Nuove terapie: come orientarsi?

di Claudia Perdighe

Il convegno SITCC di Bari ha affrontato il tema dell’approccio professionale agli interventi di psicoterapia più recenti e in continua nascita

Come orientarsi nel proliferare di sempre “nuove psicoterapie”? Non sarebbe compito delle scuole di formazione fare da interfaccia tra gli studenti e le varie forme di terapia possibile?

Sono questi i due quesiti centrali emersi durante la tavola rotonda che ha dato il via al convegno Sitcc di Bari. La prima domanda, posta dal prof. Cesare Maffei, ha trovato risposta della seconda, rivolta al relatore da una studentessa tra il pubblico. Ebbene, sono proprio le scuole a supportare gli specializzandi nelle scelte rispetto alla formazione e sugli interventi terapeutici più efficaci con i pazienti.

Argomentazioni esaurienti a queste e ad altre domane sono state fornite durante il simposio “Disturbo Ossessivo Compulsivo: protocolli di intervento, procedure e tecniche di intervento innovative”, che ha visto Elena Prunetti  in veste di chair e  Teresa Cosentino nel ruolo di discussant. Difficile sintetizzare l’intera discussione, che tocca vari temi chiave per la psicoterapia.  Per darvi un’idea dei percorsi affrontati, ecco un elenco di quesiti con risposta che possono rappresentare i cardini delle riflessioni durante l’incontro:

    • perché si soffre? La spiegazione va cercata a livello di scopi e credenze;
    • perché i pazienti con Disturbo Ossessivo Compulsivo soffrono? Perché hanno il terrore di vedere minacciata la loro dignità morale, vale a dire iper-investono sulla prevenzione della colpa;
    • quale è il bersaglio dell’intervento, vale a dire cosa devo cambiare perché i sintomi si riducano? Il timore di colpa;
    • quali strumenti terapeutici abbiamo a disposizione per colpire il bersaglio? Tutti quelli della terapia cognitivo comportamentale (CBT) di prima e seconda generazione, innovazioni di queste (come quella proposta da Angelo Saliani), procedure di terza generazione come la compassion therapy;
    • funziona? Sono stati elaborati dati attendibili su esiti positivi delle procedure.

In altri termini, sembra che quando ci si muove su una spiegazione chiara della psicopatologia e di uno specifico disturbo, ne derivi una ipotesi chiara sul funzionamento dello specifico paziente che definisce il target dell’intervento. Diventa così più facile orientarsi (e orientare i giovani specializzandi) tra le procedure e forme di terapia. Ad esempio, se è chiaro che il mio bersaglio è il timore di colpa, posso provare a farlo con: esposizione, provando a modificare le credenze che lo sostengono, provando ad aumentare la disponibilità al perdono di sé e all’autocompassione, provando a modificare le memorie delle esperienze su cui il timore di colpa si è creato con procedure di Schema Therapy o EMDR e cosi via. Con questa impostazione, ne deriva anche una maggiore facilità di risposta alla domanda: funziona?

Un’osservazione a margine: in questo simposio non si è posta l’attenzione esplicita sulla relazione. L’impressione è che, come suggerito sempre da Angelo Saliani nelle tavole rotonde sull’impasse terapeutico, una profonda conoscenza della psicopatologia permette di ricavare interventi che riducono i problemi di ordine relazionale oltre a facilitare una via d’uscita efficace laddove si presentano.

In sintesi, tornando al tema principale, laddove ci sia una teoria psicopatologica chiara (e in questo caso è quella di Francesco Mancini sul DOC), diventa molto più facile orientarsi, applicare e studiare l’efficacia di procedure nuove.

In questa impostazione, troviamo anche una risposta alla domanda: come ci si può formare bene su tutte queste nuove terapie?

Non è necessario “formarsi bene”, se con questo si intende formarsi a un altro modello teorico di spiegazione della psicopatologia. È vero che le terapie di terza onda sono basate su una teoria esplicativa diversa da quelle di seconda generazione, ma per usare molte procedure non è necessario “comprare tutto il pacchetto”.

Cosi come è accaduto con il training assertivo o con l’ERP, procedure di cambiamento nate all’interno della teoria comportamentale, possono essere integrate perfettamente tra le tecniche di un terapeuta CBT senza la necessità di “sposare” la teoria esplicativa sottostante. Se fatto in modo coerente non è confusivo ne tantomeno un ecclettismo pasticciato; l’importante è avere chiaro cosa esattamente si vuole cambiare nel paziente e in che modo quella procedura può essere utile a tale fine. Del resto credo che pochi tra i colleghi della Sitcc che usano l’EMDR, sposino anche la teoria esplicativa sottostante.

Un’ultima osservazione: sembra che parte della confusione nasca dal mettere molte procedure di cambiamento nella categoria “terapia” e non “tecnica” o “procedura”, con il sottinteso che è una nuova o differente teoria di spiegazione, oltre che di cura, del paziente. E, purtroppo, forse spesso la ragione di questo è più economica e di status, che di tipo scientifico.

Misofonia: forte avversione nei confronti della fonte da cui provengono specifici rumori

di Giuseppe Romano

La misofonia è una forma di sofferenza psicologica, riconosciuta solo in tempi molto recenti, che negli ultimi anni ha interessato anche l’ambito clinico.

Molte persone, infatti, riportano una forte avversione nei confronti di suoni quotidiani, specifici, spesso ripetuti, che frequentemente sono generati da esseri umani, ma che possono essere anche prodotti da animali o provenire dall’ambiente.

La sofferenza psicologica sperimentata non riguarda solo un’emozione. In alcuni casi, probabilmente i più frequenti, viene riportata rabbia, in altri ansia talvolta anche disgusto.

Nel mese di dicembre del 2022, sul numero 19 della rivista “Cognitivismo Clinico”, è stata pubblicata una rassegna dei principali studi sul fenomeno della misofonia.

I diversi contributi illustrano lo stato dell’arte  sul tema, dalla definizione del concetto, spesso confuso o sovrapposto ad altre forme di “insofferenza” nei confronti dei suoni o di dolore sperimentato in presenza di un suono, ai metodi e agli strumenti di assessment e di valutazione, fino agli interventi psicoterapeutici esistenti.

E’ possibile scaricare gratuitamente il numero della rivista collegandosi a questo link https://apc.it/cognitivismo-clinico/cognitivismo-clinico/ o cliccando sull’icona in basso.

 

Perdita perinatale, l’attenzione necessaria

di Laura Lippolis

L’esperienza clinica registra come la perdita di un bambino per un aborto spontaneo o per una morte neonatale sia un evento ad alto gradiente traumatico

Il lutto è una tra le più dolorose esperienze che si possano sperimentare, in quanto costringe inevitabilmente l’individuo a confrontarsi con la perdita irrimediabile di una persona con cui aveva intessuto un legame di attaccamento. Perdere un figlio, un partner, un amico, un genitore o in generale una persona cara, rappresenta un evento di vita che pone l’individuo in una condizione di intenso stress e profondo dolore emotivo. La morte, purtroppo, è una esperienza naturale che la vita stessa ci porta a conoscere. Elaborare la morte di una persona cara è la capacità di riuscire a sopra-vivere, a continuare a vivere nonostante la perdita irrimediabile, a interpretare il terribile evento come un fatto inevitabile, ineludibile, diremmo “normale”. È sicuramente normale, seppur doloroso, assistere alla morte di un genitore, di una persona avanti negli anni… Ma chiedere a un genitore di sopravvivere alla morte di un figlio e specificatamente, proprio durante una esperienza fisiologicamente preposta a dare la vita, appare come un atroce paradosso. Il desiderio di dare alla luce un figlio attraverso una esperienza di gravidanza, spesso può incappare in un vissuto di perdita sia della vita stessa di quel figlio, sia del progetto genitoriale quale investimento su quel figlio. In questo caso gli eventi morte e vita si incrociano: si perde la vita mentre si è impegnati a generare la vita e mentre si compiono atti e sviluppi (si pensi ai cambiamenti che avvengono nel corpo e nella psiche della donna) evoluzionisticamente pensati per prepararsi ad accogliere la vita. Le cause legate all’esperienze di lutto peri-natale posso essere diverse (interruzioni spontanee, volontarie, terapeutiche, morte prematura del feto, diagnosi infausta di terminalità fetale, malformazioni invalidanti, ecc.).  Per molto tempo la società ha minimizzato il dolore della perdita di una gravidanza che è una tra le più dolorose tra le esperienze di lutto. Frasi rassicuranti, ma estremamente invalidanti, del tipo “Bisogna farsene una ragione…” oppure “Avrete presto altri figli, non pensateci più…” sono i consigli che a volte vengono forniti alle coppie che hanno subìto una perdita perinatale e che possono provenire da circuiti domestici, ma anche da ambienti sanitari che risultano a volte impreparati davanti all’evento. La ricerca ha dimostrato come le donne che nella propria storia di vita hanno subìto una perdita in gravidanza soffrano di un livello di stress psicologico più alto rispetto alle donne che non hanno mai subìto una perdita perinatale, con stati mentali caratterizzati da sentimenti di colpa, senso di ingiustizia, percezione di inefficacia del proprio corpo, invidia per gli altri, perdita di speranza e di aspettative riguardo al futuro. L’esperienza clinica registra come la perdita di un bambino a causa di un aborto spontaneo o per morte neonatale sia un evento ad alto gradiente traumatico, ma nonostante questo, attualmente si osserva una marcata carenza di studi controllati randomizzati in questo campo di ricerca. Questa falla rende difficile un adeguato supporto per un tipo di dolore che non differisce da comuni esperienza di perdita e che ha gli stessi rischi di sviluppare lutti complicati, con in più la possibilità di ricadute sul rapporto con gli altri figli, le gravidanze e i figli che verranno. Infatti,  si è osservato come  il lutto da perdita perinatale possa  minare la genuinità delle prime relazioni di attaccamento tra caregivers e figlio  durante le future gravidanze (mediate dai comuni  gesti di accarezzare la pancia, parlare dolcemente al figlio in grembo, raccontargli delle storie, ecc.) in quanto i genitori possono sperimentare in maniera più intensa ansie e preoccupazioni, entrare in evitamento emotivo, mostrare distacco e freddezza verso il feto, sovrainvestendo nello scopo di non esporsi nuovamente al doloroso rischio di perdita. Si può ben intuire come, nei casi in cui ciò avvenisse, questi comportamenti di evitamento potrebbero rappresentare un importante fattore di rischio per la costruzione dei legami di attaccamento con i figli futuri. Quando invece non sono presenti figli precedenti o ci sono state in passato perdite perinatali, alcuni studi mostrano come l’esperienza abortiva sia associata ad un rischio più alto di ricadute o insorgenza di episodi depressivi. Questi accenni sopra descritti assieme a una considerabile letteratura in merito all’argomento ci interrogano, come clinici, in merito al bisogno di ricerca, prevenzione e terapia.

 

Per approfondimenti

Forrest, G. C., Standish, E., & Baum, J. D. (1982). Support after perinatal death: a study of support and counselling after perinatal bereavement. Br Med J (Clin Res Ed), 285(6353), 1475-1479.Friedman, T., & Gath, D. (1989). The psychiatric consequences of spontaneous abortion. The British Journal of Psychiatry, 155(6), 810-813.

Burden, C., Bradley, S., Storey, C., Ellis, A., Heazell, A. E., Downe, S., … & Siassakos, D. (2016).

From grief, guilt pain and stigma to hope and pride–a systematic review and meta-analysis of mixed-method research of the psychosocial impact of stillbirth. BMC pregnancy and childbirth, 16(1), 1-12.

Michon, B., Balkou, S., Hivon, R., & Cyr, C. (2003). Death of a child: parental perception of grief  intensity–end-of-life and bereavement care. Paediatrics & child health, 8(6), 363-366.Kersting, A., & Wagner, B. (2012). Complicated grief after perinatal loss. Dialogues in clinical 34 neurosciences, 14(2), 187.

 

Foto di Liza Summer:
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Skills training: palestra delle abilità

di Francesca Rossini

Un protocollo di allenamento per imparare a regolare le emozioni e a gestire i rapporti interpersonali

Con “Skills Training” ci si riferisce ad uno dei protocolli fondanti il modello di trattamento Dialectical Behaviour Therapy (DBT) sviluppatosi a partire dal 1980, quando la psichiatra e psicoterapeuta americana Marsha Linehan condusse una ricerca sull’efficacia della terapia comportamentale per il Disturbo di Personalità Borderline presso il National Institute of Mental Health. Come racconta Linehan nel suo libro “Una vita degna di essere vissuta”,  i semi della DBT sono stati piantati nel 1961, quando, a diciotto anni, è stata ricoverata nel reparto Thompson Two dell’Institute of Living di Hartford, in Connecticut, in seguito a uno scompenso psichico durante l’anno del diploma. È grazie all’esperienza vissuta in prima persona, in quella che lei stessa definisce “discesa all’inferno”, che nasce l’esigenza di creare un nuovo modello di trattamento per il Disturbo di Personalità Borderline, diagnosi ricevuta dalla Linehan.
All’interno della costellazione di interventi che caratterizzano l’approccio DBT, si inserisce il protocollo di Skills Training. Si tratta di un gruppo di lavoro il cui focus è allenare le proprie abilità sociali per poter gestire parallelamente gli aspetti emotivi e gli aspetti interpersonali che caratterizzano la vita dei partecipanti al trattamento. Si tratta quindi di una vera e propria palestra, in cui ci si addestra per potenziare abilità sopite o poco allenate, fondamentali per poter fronteggiare aspetti cruciali della vita dell’essere umano, come la gestione degli aspetti emotivi e dei rapporti interpersonali.
Il setting di gruppo ha una duplice funzione: sia poter sperimentare, in vivo, le abilità su cui si sta lavorando, sia ricevere stimolo e validazione dagli altri partecipanti; il gruppo diventa quindi il palcoscenico principe dove poter sperimentare i risultati e il propulsore del proprio addestramento.
Le schede fornite tramite cui si struttura il lavoro, chiamate esse stesse “abilità”, sono delle autoistruzioni mentali, brevi e concise, che guidano il pensiero e di conseguenza il comportamento. A breve termine aiutano a sostituire pattern cognitivi, emotivi e comportamentali disfunzionali; a lungo termine aiutano a migliorare l’attitudine mentale verso sé stessi e verso il mondo.
Non si tratta di psicoterapia, ma di un gruppo di lavoro, dove le persone si mettono in cerchio, guidate da un leader (che insegna, modella e dà i compiti) e un co-leader (che osserva i processi gruppali, aiuta a tenere i tempi, gestisce le crisi).
Lo Skills Training si basa sui principi derivanti dalla mindfulness: la consapevolezza del momento presente, il non attaccamento (all’idea di come dovrebbero essere le cose idealmente, favorendo l’accettazione delle cose così come sono), l’inter-essere (importanza di ogni membro di un gruppo che ha scopi comuni), l’impermanenza (il gruppo è in continuo movimento) e l’idea che il gruppo è perfetto così com’è (ogni membro sta facendo del suo meglio, è importante riconoscere, accettare e validare il funzionamento del gruppo).
Gli obiettivi del protocollo sono essenzialmente quattro: implementare le abilità socio-emotive per gestire la disregolazione emotiva; ridurre l’ansia sperimentata nei rapporti interpersonali, promuovendone una miglior gestione; controllare e prevenire l’impulsività; rafforzare l’identità personale. Questi scopi fanno capo ai quattro moduli secondo i quali è stato organizzato il protocollo: abilità di “efficacia interpersonale”, abilità di “regolazione emotiva”, abilità di “tolleranza alla sofferenza” e abilità di “gestione e controllo degli impulsi (mindfulness)”.
Inizialmente ideato per il trattamento del Disturbo di Personalità Borderline, è stato poi riadattato per il trattamento di altre tipologie di disturbo, come ad esempio la schizofrenia (Social Skills Training).
Verrà prossimamente illustrata l’esperienza di attuazione di questo protocollo all’interno di un contesto residenziale, quale una comunità terapeutica di doppia diagnosi.

Foto di Vie Studio:
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Curare il disturbo ossessivo compulsivo

di Mauro Giacomantonio

La Terapia Cognitivo Comportamentale è efficace?

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una psicopatologia piuttosto diffusa e invalidante. Può manifestarsi in diverse forme, ad esempio con compulsioni di lavaggio o di controllo, ed esordire già in giovane età. È quindi di fondamentale importanza sviluppare e mettere alla prova protocolli di intervento sempre più incisivi e sostenibili dalle persone che soffrono di DOC.

Proprio con questo intento, Andrea Gragnani e collaboratori hanno recentemente pubblicato un articolo che esamina, attraverso uno studio condotto su pazienti che presentavano sintomi ossessivi, l’efficacia di un intervento sviluppato e perfezionato dal Prof. Francesco Mancini e il suo gruppo clinico e di ricerca negli ultimi venti anni.

Questo modello di intervento, oltre ad essere basato su una specifica concettualizzazione teorica del DOC, si pone il problema di favorire la capacità di tollerare la minaccia ossessiva e, quindi, di aderire meglio alla tecnica dell’esposizione con prevenzione della risposta (ERP). L’ ERP, infatti, è una tecnica psicoterapica molto efficace per il trattamento del DOC, che troppo frequentemente viene rifiutata o abbandonata dai pazienti perché percepita come ansiogena.

In risposta a questo problema, l’intervento esaminato nell’articolo propone una serie di tecniche cognitive che facilitano il processo di accettazione della minaccia, riducendo sia la convinzione di potere o dovere ridurre il rischio temuto, sia la tendenza a ricorrere a ragionamenti eccessivamente sbilanciati sul versante della prudenza. La capacità di accettare il rischio aiuterà poi il paziente a tollerare l’esposizione rinunciando alle condotte di protezione. Dei 40 pazienti che hanno sperimentato il protocollo proposto, una elevata percentuale (80%) ha riportato un beneficio significativo e in pochissimi hanno abbandonato il trattamento proposto.

Questi risultati confermano la necessità di articolare un trattamento complesso che favorisca prima l’accettazione “cognitiva” della minaccia e permetta poi di sperimentarla praticamente attraverso l’ERP.

Studi di efficacia come quello pubblicato da Gragnani e colleghi sono particolarmente preziosi per la pratica clinica quotidiana, perché permettono di valutare gli aspetti cruciali per la riuscita del trattamento, aprendo così la strada al suo perfezionamento.

Per approfondimenti

Gragnani, A., Zaccari, V., Femia, G., Pellegrini, V., Tenore, K., Fadda, S., Luppino, O.I., Basile, B., Cosentino, T., Perdighe, C., Romano, G., Saliani, A.M., Mancini, F. (2022). Cognitive-Behavioral Treatment of Obsessive-Compulsive Disorder: The Results of a Naturalistic Outcomes Study. Journal of Clinical Medicine, ;11(10):2762.

Articolo integrale: https://doi.org/10.3390/jcm11102762

“L’amore è l’unica cosa”

di Caterina Villirillo

L’intervento di Steve Hayes e altri spunti per il trattamento dell’età evolutiva al Congresso Intermedio SITCC

Un congresso tra amici e colleghi in atmosfera natalizia con vista mare: è il ricordo che conservo del Congresso Intermedio SITCC che si è svolto dal 9 all’11 dicembre 2022 ad Ancona. Un congresso per la prima volta interamente dedicato all’età evolutiva: un’occasione unica di confronto e formazione che ha coinvolto diversi colleghi che operano nel territorio nazionale e che si occupano quotidianamente di questa particolare fase della vita. Il programma è stato ricchissimo e variegato. La prima giornata ha previsto tre workshop paralleli esperienziali dedicati all’Acceptance and Commitment Therapy, alla Theraplay e al trattamento dei disturbi da Tic e della Sindrome di Tourette. Nelle giornate successive, in due tavole rotonde diversi membri dell’equipe per età evolutiva SPC-APC hanno avuto il piacere di esporre i propri lavori sul tema dei disturbi specifici di apprendimento e dei disturbi di personalità, nell’ottica dello sviluppo nell’arco della vita. Ci sono stati, inoltre, sei simposi paralleli dedicati a lavori clinici e di ricerca.
Gli spunti offerti da questi interventi e l’esposizione delle tecniche che hanno stimolato il desiderio di lavorare in modi alternativi con i pazienti sarebbero già stati sufficienti a rendere questo congresso imperdibile, ma la main relation di Steve Hayes, fondatore dell’Acceptance and Commitment Therapy, ne ha definito l’unicità. È stato emozionante ascoltare il professore che, con la semplicità che lo contraddistingue, ha spiegato come è necessario occuparci del benessere infantile, considerando il mondo attuale in cui i bambini vivono, in continua trasformazione. Secondo Hayes, è necessario reinventarci ogni giorno, senza perdere mai l’entusiasmo e la passione per il nostro lavoro: “Il mio messaggio per voi è quello di guardare alla scienza della flessibilità psicologica, – ha detto – ma anche a come questa possa rendere noto ciò che già conoscete, ovvero portare amore a voi stessi; anche quando è difficile, – ha aggiunto – vi aiuterà a portare amore nel mondo nel modo in cui volete portarlo nel mondo, perché l’amore non è ogni cosa, l’amore è l’unica cosa”. Parole che costituiscono una bussola che potrà guidarci e indirizzare i nostri valori nella professione di terapeuta.
Non sono mancati i momenti di convivialità ed è sempre bello osservare come a fare ancora più grande il valore di molti colleghi stimati sia la capacità di sapersi prendere con leggerezza, di appassionarsi e divertirsi: un grande valore aggiunto al mestiere del terapeuta, soprattutto quando ci si trova di fronte a piccoli e giovani pazienti. Il senso di appartenenza a questo gruppo io l’ho sentito, è stato bello ritrovare colleghi che per vie diverse hanno fatto parte del mio percorso e vedere come tutte le strade si ricongiungono in una rete coesa di collaboratori preziosi, che parlano la stessa lingua, che ogni giorno si impegnano a perseguire l’obiettivo di favorire il benessere e migliorare la qualità di vita di bambini e adolescenti. I dati sulla sofferenza psicologica in età evolutiva, condivisi anche durante il convegno, sono purtroppo allarmanti ed è importante dare maggiore rilievo a questa tematica perché conoscere e condividere tecniche sempre più aggiornate può permetterci, in tempo reale, di intervenire sulla vulnerabilità storica degli adulti di domani. Queste sono occasioni davvero preziose e mi auguro che il successo di questa prima edizione possa incoraggiare la scelta di rendere il congresso SITCC per l’età evolutiva un appuntamento fisso. E intanto arrivederci a Bari per il congresso SITCC di settembre 2023!

Foto di Nothing Ahead:
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Prevenire la sofferenza in età evolutiva

di Giordana Ercolani

Nuove prospettive e linee di intervento al Congresso Intermedio SITCC 2022      

Metti una società scientifica e professionale con oltre 2000 soci che si occupano di psichiatria, neuropsichiatria infantile, psicologia clinica e psicoterapia. Una tradizione di quasi 40 anni di lavoro dedicato all’approfondimento di aspetti teorici, clinici e applicativi nell’approccio cognitivo comportamentale. Un gruppo di colleghi che in questa società scientifica esprimono il loro particolare interesse sulla psicoterapia dell’età evolutiva.
Aggiungi un programma scientifico ricchissimo, che in tre giornate ha offerto: tre workshop dal taglio pratico su modelli specifici di intervento in età evolutiva; due tavole rotonde sul tema dei disturbi specifici dell’apprendimento e dei disturbi di personalità, in un’ottica di sviluppo e nell’arco di vita; la main relation del prof. Steven C. Hayes, ideatore e co-sviluppatore dell’Acceptance and Commitment Therapy; sei simposi paralleli in cui sono stati presentati lavori clinici e di ricerca relativi all’applicazione della terapia cognitivo comportamentale (CBT) in età evolutiva.

Infine, immagina la tanta voglia di stare insieme e di confrontarsi dopo un lungo periodo di pandemia e la location suggestiva di una città sul mare come quella di Ancona: il risultato è senza dubbio un’esperienza positiva. Così è stato il Congresso Intermedio SITCC 2022 intitolato “La terapia Cognitivo Comportamentale in età evolutiva: nuove prospettive e linee di intervento”.

Grazie al lavoro svolto dal comitato scientifico, rappresentato dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva APC-SPC e la Scuola Bolognese di Psicoterapia Cognitiva SBPC, per tutti i soci è stato possibile partecipare al primo congresso SITCC dedicato interamente all’età evolutiva. L’imbarazzo della scelta sui panel da seguire è stato costante, ma al tempo stesso l’indecisione è stata piacevolmente modulata dalla soddisfazione nel vedere così tanti terapeuti distribuiti nelle aule e dalla possibilità di confrontarsi con colleghi che avevano seguito simposi diversi dai propri. Sono stati, infatti, davvero tantissimi gli spunti di riflessione da cogliere durante le tre giornate di lavoro, nella comune convinzione che, grazie a una vincente integrazione tra scienza, pratica clinica e creatività, sia possibile intervenire nel percorso di vita dei nostri giovani pazienti prima che diventino degli adulti sofferenti. A partire dalla giornata di workshop, si è potuto sperimentare, ad esempio, quanto con la Theraplay si possa avere accesso al mondo interno di bambini e adolescenti con attività che apparentemente sembrano “solo” ludiche. Ciò avvalora ulteriormente quanto una puntuale rappresentazione del funzionamento del paziente nella mente del suo terapeuta, unita a un razionale strategico che ne tenga conto, siano elementi fondamentali in grado di trasformare una “semplice” pratica di confronto giocoso in una preziosa occasione di consapevolezza, elaborazione della sofferenza e cambiamento. Allo stesso modo, proseguendo con i simposi e le tavole rotonde, è stato possibile constatare, a conferma di quanto già riscontrabile nella pratica clinica quotidiana, come quei bambini e ragazzi che fin dai primi anni di vita si trovano costretti a confrontarsi con una vulnerabilità neuropsicologica crescano costruendo una immagine di sé stessi e del mondo attorno strettamente vincolata a esperienze di svantaggio in molti domini di vita. Il risultato è una marcata ricaduta negativa sull’immagine di sé e sulle relazioni interpersonali, spesso origine di sofferenza psichica che, se trascurata o considerata solo marginalmente, li porterà con grande probabilità ad essere degli adulti ancor più problematici. Riassumere tutto in poche righe è davvero un’impresa impossibile, non resta che aspettare il prossimo congresso organizzato dai colleghi dell’area di Interesse sulla Psicoterapia dell’Età Evolutiva e parteciparvi, così da essere ancora più numerosi e alimentare uno scambio scientifico sempre più stimolante.

Foto di Artem Podrez:
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Tutti i colori del Congresso SITCC

di Rosaria Monfregola

Report dell’’evento ad Ancona sull’età evolutiva

Quest’anno è stata Ancona, la città dei due soli, a ospitare il congresso intermedio SITCC, che si è svolto a dicembre; nell’intero weekend non è stato possibile vedere i due soli (l’alba e il tramonto sul mare) a causa di forti piogge, ma l’ultimo giorno l’immagine di un arcobaleno sul mare ancora riaffiora nella mia mente, a suggellare l’esperienza di questo congresso.

In apertura gli organizzatori forniscono qualche dato dalle sfumature grigiastre: “Si consideri che la metà degli adulti con una patologia psichiatrica hanno un esordio prima dei 14 anni” (Rapporto dell’OMS del 2021) e “in Italia circa 400.000 minori sono in carico ai servizi sociali, di cui 77.000 per maltrattamento” (Rapporto CISMAI del 2021). Queste solo alcune ragioni a favore di un congresso incentrato sulla psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza, sottolineando l’importanza dell’intervento terapeutico in età precoce. E con l’avvio dei lavori inizia a colorarsi il panorama congressuale.

Uno dei colori è rappresentato dal confronto tra professionisti su tematiche specifiche. Ad esempio, nella prima tavola rotonda, con focus sui disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e sulle comorbilità psichiatriche, si è parlato dell’importanza della diagnosi esplicativa nelle comorbilità dei DSA, delle co-occorrenze con i disturbi esternalizzanti che rappresenta un importante fattore di rischio in età evolutiva. Nella seconda tavola rotonda, incentrata su disturbi di personalità, prodromi e modelli di intervento, i colleghi hanno condiviso l’importanza di rintracciare i precursori di rischio e i fattori protettivi per uno sviluppo armonico della personalità in età evolutiva, ma soprattutto la necessità di effettuare una diagnosi precoce. Di grande rilevanza, ad esempio, il contributo sui comportamenti suicidari e l’autolesività non suicidaria in adolescenza.

Un altro colore di questo congresso è dato dall’esplicazione di numerosi modelli di intervento presentati nei workshop, nella presentazione di casi clinici, oppure proposti in forma descrittiva nei vari simposi: per citarne alcuni, si pensi alla Trauma Focused Therapy (TF-CBT) che ha dominato il simposio sul trauma, al Modello a Tre assi (TAM) esposto nel simposio sull’Adolescenza, o al Cool Kids Program, il modello scopistico presentato in più di un lavoro o un protocollo di promozione del benessere volto al miglioramento della qualità di vita nei ragazzi con DSA.

L’esperienzialità è stata una tinta accesa dei tre workshop in parallelo che hanno introdotto nell’applicazione di modelli specifici di intervento. Nel workshop “La Terapia cognitivo comportamentale dei disturbi da tic e della Sindrome di Tourette”, la dott.ssa Monica Mercuriu ha presentato il modello di terapia cognitivo comportamentale integrata (CBTI), arricchito da video e vignette cliniche. Il fare esperienza di un’esemplificazione di trattamento in diretta, mediante collegamento online con un giovane paziente con sindrome di Tourette, è stato un momento prezioso per toccare con mano l’applicazione dell’Habit Reversal Training (H.R.) e dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP), tecniche evidence based per la sintomatologia ticcosa.

Non sono mancati i lavori di ricerca che hanno consentito di portare dati di efficacia nei diversi ambiti di applicazione della terapia cognitivo comportamentale in età evolutiva.

Un nuovo colore è stato dato dalle nuove prospettive, tra le quali quella proposta dall’ospite internazionale, il prof. Steven C. Hayes: l’Extenden Evolutionary Meta-Model (EEMM), un approccio evolutivo basato sui processi, che attenziona la natura multidimensionale e multilivello del funzionamento umano. Oltre alle sei dimensioni psicologiche, l’autore cita i livelli biofisiologici e socioculturali osservabili nei processi di cambiamento.

Infine, un tocco di luminosità è stato dato dalla condivisione con i colleghi: nei coffee break e nel corso dell’immancabile e briosa cena sociale, il confronto è stato quel quid in più che ha permesso la condivisione di idee e l’arricchimento della rete di relazioni.

È con un arrivederci a Bari 2023 (save the date: 21-24 settembre) che si è concluso questo congresso SITCC!

 

Foto di Alexander Grey:
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La salute del sonno nell’età evolutiva

di Debora Meneo, Carlo Buonanno e Chiara Baglioni

Effetti e rischi dei cambiamenti nel pattern sonno-veglia nell’età dello sviluppo e dell’adolescenza

Il sonno è un processo psicofisiologico necessario per la nostra sopravvivenza, regolato dal sistema nervoso centrale e che occupa circa un terzo della nostra vita. Nei primi anni di vita passiamo più tempo dormendo che svegli e fino alla fine dell’adolescenza abbiamo bisogno che il nostro sonno occupi uno spazio importante della giornata per poter ottenere un buon funzionamento a livello mentale e fisico. Durante l’età dello sviluppo, infatti, i cambiamenti nel pattern sonno-veglia si associano ai progressi nella maturazione cerebrale. Nonostante l’importanza del sonno per lo sviluppo, le problematiche a esso associate sono diffuse in età pediatrica. Infatti, la maggior parte dei bambini apprende ad addormentarsi da solo attraverso associazioni positive create all’addormentamento dalle interazioni con i genitori. I disturbi comportamentali del sonno sono molto frequenti nell’età dello sviluppo e riguardano circa il 30% dei bambini e il 10% degli adolescenti. Il trattamento di psicoterapia a orientamento cognitivo comportamentale è indicato come intervento di prima linea per i disturbi comportamentali del sonno in tutte le età. La terapia, basata su ampia evidenza empirica, include una famiglia di tecniche e strategie dirette a modificare credenze e atteggiamenti relativi al sonno. L’intervento è diretto esclusivamente ai genitori quando i bambini sono molto piccoli, può coinvolgere il bambino in età scolare e si rivolge principalmente al ragazzo o alla ragazza durante l’adolescenza. La problematica più prevalente è il disturbo di insonnia, che si presenta come una difficoltà di inizio o di mantenimento del sonno, o di risveglio precoce, associata a un disagio rilevante durante il giorno. Secondo i criteri diagnostici internazionali (DSM-5, APA, 2013 e Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno, AASM, 2014), nell’età evolutiva il disturbo di insonnia si può manifestare anche attraverso una resistenza ad andare a dormire negli orari indicati dai genitori, o una capacità selettiva di iniziare e/o riprendere il sonno solo in alcune condizioni, come per esempio esclusivamente se presente il genitore. Dato che gli orari di sonno dei bambini sono spesso definiti dalla famiglia, può capitare che il disturbo di insonnia si associ a un disturbo del ritmo circadiano. L’interazione tra un sonno discontinuo e di scarsa qualità, con orari irregolari o non appropriati rispetto al ritmo solare e sociale e con una quantità di sonno ridotta, rappresenta un problema sempre più diffuso. In generale, è stata osservata una tendenza verso un addormentamento tardivo in età pediatrica: i bambini sono spesso messi a letto più tardi rispetto a quanto il loro orologio circadiano permetterebbe normalmente; questo, a sua volta, contribuisce a un altro trend verso la riduzione della durata del sonno nei bambini. Durante lo sviluppo, il bisogno di sonno è più alto che in età adulta (dalle 9-11 ore in età scolare alle 8-10 ore in adolescenza). Tuttavia, bambini e ragazzi nel mondo occidentale riportano una tendenza a dormire meno rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida internazionali. Dati precedenti all’insorgenza della pandemia da Covid-19 nella popolazione italiana hanno mostrato come bambini e adolescenti italiani tendono ad andare a dormire circa un’ora più tardi in confronto ai coetanei del Nord Europea o degli Stati Uniti e a riportare una quantità del sonno minore rispetto al loro bisogno fisiologico. Dati raccolti durante il periodo di pandemia in Italia hanno mostrato un’allarmante prevalenza di sintomi di insonnia nei bambini più piccoli, nei bambini in età scolare e negli adolescenti. Tuttavia, definire quando un sonno insufficiente diventa disfunzionale in questa fase di vita può rilevarsi operazione non semplice. La maggior parte degli studi sul sonno nei bambini si è focalizzata su una singola dimensione, come la durata appropriata per l’età o la presenza di difficoltà nell’addormentamento. Nel 2014, prendendo in considerazione l’età adulta, Daniel Buysse ha proposto di definire cos’è un sonno sano in un’ottica multidimensionale. Le dimensioni sono: soddisfazione, livello di vigilanza diurna, tempo del sonno, efficienza e durata. Ognuna di queste dimensioni è risultata connessa alla salute e alterazioni in ognuna di esse si associano a esiti negativi dal punto di vista del funzionamento della persona e della salute fisica e mentale. Integrando il concetto di salute del sonno proposto da Buysse nel 2014 e nell’applicarlo ai bambini, Donald Meltzer e colleghi nel 2021 aggiungono una sesta dimensione della salute del sonno in età pediatrica: i comportamenti relativi al sonno. All’interno di tali comportamenti rientrano sia la regolarità del pattern di sonno che le routines all’addormentamento. Un pattern di sonno irregolare, segnato da un’alta variabilità in orario e durata del sonno da giorno a giorno, è risultato nocivo per la qualità del sonno dei bambini e associato a problematiche comportamentali. Una routine consistente aiuta a rafforzare la normale regolazione del ciclo sonno-veglia; inoltre, l’uso di strategie di addormentamento sotto forma di routine in accordo alla regolazione del sonno aiutano a creare un momento interattivo che nutre la capacità del bambino di addormentarsi in modo indipendente. Routines che non sono consistenti o non compatibili con l’igiene del sonno possono, invece, alimentare la resistenza all’addormentamento, un orario di sonno tardivo e, di conseguenza, una durata del sonno ridotta. Per esempio, molti bambini sono esposti alla televisione o a dispositivi elettronici in generale prima o durante l’addormentamento, con un conseguente ritardo dell’orario di sonno e della sua durata. Queste abitudini possono associarsi a livelli di attivazione psicofisiologica che sono incompatibili con il sonno. È importante sottolineare che i disturbi del sonno in età pediatrica sono una problematica che ha effetto su tutto il sistema familiare. Molti genitori sviluppano ansia e preoccupazione per il sonno dei propri figli e questo, a sua volta, incide sulla loro capacità di gestire lo stress e di avere un buon riposo. In una recente intervista apparsa su The Guardian, il dottor Dimitri Graviloff, direttore del servizio per i disturbi del sonno in età pediatrica dell’Oxford University Hospital, sottolinea come l’apprensione dei genitori verso la salute del sonno dei bambini abbia portato molti a richiedere l’aiuto di consulenti privati, che non sempre hanno una formazione professionale adeguata. Infatti, come il dottor Graviloff avverte, si tratta di un’industria non regolamentata, all’interno della quale non ci sono standard di formazione per i consulenti o di scientificità per gli interventi o consigli erogati. Il prezzo che molti genitori pagano è alto, non solo sul versante economico, ma anche sul versante delle possibili ripercussioni di interventi non basati sull’evidenza sulla salute del sonno dei bambini. È quindi sempre più importante avere informazioni basate sull’evidenza da comunicare alle famiglie e includere i bambini stessi, quando l’età lo permette e il prima possibile, nell’educazione sul sonno, in modo da fornire loro strumenti di auto-regolazione che potranno usare anche in futuro per prevenire problematiche di sonno a lungo termine.

Per approfondimenti
Bacaro, V., Chiabudini, M., Buonanno, C., De Bartolo, P., Riemann, D., Mancini, F., Baglioni, C. (2021b). Sleep Characteristics in Italian Children During Home Confinement Due to Covid-19 Outbreak. Clinical neuropsychiatry, 18(1), 13–27. https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210102

Bacaro, V., Gavriloff, D., Lombardo, C., & Baglioni, C. (2021a). Sleep Characteristics in the Italian Pediatric Population: A Systematic Review. Clinical neuropsychiatry, 18(3), 119–136.  https://doi.org/10.36131/cnfioritieditore20210302

Buysse D. J. (2014). Sleep health: can we define it? Does it matter?. Sleep, 37(1), 9–17. https://doi.org/10.5665/sleep.3298

Meltzer, L. J., Williamson, A. A., & Mindell, J. A. (2021). Pediatric sleep health: It matters, and so does how we define it. Sleep medicine reviews, 57, 101425. https://doi.org/10.1016/j.smrv.2021.101425

Articolo The Guardian: https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2021/may/29/losing-my-mind-can-baby-sleep-gurusreally-help-exhausted-parents

Foto di Matheus Bertelli:
https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-che-si-appoggia-la-testa-sulla-sua-mano-mentre-chiude-gli-occhi-573253/