Ho la depressione o sono depresso?

di Emanuela Pidri

Le persone con Disturbo Depressivo di Personalità difficilmente chiedono un aiuto di tipo medico-psicologico. Abituate a stare male, non arrivano a immaginare di poter provare sollievo

I disturbi di personalità costituiscono delle modalità, relativamente inflessibili, di percepire, reagire e relazionarsi alle altre persone e agli eventi; tali modalità riducono pesantemente le possibilità del soggetto di avere rapporti sociali efficaci e soddisfacenti per sé e per gli altri. In letteratura, vari modelli hanno considerato i tratti di personalità come stabili, quando in realtà la personalità è dinamica, ovvero è plastica nell’infanzia e si modifica per tutto il corso della vita. La personalità è stata studiata da varie discipline ma tuttora non è chiaro il posto occupato dal Disturbo Depressivo di Personalità (DPD). Il DPD risiede attualmente nell’Appendice B (“Disorders for Further Study”) del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (quarta edizione) ma non è presente nel DSM 5 poiché non risponde ai criteri di sostanziale distinzione teorica da altri disturbi, distintività empirica da altri disturbi e sufficiente deviazione da un “temperamento normale”. In clinica, le persone con DPD sono inclini a essere solitarie e serie, malinconiche, sottomesse e pessimiste; tendono a esprimere rimpianto e sentimenti di inadeguatezza e di disperazione; temono la disapprovazione e tendono a soffrire in silenzio e forse a piangere facilmente, benché di solito non in presenza di altri. Cronicamente infelici, spesso sono meticolose, perfezioniste, eccessivamente coscienziose, preoccupate per il lavoro. I pazienti con Disturbo Depressivo di Personalità lamentano sentimenti cronici di inadeguatezza, ammettono di avvertire una scarsa autostima e trovano difficile trovare qualcosa nella loro vita che li possa rendere felici, speranzosi o ottimisti. È probabile che denigrino il loro lavoro, se stessi e le loro relazioni con gli altri; sono autocritici e sprezzanti. La loro fisionomia spesso ne riflette l’umore: postura flessa, espressione depressa del viso, voce fioca, rallentamento psicomotorio.

Poiché il DPD è una categoria nuova, non sono disponibili dati epidemiologici ma sulla base della prevalenza dei disturbi depressivi nella popolazione generale, sembra che il DPD sia comune, si manifesti con uguale frequenza nei due sessi e compaia nelle famiglie ove sono presenti disturbi depressivi, un’inadeguata assistenza dei genitori, un superego punitivo, sentimenti estremi di colpa o perdite precoci. Oltre a non essere presenti dati epidemiologici, purtroppo appare complessa anche la possibilità di effettuare, nella pratica clinica, la diagnosi differenziale con distimia, disturbo depressivo maggiore e disturbo evitante di personalità, cosicché rintracciare un trattamento elicitario appare un’utopia. Il problema fondamentale da risolvere non è, comunque, quello di decidere quale terapia vada utilizzata, ma se è sempre necessaria una terapia. Difficilmente queste persone chiedono un aiuto di tipo medico-psicologico poiché non considerano la loro condizione come una malattia, ma pensano semplicemente che sia una questione di “carattere”, sono talmente abituati a sentirsi male che non arrivano a immaginare di potersi sentire bene e di provare sollievo. La psicoterapia a lungo termine, basata su introspezione e conoscenza consapevole del disturbo e dei suoi effetti sulle relazioni interpersonali, è il trattamento indicato per il disturbo depressivo di personalità. La pratica clinica suggerisce di orientarsi su aspetti psicoeducativi: porre attenzione agli aspetti positivi della realtà anche se non riconosciuti come tali, nel colloquio lasciare spazio a argomenti di conversazione interessanti e vivaci, incitare ad aprirsi senza sollecitare troppo. È prioritario sostenere l’importanza di ricerche future volte a sottolineare l’interesse a come un costrutto di personalità depressiva si inserisca in un quadro dimensionale di valutazione della psicopatologia, per la creazione di protocolli di trattamento adeguati e specifici da sottoporre a validazione e standardizzazione.

Per approfondimenti:

Bagby R.M., Ryder A.G.,  Schuller D.R., (2003). Depressive personality disorder: A critical overview. Current Psychiatry Reports. Vol. 5, Issue 1, pp 16–22.

Huprich S., (2003). Depressive Personality and its relationship to depressed mood, interpersonal loss, negative parental perceptions, and perfectionism. Journal of Nervous & Mental Disease. Vol. 191 – Issue 2 – pp 73-79.

Kernberg O.K. (1987). Disturbi gravi della personalità. Bollati Boringhieri.

Lingiardi V., Gazzillo F., (2014). La personalità e i suoi disturbi. Valutazione clinica e diagnosi al servizio del trattamento. Cortina Raffaello.

Millon, T. (1983). Modern psychopathology. Waveland, Prospect Heights, IL.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2016/04/millon-clinical-multiaxial-inventory/