebbe anche essere un mezzo per evitare o ridurre la sofferenza, che può generare dalla verifica che lo stato delle cose desiderate non è stato raggiunto, e che quindi, non corrispondendo all’aspettative iniziali, hanno meno probabilità di essere realizzate rispetto a quanto inizialmente previsto.

Uno dei motivi della perdita di motivazione è il costo, in termini di risorse e impegno sostenuto per arrivare all’obiettivo: più ho investito nel perseguire lo scopo e maggiore sarà la sofferenza per non averlo raggiunto, dovuta non solo al costo sostenuto ma anche alle conseguenze cui ha portato il mantenerli, considerando anche tutti gli eventuali costi sommersi.

C’è anche lo scoraggiamento, la situazione in cui si perde il “cuore”, si perde il coraggio di gestirlo, il momento in cui una persona, dopo aver immaginato un risultato positivo, arriva allo scoraggiamento per il non riuscire a raggiungere l’obiettivo desiderato.  Con scoraggiamento (i cui ingredienti cognitivi ed emotivi sono delusione ed intenzione) ci riferiamo ad una tipologia di delusione, in cui delle situazioni che prima erano positive si trasformano in negative, per quanto riguarda il proprio potere di realizzare ed arrivare all’intenzione desiderata.

Questi ingredienti che abbiamo descritto, vanno a delineare un mix di situazioni da valutare, di caso in caso, in quanto gli obiettivi principalmente in gioco sono due, il raggiungimento dello scopo o non raggiungerlo e mantenerne un altro, insieme ad altri minori che interagiscono con essi. Le varie interrelazioni che dipendono da questi aspetti possono essere compatibili, ed anche coincidere, ma possono esserci casi in cui ciò non succede.

L’impulso motivazionale si manifesta ogni volta che la persona avverte un bisogno, che rappresenta la percezione di uno squilibrio tra la situazione attuale e quella che è la situazione-obiettivo desiderato. È così che si presenta un bisogno, percepito come uno stato di insoddisfazione che spinge la persona a procurarsi i mezzi necessari e adoperarsi per riuscire così a realizzarlo o eventualmente sublimarlo. Per il raggiungimento dell’obiettivo è necessario porre attenzione alle variabili che abbiamo indicato e far fronte alle ipotesi presentate; da non sottovalutare che, in alcuni casi, la perdita motivazionale potrebbe essere funzionale, in quanto le condizioni specifiche per le quali la perdita di motivazione fav il benessere soggettivo potrebbe essere diverso da quelle che favoriscono l’adattamento del soggetto.

Bibliografia

Miceli, M., & Castelfranchi, C. (2000). Nature and Mechanisms of Loss of Motivation. Review of General Psychology4(3), 238–263. https://doi.org/10.1037/1089-2680.4.3.238

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Il ruolo dei bisogni sentiti

di Alessandra Santoro
a cura di Cristiano Castelfranchi

I bisogni sono scopi di grande forza motivante, hanno una natura molto particolare, non solo perché sono rappresentati come imprescindibili necessità la cui mancata soddisfazione è concettualizzata come un danno, ma anche perché si possono “sentire”.
Castelfranchi (2004) delinea l’importante differenza tra “avere un bisogno” e “sentire il bisogno” di qualcosa, e l’efficacia del ruolo cruciale svolto dal corpo e dalla propriocezione nei bisogni “sentiti”, ovvero soggettivamente percepiti e particolarmente “pressanti”.

Si può pensare al passaggio tra i diversi bisogni come un susseguirsi di livelli.

Nella cognizione umana, avere un bisogno, significa che si ha una mancanza di qualcosa (ad esempio: una risorsa, una condizione, un’azione) che si rappresenta come necessaria al raggiungimento di uno scopo, per cui diventa uno scopo-mezzo, che implica un’azione compiuta sotto la spinta di un impulso o istinto, in cui no n entra in gioco il ruolo del corpo.

Prima di affrontare il livello del sentire un bisogno, è opportuno considerare un livello intermedio: quello dei bisogni oggettivi assunti, che ancora non coincidono con i bisogni sentiti, in quanto l’essere umano, può venire a conoscenza di un suo bisogno e tuttavia continuare a non “sentirlo”.

E’ al livello dei bisogni sentiti che il corpo assume una funzione discriminante. Per poter essere attivati, questi bisogni, necessitano di condizioni particolari: una persona deve percepire una  sensazione proveniente dal proprio corpo, deve avere la credenza di avere bisogno di una determinata cosa per raggiungere il suo scopo, ed inoltre deve attribuire la sensazione provata a quella mancanza che non gli permette di soddisfare il bisogno, per cui si attiva la ricerca in termini cognitivi e comportamentali.

Un bisogno sentito, di natura psicologica, che definiamo secondo la classificazione di Castelfranchi come bisogni sentiti astratti, non coinvolgono un segnale somatico periferico, ma ciò che si “sente” è un segnale o una traccia percettiva che è nel cervello e si trova associata a una data configurazione di scopi e credenze.
Sentire bisogni psicologici comporta una forma di disagio, dolore o sofferenza “mentale”, che implica anch’essa un segnale proveniente dal corpo, in questo caso a livello cerebrale non periferico ed inoltre, sentire questi bisogni può comportare l’attivazione di un “marcatore somatico” (Damasio, 1994), cioè di una traccia centrale di esperienze emotive o percettive associate alle rappresentazioni mentali implicate da tali bisogni.

L’importanza del riconoscere i bisogni sentiti, permette di comprendere in che maniera coinvolgono le credenze, gli scopi e l’ emozioni.
Un bisogno sentito si basa sulla credenza che la causa di ciò che si sente è una mancanza, inoltre secondo il meccanismo feeling as information, il sentire un bisogno può essere la base per formare una credenza.

I bisogni, in quanto scopi, hanno la capacità di elicitare un altro scopo, che siano essi mentali o pratici, come quelli che inducono ad  un’azione per essere soddisfatti.

I bisogni sentiti, ovviamente, possono sia associarsi che evocare altre emozioni, ad esempio relative anche al bisogno stesso, in cui la persona che le sperimenta può giudicarsi, positivamente o negativamente, per provare quel bisogno e ciò determina un’altra emozione.

Bibliografia:

Castelfranchi C. & Miceli M.(2004). Gli scopi e la loro famiglia: Ruolo dei bisogni e dei bisogni “sentiti”. Cognitivismo Clinico, 1, 5-19.
Damasio, A.R. (1994). Descartes’ error. New York: Putnam’s Sons.

 

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