di Benedetto Astiaso Garcia
“Nulla è più facile che illudersi, perché ciò che ogni uomo desidera, crede anche che sia vero”. Demostene
Il concetto di scopo rientra nel dominio delle teorie motivazionali, rappresentando il costrutto principe atto a orientare l’attivazione, la persistenza e la cessazione di comportamenti ed emozioni. La sofferenza emotiva dell’uomo risiede nell’attribuire a un evento la responsabilità di aver compromesso alcuni scopi o il potere di minacciarne il perseguimento.
La mente umana deve avere l’incessante capacità di rappresentarsi interiormente nuovi scopi, evitando di lasciare un buco motivazionale destinato a catapultare l’individuo in una dimensione di incapacità di ripristino dell’equilibrio desiderato: è proprio l’assenza di scopi, infatti, ad aumentare il malessere, la tensione interna e la sofferenza psichica.
Il benessere stesso dell’uomo risiede, dunque, nell’avere uno scopo capace di generare una discrepanza tra stato percepito delle cose e stato desiderato: l’assenza di scopi, o l’incapacità di formularne di nuovi una volta raggiunti, potrebbe pertanto risultare ancor più grave della minaccia o della compromissione degli scopi stessi. Nel momento in cui l’uomo cessa di essere in tensione verso qualcosa smette di esistere: l’ineffabilità dell’appagamento dell’anima assume, in questo modo, l’accezione transgenerazionale e transculturale di scopo terminale.
Il semplice possedere uno scopo, sia esso funzionale o disfunzionale, perseguibile o irraggiungibile, proprio o altrui, diventa, di conseguenza, ciò che motiva le scelte. Non è la frustrazione o la soddisfazione di uno scopo a motivare il comportamento umano quanto la rappresentazione mentale dell’idea stessa di scopo, costrutto motivazionale capace di nutrirsi della sua stessa linfa.
In tal senso, raggiungere uno scopo potrebbe celare diverse minacce, quali, per esempio, la mancata corrispondenza tra rappresentazione mentale desiderata ed effettiva oggettività dello stato delle cose, mismatch potenzialmente deprimente. La frustrazione potrebbe dunque derivare anche dal perseguimento di uno scopo molto bramato, inducendo un profondo dolore dettato dallo scoprire che ciò che era da sempre desiderato non corrisponde a ciò che si credeva sarebbe stato. Prendere atto della realtà, inoltre, coincide molto spesso con la necessità di riorganizzare il proprio piano di vita, processo cognitivamente molto dispendioso.
Nel mito greco di Apollo e Dafne viene ben rappresentata la propensione umana a ricercare disperatamente ciò che viene desiderato, attività molto spesso destinata a rimanere frustrata nel momento stesso in cui il bisogno di possesso, o di goal, viene soddisfatto. Punito da Cupido con una freccia dorata per la sua arroganza, il figlio di Zeus vede nascere dentro di sé una irrefrenabile passione verso la sacerdotessa di Gea, quest’ultima tuttavia è condannata, sempre da Eros, a respingere per sempre l’amore di Apollo. Nel momento stesso in cui, a seguito di una estenuante ricerca, Apollo incontra Dafne e arriva quasi a toccarla, quest’ultima, terrorizzata e rifiutante, grazie all’aiuto della Madre Terra, vede trasformare irreversibilmente il suo corpo in un albero, il lauro. Il cambiamento, avvenuto sotto gli occhi del dio, genera in lui una ferita dettata dalla mancata corrispondenza tra rappresentazione desiderata e realtà percepita, quest’ultima fatta di fronde e non di carne, di forzata castità e non di passionale possesso.
La sofferenza del dio del Sole sarà destinata a rimarginarsi solamente nel momento in cui, considerati inutili i suoi tentativi di ritrovare la ninfa amata, proclama sacra al suo culto la pianta dell’alloro, attribuendo così una nuova valenza motivazionale al suo sentimento.
L’amore impossibile trova dunque senso nella sua stessa mancata realizzazione. Non vi è scopo più caro di possedere uno scopo, magari difficile da raggiungere. Il filosofo tedesco Paul Rée afferma: “la mente distrugge le nostre illusioni, ma il cuore le ricostruisce da capo”.
Per approfondimenti:
Mancini F., “Sulla necessità degli scopi come determinanti prossimi della sofferenza psicopatologica”, Cognitivismo Clinico (2016), 13, 1, 7-20
Catelfranchi C, Mancini F., Miceli M., “Fondamenti di cognitivismo clinico”, Bollati Bringhieri, Torino, 2012