Distacchi emotivi

di Caterina Parisio

Da Edward Hopper alla psicopatologia del disturbo evitante

 “Forse io non sono molto umano […] Dipingo solo per me stesso. Mi piacerebbe che i miei quadri comunicassero, ma se non lo fanno va bene lo stesso. Non penso mai alla gente quando dipingo, mai”. Edward Hopper

Ci sono dei pittori che invitano all’analisi psicologica. Certamente Edward Hopper è tra questi, interprete profondo delle relazioni umane. Hopper dipinge la vasta solitudine dell’anima contemporanea rispetto al nulla; l’attesa di qualcosa o di qualcuno che non verrà; il vuoto degli sconfitti.

In Room in New York, un dipinto del 1923, l’apparente banalità di una scena quotidiana stimola la capacità interpretativa di qualsiasi osservatore: il pittore Charles Burchfield ne sottolinea il silenzio insopportabile; il poeta Mark Strand si sposta invece su una dimensione psicologica, quella del distacco.

Lui chino sul giornale. Lei sta dall’altro lato di una piccola stanza e guarda i tasti di un pianoforte che sfiora con un dito. Lui è concentrato sulla lettura, ma lei non è concentrata sul pianoforte; sta facendo passare del tempo, presumibilmente in attesa che lui finisca di leggere il giornale. L’uomo e la donna sono sia uniti che separati: il senso di distacco che può crescere pur mentre ci si trova in compagnia di un’altra persona.

Il distacco intuito da Strand potrebbe dipendere dalla relazione tra i due protagonisti del quadro: una relazione di coppia conflittuale o addirittura ostile sfociata in un sentimento di estraneazione sino al distacco emotivo. E se invece il distacco non dipendesse dalla relazione ma fosse la modalità usuale di uno dei due protagonisti di vivere le relazioni emotivamente importanti?

Secondo la teoria dell’attaccamento, il funzionamento evitante è sovrapponibile con la categoria d’attaccamento adulto tipo fearful, caratterizzato da rappresentazioni negative di sé e degli altri: gli altri non sono accudenti e non sono disponibili e il sé non merita affetto. L’immagine di sé negativa viene rinforzata dall’arousal emotivo e indebolita da fattori che inibiscono l’attivazione di meccanismi regolatori dell’emozione.

In ogni stile di attaccamento si costituisce uno stile di conoscenza.

Un bambino allevato in un clima emotivo di relativa trascuratezza può sviluppare la convinzione profonda che nei momenti di bisogno è meglio far conto solo su se stessi e che lasciarsi coinvolgere emotivamente è un errore che verrà pagato a caro prezzo. Nell’età adulta, una persona che ha seguito questo percorso nello sviluppo della personalità, può essere del tutto inconsapevole dei motivi che sono alla base del suo distacco emotivo. Nella relazione prevale un atteggiamento di chiusura che esprime la difficoltà a fare riferimento a nuove informazioni provenienti dal contesto, nel formulare un giudizio sociale. Le interazioni divengono così fonte di disagio e disturbo.

Persone come quelle dipinte da Hopper sono incapaci di avere una buona rappresentazione della mente altrui e hanno difficoltà a riconoscere i propri pensieri, emozioni, sensazioni quando vivono le relazioni interpersonali. Gli altri li osservano a loro volta o entrano in contatto con molta difficoltà, colpiti dalla sensazione del distacco che emanano. Il modo di padroneggiare il distacco è la ricerca del sollievo attraverso l’allontanamento e la solitudine.

In Morning sun, Hopper dipinge una donna sola, seduta con le braccia incrociate sulle gambe piegate, in posizione raccolta sopra un letto intatto, con lo sguardo rivolto verso una finestra da cui entra la luce del sole. La donna ha l’espressione assente, persa in un vuoto lontano, in un “altrove” che esce fuori dal confine del quadro e che resta ignoto allo spettatore. La sua è una pura presenza fisica, in quanto il suo pensiero, il suo mondo interiore, rimangono del tutto inaccessibili.
Il suo occhio destro è una piccola macchia nera, quasi un’orbita vuota, che infonde una sensazione inquietante e che soprattutto testimonia la condizione di alienazione (intesa come condizione di estraneità e di disinteresse per la realtà circostante) del personaggio. La luce fredda e tagliente e le ombre della stanza creano una tensione psicologica, ma soprattutto un gran senso di solitudine, accentuato dai colori e dalle geometrie, dalla posizione elevata della stanza rispetto alla strada e dal volto inespressivo e inaccessibile della donna. Difficile interpretare il suo stato d’animo.

La solitudine è la soluzione apparente ai problemi di estraneità/distacco presentati, ma solo parzialmente e per un tempo limitato.

Come i suoi personaggi, anche il pittore si mostra emotivamente distaccato; il suo pennello distilla emozioni con freddezza e lucidità, senza far trapelare alcuna partecipazione. Esiste tuttavia una traccia della presenza emotiva di Hopper il quale, a un critico d’arte che paragonò i suoi quadri a diapositive astratte e algide, rispose: “No ve ne prego, così mi uccidete”.

 

Per approfondimenti:

Giancarlo Dimaggio, Antonio Semerari (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento, Ed. Laterza

Il “Malignant Self-Regard”

di Roberto Pedone

 Un nuovo quadro di riferimento concettuale per la patologia di personalità depressiva, auto-frustrante, masochistica e narcisista vulnerabile

I disturbi di personalità (DP) masochista, autolesionista, e depressivo sono stati proposti per l’inclusione formale nelle diverse edizioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), senza mai però, in ultimo, essere inseriti. La causa principale della mancata inclusione è l’eterogeneità e sovrapposizione dei criteri, che rende queste classificazioni sovrapposte ad altri disturbi di personalità e difficili da differenziare mediante studi empirici. Un altro DP sotto-rappresentato nel sistema DSM è la manifestazione fenotipica vulnerabile del narcisismo.

Una approfondita revisione delle descrizioni teoriche di questi disturbi, delle proposte di spiegazione delle loro origini evolutive, insieme con l’analisi della loro sovrapposizione empirica e comorbidità con altri DP, ha consentito a Steven Huprich e ai suoi collaboratori di ipotizzare una dimensione di personalità trasversale, capace di riunire in un unica cornice di riferimento tutti questi disturbi. Il costrutto così definito ha preso il nome di “Malignant Self-Regard”, che lega insieme il narcisismo vulnerabile, la personalità depressiva, autolesionista e quella masochistica, è caratterizzato da stati mentali e sentimenti di inadeguatezza, ipersensibilità alle critiche, vergogna, disregolazione della rabbia, perfezionismo, desideri di approvazione e accettazione, depressione, pessimismo, autocritica, senso di colpa, azioni autodistruttive o, in ultimo, auto-boicottanti.

Il modello di funzionamento descritto nel MSR cattura l’insidia e i “moti e modi” auto-distruttivi in cui il senso individuale di sé viene attaccato e messo in discussione dalla mente stessa, specialmente in presenza di segnali che attivano la preoccupazione su come il sé viene visto dagli altri. Il risultato di questa dinamica, generata a partire dalla considerazione negativa della propria auto-rappresentazione, influisce conseguentemente sulle relazioni interpersonali e sul comportamento dell’individuo. L’attivazione malevola sul senso di sé è in qualche modo associabile a una attivazione auto-immunitaria di tipo psichico: il meccanismo di difesa del sé attacca sé stesso. Il risultato è un auto-boicottaggio probabilmente innescato dalla vulnerabilità narcisistica e sostenuto dal sistema depressivo della personalità.

Per valutare questo costrutto, Huprich e Nelson hanno sviluppato un questionario (MSRQ) del quale è in corso di pubblicazione la validazione italiana. Il Malignant Self-Regard è risultato correlare con le misure di DP autolesionistico, depressivo, e narcisistico vulnerabile. Inoltre, ha mostrato forti associazioni con le misure di depressione, ruminazione, affettività negativa e altri aspetti della personalità quali ansia, labilità emotiva, perseverazione, distraibilità, disregolazione percettiva e ostilità. Il MSR è anche correlato con molteplici dimensioni di problematiche interpersonali quali inibizione sociale, mancanza di assertività, iper-accomodamento ed eccessiva abnegazione e sacrificio.

Nel loro insieme, i risultati di questi studi consentono di concludere che il MSR è un costrutto psicometricamente valido che potrebbe avere una buona utilità clinica per spiegare alcune dinamiche della patologia di personalità che storicamente sono state difficili da valutare e quindi da trattare in una visione integrata.

 

Per approfondimenti:

Huprich, S. K. (2014). Malignant self-regard: A self-structure enhancing the understanding of masochistic, depressive, and vulnerably narcissistic personalities. Harvard review of psychiatry, 22(5), 295-305.

Huprich, S. K., Nelson, S. M. (2014). Malignant self-regard: Accounting for commonalities in vulnerably narcissistic, depressive, self-defeating, and masochistic personality disorders. Comprehensive psychiatry, 55(4), 989-998.

Huprich, S. K., Lengu, K., Evich, C. (2016). Interpersonal Problems and Their Relationship to Depression, Self-Esteem, and Malignant Self-Regard. Journal of personality disorders, 30(6), 742-761.

Pedone, R., Cosenza, M., Semerari, A. (2017). Reliability and Validity of the Malignant Self-Regard Questionnaire in an italian non-clinical sample. Unpublished Report, Department of Psychology, Univeristy of Campania L.V.

Disturbi di personalità del Cluster B e rischio di violenza

di Alessandro Di Domenico
curato da Elena Bilotta

Diversi studi hanno dimostrato un collegamento tra alcuni tratti di personalità e il rischio di atti violenti. Una diagnosi precoce di disturbo di personalità (DP) potrebbe dunque avere un ruolo importante nella prevenzione di atti violenti finalizzati a danneggiare fisicamente e psicologicamente altri individui.

La ricerca suggerisce che una spiccata propensione all’impulsività e all’aggressività è presente negli individui con disturbi di personalità del Cluster B, soprattutto nei Disturbi Borderline, Narcisistico e Antisociale, che presentano spesso una comorbidità con altri quadri psicopatologici di Asse I come abuso di sostanze e gioco d’azzardo patologico.

Un articolo recente (Lowenstein et al., 2016) ha analizzato la letteratura relativa alla propensione alla violenza in questi tre DP. Approfondendo le differenze tra le varie organizzazioni di personalità, nel Disturbo Narcisistico il tratto dell’aggressività si manifesta maggiormente attraverso una difficoltà nel regolare la rabbia soprattutto quando viene minato il senso di grandiosità e onnipotenza, senza necessariamente sfociare in aggressioni fisiche. I soggetti con Disturbo Borderline di personalità presentano invece dei comportamenti violenti soprattutto nelle relazioni intime, spesso a causa di uno stile di attaccamento insicuro e la presenza di traumi dello sviluppo. Inoltre, è risultato che la difficoltà nella gestione delle emozioni sia il trigger che li predispone maggiormente ad atti di violenza fisica. A differenza dei disturbi precedentemente menzionati, i soggetti con Disturbo Antisociale di Personalità non presentano difficoltà nella regolazione delle emozioni ma tendono ad essere ostili, impulsivi e fisicamente maltrattanti, avendo spesso vissuto in contesti ambientali caratterizzati da violenza e propensione alla criminalità.

Allo scopo di studiare i fattori predisponenti associati a determinati tratti di personalità disfunzionali e arginare tempestivamente il rischio di agiti violenti, nell’articolo citato è stato proposto un modello che prenda in considerazione alcuni criteri diagnostici dei Disturbi Borderline, Antisociale e Narcisistico considerati predittivi: aggressività, instabilità relazionale, ideazione paranoide, senso di diritto e di esclusività, la mancanza di empatia unita alla difficoltà nel cogliere l’altrui punto di vista, la grandiosità e il timore abbandonico. La presenza di questi tratti, al di là della diagnosi categoriale, secondo gli autori, potrebbe rappresentare un importante fattore di predisposizione che, quando associati a fattori precipitanti come le difficoltà interpersonali, l’impulsività e la difficoltà della gestione delle emozioni, potrebbero predirre la messa in atto di comportamenti violenti. L’identificazione di questi tre fattori precipitanti (impulsività, difficoltà interpersonali e disregolazione emotiva), in aggiunta ai criteri “problematici” citati, potrebbe dunque permettere di identificare con maggior successo un eventuale rischio della messa in atto di comportamenti violenti.

In sostanza, gli autori suggeriscono che nella valutazione del rischio di comportamenti violenti, è molto importante che il clinico prenda anche in considerazione la presenza di determinati tratti o criteri diagnostici problematici, piuttosto che concentrarsi esclusivamente a formulare una diagnosi categoriale.

Bibliografia

Lowenstein J., Purvis C., Rose K., “A systematic review on the relationship between antisocial, borderline and narcissistic personality disorder diagnostic traits and risk of violence to others in a clinical and forensic sample” (2016)

 

Un trattamento integrato per i disturbi di personalità

di Alessandra Nachira

Trattare i disturbi di personalità attraverso l’integrazione delle diverse procedure e tecniche che la psicoterapia moderna mette a disposizione

I trattamenti psicoterapici degli ultimi decenni hanno due caratteristiche principali: sono manualizzati in modo da poter essere riproducibili; hanno superato diverse prove di efficacia e ciò aumenta gli strumenti terapeutici a disposizione.

I Disturbi di Personalità (DP) presentano, nella grande maggioranza dei casi, un’alta comorbilità tra loro e con i disturbi somatici, vale a dire il confluire nello stesso caso di diversi e apparentemente eterogenei aspetti della psicopatologia.

Per trattare i DP, occorre integrare le diverse procedure e tecniche che la psicoterapia moderna mette a disposizione.

Il tipo di intervento promosso presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma è la “Terapia Metacognitiva Interpersonale” che ha, come obiettivo centrale, lo sviluppo e il miglioramento delle abilità metacognitive. Accettato il presupposto che i disturbi della metacognizione siano un fattore comune alla base della patologia della personalità, risulta primario l’incremento delle abilità metacognitive nella psicoterapia di questi disturbi. “Intorno a questo obiettivo centrale, che costituisce l’aspetto che unifica il trattamento dentro un quadro concettuale coerente, – si legge nel volume “Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità”, curato a Carcione e Nicolò e edito da Laterza – vengono messe in atto diverse procedure e tecniche mutuate da vari tipi di psicoterapia allo scopo di gestire e superare le molteplici sfaccettature che assume la psicopatologia dei DP”. Leggi tutto “Un trattamento integrato per i disturbi di personalità”

Una prospettiva evolutiva dei disturbi di personalità

di Jessyka Marciano

Qual è la prospettiva attuale circa i disturbi di personalità, cosa è cambiato rispetto al passato e quali saranno i risvolti futuri?
Per rispondere a questa domanda possiamo far riferimento all’articolo di Newton-Howes et al. (2015), una review circa le evidenze scientifiche attuali che considerano l’evoluzione della personalità nel corso di vita, la ritenegono un concetto dinamico che si struttura durante l’infanzia e l’adolescenza, con potenziali effetti su tutti gli stati mentali e i disturbi fisici.
Gli autori affrontano in primis il concetto di assessment sostenendo che la diagnosi categoriale proposta dalla sezione II del DSM-5 e dall’ICD-10 può risultare non utile muovendosi sull’asse normalità-patologia, mentre la sezione III e l’ICD-11 forniscono un’alternativa valida, riconoscendo la natura dimensionale del disturbo di personalità e identificando il nucleo della patologia secondo un modello gerarchico. Cambia così la considerazione della personalità, e del disturbo ad essa correlato, come un costrutto unitario (Tyrer et al., 2011) e cambia il modo di considerare l’assessment con il modello gerarchico dei cinque fattori, che rappresenta la chiusura del gap di ricerca tra personalità normale e patologica. (Markon et al., 2005). Ma perché, in passato, è stato sostenuto che il concetto di disturbo di personalità fosse stabile e relativo principalmente all’età medio-adulta? Gli autori affermano che in questo periodo di età vi è una combinazione relativamente stabile di tratti non adattivi e disturbi acuti, rispetto ai disturbi di personalità in più giovani e più anziani, (Mc Glashan et al., 2005; Zanarini et al., 2007; Gultiérrez et al., 2012) e ciò ha consentito che si diffondesse l’errata credenza clinica che considera il disturbo di personalità manifestarsi solamente nell’adulto. Leggi tutto “Una prospettiva evolutiva dei disturbi di personalità”

L’importanza della neuropsicologia nei disturbi di personalità

di Simone Migliore

Alcuni deficit evidenziati dall’esame neuropsicologico possono spiegare una parte della varietà dei problemi interpersonali e comportamentali

La richiesta di diagnosi e riabilitazione neuropsicologica è, da diversi anni, in crescente aumento non solo negli ambiti storicamente di interesse neuropsicologico (stroke, demenze, gravi cerebrolesioni), ma anche in ambito psichiatrico e dei disturbi del neurosviluppo.

La relazione tra neuropsicologia e disturbi di personalità è altamente articolata: negli ultimi anni si è assistito a un fiorire di produzioni scientifiche caratterizzate dallo scopo di chiarire i possibili correlati neuropsicologici e anatomo-funzionali dei disturbi di personalità, così da costruire un percorso terapeutico integrato che tenga conto dell’intero spettro di difficoltà a cui il soggetto deve far fronte. Leggi tutto “L’importanza della neuropsicologia nei disturbi di personalità”

Il Disturbo Borderline di Personalità: modelli di comprensione e strategie di trattamento Cognitivo-Comportamentali

di Sara Di Biase, Giulia Paradisi e Lisa Lari

La vulnerabilità emotiva, la dissociazione, le reazioni emotive acute ed improvvise, l’impulso ad agire sulla base di esse, la forte sensibilità verso la perdita, i profondi sentimenti di vuoto. E ancora…il brutale istinto che trascina verso la distruzione delle relazioni, l’oscillazione della consapevolezza che porta a confondere l’immaginazione con la realtà e ad agire sulla base di rappresentazioni fantastiche… Sono l’eterogeneità e la variabilità sintomatiche a caratterizzare il quadro del Disturbo Borderline di personalità (DBP), di fronte al quale i clinici si trovano ad osservare tutta la psicopatologia, come turisti che visitino uno stato in cui convivono gruppi etnici diversi. Leggi tutto “Il Disturbo Borderline di Personalità: modelli di comprensione e strategie di trattamento Cognitivo-Comportamentali”

La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Seconda Parte.

di Stefania Fadda 

La DBT (Dialectical behavior therapy) vede le origini del disturbo borderline nella disregolazione emotiva e combina l’utilizzo della validazione emotiva con l’insegnamento di tecniche per tollerare l’angoscia, ridurre le emozioni dolorose ed eliminare i problemi comportamentali. Leggi tutto “La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Seconda Parte.”

La Terapia Dialettico Comportamentale: adattamento per i pazienti sordi – Prima Parte

di Stefania Fadda 

Le terapie che si avvalgono di materiali e protocolli scritti, la cui comprensione richiede familiarità con la cultura dominante, spesso pongono barriere linguistiche e culturali per i pazienti che appartengono a gruppi minoritari. Quanto affermato è applicabile anche alle persone sorde affiliate alla comunità sorda, per le quali la lingua dei segni rappresenta il metodo di comunicazione elettivo.

Il bisogno di adattare la terapia alle esigenze dei pazienti appartenenti a gruppi linguistici e culturali minoritari è stato palesato, per la prima volta, dal U.S. Surgeon General’s Report on Mental Health (USDHHS, 2001) e, in riferimento alla Terapia Cognitivo Comportamentale, dal Cognitive and Behavioural Practice Journal (Hofmann, 2006).

In questo e nei prossimi post verranno illustrati gli adattamenti della Terapia Dialettico Comportamentale (DBT) e la modalità di utilizzo della stessa con i pazienti sordi.

La DBT costituisce uno dei trattamenti maggiormente validati per la riduzione del rischio suicidario in pazienti con diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità (BPD). Con riferimento ai pazienti sordi, sebbene i dati sull’utilizzo di tale terapia siano limitati, alcuni studi riportano una più alta incidenza dei tentativi di suicidio e/o dell’ideazione suicidaria rispetto alla popolazione udente (Black e Glickman, 2006; Durland, 2004; Samar et at., 2007). Inoltre, le persone sorde presentano un più elevato rischio di sviluppare BPD.

La prospettiva socio-biologica della DBT suggerisce che gli individui con BPD presentano vulnerabilità emotiva sia su base biologica che come risultato di esperienze traumatiche. Tali individui, rispetto alla popolazione non clinica, dimostrano una maggiore sensibilità verso stimoli emotivamente rilevanti, più intense risposte emotive e un più lento ritorno ai valori di base.

L’ambiente dal quale i pazienti con BPD provengono, viene frequentemente definito invalidante in quanto non offre all’individuo rispetto, attenzione e comprensione verso i suoi vissuti cognitivi ed emotivi. Il caso estremo è la configurazione di un ambiente abusante. All’interno di un ambiente invalidante, l’individuo non impara a tollerare il distress, a regolare l’arousal, e a discernere quando fidarsi delle proprie risposte emotive. La Lineahan (1993) afferma che il BPD trae origine dall’interazione tra la vulnerabilità emotiva e l’ambiente invalidante.

L’ipotesi che le persone sorde siano ad alto rischio di invalidazione appare agli occhi di chi scrive convincente. Infatti, i pazienti sordi adulti frequentemente riferiscono di aver esperito limitate comunicazione e interazione con la famiglia d’origine e, più in generale, con le persone udenti. Spesso essi sono l’unica persona sorda a casa, a scuola, nei contesti socio-ricreativi e nel luogo di lavoro. Inoltre, la percentuale di persone udenti in grado di comunicare efficacemente con essi è estremamente bassa.

La capacità di tollerare il distress, lo sviluppo delle abilità di regolazione emotiva e la possibilità che i propri pensieri ed emozioni vengano validati dipendono in misura significativa da una adeguata comunicazione e interazione con gli altri.

Le persone sorde spesso non hanno avuto la possibilità di apprendere incidentalmente strategie di regolazione emotiva e di coping nei contesti familiari e, solo un numero limitato di esse, ha beneficiato di un apprendimento diretto. Complicano il quadro la limitata competenza nella lingua utilizzata dalla maggioranza della popolazione e la difficoltà ad accedere alle informazioni. Ne risulta che molti pazienti sordi arrivano in terapia con una difficoltà a identificare e regolare le emozioni (Glickman e Gulati, 2003). Fine prima parte.

Bibliografia

Black, P. A., & Glickman, N. S. (2006). Demographics, psychiatric diagnoses, and other characteristics of North American deaf and hard-of-hearing inpatients. Journal of Deaf Studies and Deaf Education, 11, 303–321.

Durland, B. (2004). [Preliminary analyses of National College Health Assessment data collected in the Fall of 2002]. Unpublished raw data.

Glickman, N., & Gulati, S. (Eds.). (2003). Mental health care of deaf people: A culturally affirmative approach Mahway, NJ: Lawrence Erlbaum.

Hofmann, S. G. (2006). Culturally sensitive CBT [Special Issue].Cognitive and Behavioral Practice, 13(4), 344.

Linehan, M. M. (1993a). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. New York: Guiliford Press.

Samar, V. J., Pollard, R., O’Hearn, A., Lalley, P., Sutter, E., Klein, J. D., et al. (2007, March 13-14). Deaf young adults’ self-reported suicide attempt rate: role of reading and gender. Honolulu, Hawaii: Paper presented at the Pacific Rim Disability Conference.

U.S. Department of Health and Human Services. (2001). Mental health: Culture, race, and ethnicity—A supplement to Mental Health: A Report of the Surgeon General. Washington, DC: Author.