La psicoterapia? Mi ha peggiorato!

di Sabina Marianelli

Affinché la terapia vada a buon fine, è importante che la metodologia del terapeuta non fondi su basi scientifiche errate

Se, in medicina, è il Food and Drug Administration a condurre i trial che permettono di identificare i criteri di sicurezza dei farmaci, in psicoterapia manca uno strumento che permetta di valutare la dannosità di un protocollo. Sono pochi gli studi spesi a tal fine: per esempio, nell’autorevole testo di Bergin e Gafield, “Handbook of Psychotherapy and Behavior Therapy”, su oltre ottocento pagine di testo, sono approssimativamente due quelle che affrontano il problema degli effetti avversi in psicoterapia.

In un recente articolo del 2007, “Psychological Treatments That Cause Harm”, Scott O. Lilienfeld ha tentato di porre rimedio a questa lacuna.

L’autore, esaminando studi RCT e meta-analisi, ha ricercato evidenze che permettessero di costruire una lista di trattamenti psicoterapici di dubbia efficacia o potenzialmente dannosi. La lista andava, poi, abbinata a liste già esistenti, le EST: trattamenti verificati in trial controllati e studi su caso singolo, rispetto all’efficacia relativa a specifici disturbi.

La maggior parte delle meta-analisi mostra che, con alcune eccezioni, le psicoterapie tendono ad avere efficacia.

Il verdetto del Dodo – che si rifà alla celebre frase del Dodo di Alice nel Paese delle meraviglie: “Tutti hanno vinto e tutti devono avere un premio!” – fu ideato da Saul Rosenzweig nel 1936, per dare un nome alla sua teoria, nella quale afferma come, in psicoterapia, la varianza dipenda dalle caratteristiche personali del terapeuta, del paziente e dell’interazione tra i due.

Tuttavia, nella letteratura riguardante i risultati della psicoterapia si è trovato come, per esempio, la terapia cognitivo comportamentale sia più utile di altre nel trattamento dei disturbi d’ansia, del disturbo ossessivo compulsivo e di fobie specifiche.

Ancora più sconcertante è ciò che emerge da altri risultati, che affermano la dannosità di alcuni tipi di trattamento per un cospicuo numero di pazienti; una minoranza non banale peggiora con la psicoterapia: i primi della lista sono i pazienti con disturbo da abuso di sostanze.

Questi risultati sono spesso ingannevoli, sovrastimano alcuni effetti e ne sottostimano altri: alcuni pazienti potrebbero peggiorare in modo del tutto indipendente dalla terapia, mentre altri avrebbero avuto dei miglioramenti più apprezzabili senza seguire un percorso di cura.

La ricerca sugli effetti dannosi della psicoterapia è utile per vari motivi, in primis al fine di evitare procedure dannose per il paziente; in secondo luogo, per portare risultati rispetto ai meccanismi di mediazione che sottostanno al peggioramento degli individui in terapia.

L’autore elenca una lista varia e dettagliata di terapie dall’approccio opinabile, rivelatesi potenzialmente dannose e controproducenti.

  • Critical Incident Stress Debriefing: Protocollo atto alla prevenzione del PTSD e per i disturbi d’ansia correlati a grandi stress, con procedura a sessione singola che dura circa tre ore, condotta in gruppo a circa 72 ore dall’evento. Una meta-analisi ha riscontrato l’inefficacia di questo intervento nel diminuire la sintomatologia. Altri due studi randomizzati hanno riscontrato effetti chiaramente negativi rispetto ai gruppi di controllo
  • Scared Straight Programs: programmi finalizzati a essere dei deterrenti per adolescenti a rischio rispetto a un futuro fatto di criminalità; una recente review meta-analitica ha dimostrato che questo genere di interventi ha aumentato la percentuale di aggressioni.
  • Facilitated Communication: agisce a partire dall’assunto che i problemi di comunicazione dei bambini con autismo o altre disabilità cognitive siano attribuibili principalmente a problemi motori; degli studi attentamente controllati hanno mostrato che le comunicazioni sono prodotte inconsapevolmente dagli strumenti stessi che i bambini usano.
  • Attachment Therapies: in questo tipo di terapia si sostiene che la separazione spesso produca emozioni negative e che esse debbano essere espresse; la modalità nella quale ciò viene fatto è spesso intrusiva e aggressiva, includendo offese di vario tipo, verbali e non solo. Una variante piuttosto pericolosa è il Rebirthing, che parte dall’assunto che la nascita costituisca di per sé un trauma e che vada rivissuta, al fine di risolvere emozioni disfunzionali.
  • Tecniche di recupero della memoria: sebbene manchino dati da studi controllati, esistono considerevoli evidenze che i metodi suggestivi, tra cui l’ipnosi o l’immaginazione guidata, possano produrre false memorie in alcuni pazienti. Dati provenienti dal tribunale di Washington mostrano che, sulla base di queste false memorie, si è registrato un aumento del tasso di suicidio e di ospedalizzazione psichiatrica nel corso della terapia
  • Psicoterapia per il Disturbo Dissociativo d’Identità: si usano metodi induttivi per far uscire gli alter e farli comunicare tra loro; spesso, in questo modo, gli alter aumentano anziché diminuire e, nonostante i terapeuti affermino che si tratti semplicemente della scoperta della loro esistenza, è assai frequente che l’uso poco consapevole di queste tecniche ne crei di nuovi. È frequente, altresì, riscontrare come esista una maggiore percentuale di diagnosi di disturbo dissociativo di identità tra i terapeuti che sono specializzati in questo tipo di intervento; studi di laboratorio indicano che partecipanti non clinici possono riprodurre le caratteristiche di base del disturbo, se sollecitati tramite ipnosi.
  • Consulenza per il trattamento del lutto normale: in seguito a uno studio, si è scoperto come il 38% dei casi di trattamento del lutto avrebbe avuto maggiori benefici se inserito nel gruppo di controllo, in cui non era effettuato alcun tipo di trattamento. Vi è la possibilità che questo genere di programma possa essere iatrogeno per alcuni individui, soprattutto nel caso di lutti non traumatici.
  • Campi di addestramento per i problemi di condotta: grazie all’efficacia in termini di costi, si sono diffusi questi interventi di tipo para-militare per adolescenti antisociali, ai quali venivano impartiti valori quali la disciplina e l’obbedienza; una meta-analisi ha rivelato che alcuni studi hanno mostrato effetti positivi, alcuni effetti iatogeni e altri ancora nessun effetto.
  • Drug Abuse and Resistance Education Programs: studi sui programmi di prevenzione per l’uso e l’abuso di sostanze che si sono mostrati inutili; in particolare il programma DARE, condotto da poliziotti in divisa che illustrano gli effetti negativi delle condotte d’abuso, si sono rivelati del tutto inefficaci.
  • Interventi tra pari per problemi di condotta: è verificato che questo genere di interventi aumentino i livelli di comportamento antisociale nei partecipanti, mentre una più recente meta-analisi ha evidenziato più scarse prove dell’effetto iatrogeno degli interventi.
  • Trattamenti di rilassamento per pazienti affetti da panico: alcuni dati sperimentali su piccoli campioni indicano che le sessioni di rilassamento possano indurre, anziché viceversa, stati di ansia e panico; questi studi non dimostrano in modo univoco la dannosità di questi interventi per soggetti con disturbo d’ansia.

    Quando analizziamo terapie ben accettate e basate su premesse teoriche plausibili, la differenza tra esse tende a essere minima. Rispetto alle forme di terapia considerate nocive, è importante invece estendere gli studi, in particolare in termini di prevalenza di utilizzo.

L’autore conclude sottolineando l’importanza di un maggiore rigore nella formazione dei clinici, che li metta in guardia dagli azzardi in psicoterapia, a partire da una maggiore conoscenza scientifica della fondatezza di ciò che si va a proporre. Invita a condurre il trattamento attraverso la somministrazione di test, la supervisione clinica e il report, circa gli ingredienti che portano al peggioramento dello stato del paziente o al fallimento del percorso psicoterapico, così da migliorare il lavoro offerto al prossimo.

Questo studio è uno spunto di riflessione e approfondimento anche per i clinici nostrani: nonostante la diffusione di alcune pratiche, indicate come nocive, sia esigua nel nostro paese e sebbene vi siano già dei sistemi di scrematura, sarebbe auspicabile una più corretta formazione dei terapeuti.

 

Per approfondimenti:

Chambless & Ollendick, 2001; Hunsley & DiGuilio, 2002

Westen, Novotny,& Thompson-Brenner, 2004

Beutler, Bongar, & Shurkin, 1998; Lambert & Miller, 2001; Rhule, 2005

Wampold, Mondin, Moody, Stich, Benson, & Ahn, 1997

Mohr, 1995; Strupp, Hadley, & Gomez-Schwartz, 1977

McNally, Bryant, & Ehlers, 2003; Rose, Bisson, & Wessely, 2001

Petrosino, Turpin-Petrosino, & Buehler, 2003

Lynn, Lock, Loftus, Krackow, & Lilienfeld, 2003

Piper, 1997; Ross, Norton, & Wozney, 1989

Lilienfeld & Lynn, 2003

Spanos, Weekes, & Bertrand, 1985

Adler, Craske, & Barlow, 1987; A.S. Cohen, Barlow, & Blanchard, 1985; Lynn, Martin, & Frauman, 1996

Anderson, Lepper, & Ross, 1980, Beyerstein, 1997