Un workshop sul Rescripting

di Elena Cirimbilla

Il 23 Gennaio 2021 si è tenuto il Workshop online dal titolo “Il Rescripting: un metodo per intervenire sulle esperienze dolorose precoci”, organizzato dalle Scuole di Psicoterapia Cognitiva SPC e APC e condotto dal Professor Arnoud Arntz, psicologo, psicoterapeuta, tra i massimi esperti di Schema Therapy (Per saperne di più sulla Schema Therapy) nel panorama internazionale e tra i più importanti ricercatori nel campo dell’Experimental Psychopathology e della Schema Therapy.

La tecnica ’“Imagery With Rescripting” (IWR), il tema del Workshop, è un elemento base della Schema Therapy ed è volta a operare sui significati e sulle emozioni conseguenti alle esperienze infantili, partendo dall’idea che le radici dei vissuti emotivi attuali si collocano proprio in tali esperienze.

I bisogni del paziente, le sue memorie precoci e le emozioni connesse sono stati gli ingredienti principali del Workshop, in una costante e coinvolgente trattazione ad opera del Professor Arntz che, con una modalità attiva ed empatica, ha permesso ai partecipanti di entrare nel vivo del tema, da un punto di vista pratico ed esperienziale.

Dopo aver aperto l’incontro con una rassegna di evidenze scientifiche a sostegno dell’efficacia dell’IWR, il Professor Arntz si è dedicato alla descrizione della tecnica nel dettaglio.

Il protocollo base si divide in tre step:

  • Il paziente immagina il ricordo di un’esperienza traumatica precoce
  • Il terapeuta si inserisce nell’immagine e interviene sulla minaccia
  • Il terapeuta dirige l’attenzione sui bisogni del paziente/bambino

La prima fase del protocollo, la rievocazione del ricordo, è possibile attraverso l’accesso alle memorie infantili del paziente o attraverso un “ponte affettivo” a partire da un’esperienza problematica del momento presente e prevede che il paziente si “immerga” nel proprio ricordo, guidato dal terapeuta nell’uso dei cinque sensi.

Nella seconda e terza fase il terapeuta si inserisce nella memoria, in un contesto di totale vulnerabilità del paziente, per compiere un intervento teso alla Ri-scrittura di un ricordo intimo e traumatico. In questi step il terapeuta “agisce” nel ricordo del paziente mentre quest’ultimo entra in contatto e comunica le proprie emozioni, bisogni e desideri.

In queste fasi, la partecipazione attiva, attenta ed empatica del terapeuta è stata abilmente sottolineata dal Professor Arntz con quella che forse è la frase che più racchiude l’essenza del Rescripting: “Sono qui per te, ci sono io a proteggerti”.

Per i partecipanti è stato possibile entrare nel vivo della tecnica grazie a simulate e role playing proposti dal docente che, dopo aver interpretato il ruolo del terapeuta, lo ha ceduto, a turno, a tutti i presenti.

Dopo aver permesso a tutti di “allenarsi” con la tecnica, il Professor Arntz si è dedicato alla trattazione della variante del protocollo che prevede l’intervento diretto del paziente sul ricordo, attraverso quella parte del sé che è “adulta”: il terapeuta viene quindi sostituito da un sé adulto che ha le risorse per comprendere, validare e proteggere il suo sé bambino.

Di nuovo, in un’alternanza di spiegazioni, dimostrazioni e simulate, condite da un elevato tono emotivo, Arntz ha mostrato le fasi di questo protocollo, che prevede il passaggio ripetuto tra il sé bambino e il sé adulto.

L’ultima parte del Workshop è stata dedicata alle possibili problematiche e difficoltà che si possono incontrare nell’applicazione della tecnica, anticipando dubbi ed eventuali timori degli uditori e alle possibili altre applicazioni pratiche.

In conclusione, al termine della giornata, il partecipante torna a casa (anche se a casa eravamo già) con una nuova tecnica da inserire nel proprio bagaglio di conoscenze e con un pizzico di accoglienza emotiva ed empatia in più, grazie alla capacità del Professor Arntz di trasmettere il proprio desiderio e tenacia nell’aiutare il proprio paziente, il cui “aggressore deve essere combattuto con tutte le forze”, comunicando a tutti noi che davvero, di fatto, è lì per il paziente, per aiutarlo a proteggersi.

 

Come applicare le tecniche della Schema Therapy nel trattamento dei pazienti con disturbo di personalità?

di Elena Bilotta

Una serie di video spiegano l’applicazione della Schema Therapy nella pratica terapeutica

Quante volte durante il percorso di formazione in psicoterapia o durante un corso di aggiornamento, dopo aver ascoltato la spiegazione di una tecnica, dopo aver letto articoli e volumi che la descrivono, ci si sente comunque incerti e insicuri nella sua applicazione? E quante volte, proprio a causa di questa incertezza, si finisce per rinunciare alla sua applicazione, nonostante sia magari anche di comprovata efficacia?

Proprio per ovviare a queste problematiche che riguardano sia terapeuti alle prime armi sia quelli più esperti, l’Istituto Olandese di Schema Therapy ha creato una serie di video si cui alcuni sono stati recentemente sottotitolati in lingua italiana (a cura di Barbara Basile) dalla Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC).

In una prima serie di video raccolti nel cofanetto “Schema Therapy: Step by Step”, novantuno vignette cliniche descrivono e rappresentano specifiche tecniche e modalità di intervento nell’intervento con una paziente con un disturbo di Personalità Borderline. I video mostrano inoltre tipici momenti di empasse nel trattamento o difficoltà nella gestione del paziente, insieme a proposte di soluzioni da parte del terapeuta.

Ampio spazio viene lasciato alla spiegazione e descrizione dell’uso di tecniche esperienziali come l’Imagery (utilizzate anche in altri approcci terapeutici diversi dalla Schema Therapy), tra le quali l’Imagery diagnostico e l’Imagery with rescripting, particolarmente utili ed efficaci per la gestione di schemi disfunzionali e identificazione di bisogni emotivi non soddisfatti, o il lavoro con le sedie, per aiutare il paziente a fare esperienza delle parti,  o mode, e che si possono attivare in momenti problematici e a gestire questi in modo più funzionale.  Un’altra parte delle vignette è incentrata sugli aspetti relazionali attivi nella relazione terapeutica. Vengono mostrati gli interventi di confronto empatico e limited reparenting che permettono di creare una salda alleanza terapeutica e di riparare momenti di rottura relazionale.

Buona visione!

Potete trovare e acquistare i video al seguente link:
Schema Therapy Step by Step

Trattamento intensivo del DOC a Roma

di Benedetto Astiaso Garcia

È attivo, presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma, il servizio per il trattamento intensivo del Disturbo Ossessivo Compulsivo

 

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo affligge, in Italia, circa un milione di persone. Gli effetti sulla qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari possono essere davvero molto negativi. In molti casi, l’intera attività quotidiana del paziente è condizionata dal disturbo, con gravi conseguenze per la vita di relazione e per il lavoro o lo studio. Esistono trattamenti di provata efficacia che consistono in cure farmacologiche e psicoterapeutiche. In accordo con diversi studi di esito, la psicoterapia cognitivo comportamentale è la psicoterapia di elezione. Il gruppo di professionisti che si occupa specificatamente di DOC, nell’ambito della Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma ha misurato l’efficacia di uno specifico protocollo terapeutico cognitivo comportamentale che ha un duplice obiettivo. Da una parte, aiutare il paziente ad accettare livelli via via crescenti delle minacce rappresentate dalle ossessioni, rinunciando in modo progressivo alle compulsioni e ad altri tentativi di soluzione, come ad esempio le richieste di rassicurazione, le ruminazioni e gli evitamenti. In questo modo si riduce l’effetto dei processi psicologici che mantengono e aggravano il disturbo. Dall’altra, si tratta di intervenire sulla vulnerabilità al disturbo che, come molte ricerche suggeriscono, consiste nel timore catastrofico di essere colpevoli, che nella maggior parte dei casi deriva da esperienze precoci di rimproveri vissuti come molto dolorosi, e dunque da evitare ad ogni costo.
Esistono tecniche utili per ridurre la drammaticità delle memorie di queste esperienze la cui efficacia è stata misurata dal Gruppo DOC che opera con il patrocinio della Scuola di Psicoterapia Cognitiva. La gravità di molti pazienti suggerisce il ricorso a trattamenti intensivi. Il Gruppo DOC offre la possibilità di un intervento di quattro settimane, intervallate da una di riposo, che consiste in:

  • Valutazione psichiatrica, formulazione del caso e batteria di test iniziale dopo le prime due settimane e alla fine del trattamento;
  • Quattro ore al giorno di addestramento alla accettazione delle ossessioni, che utilizza tecniche derivate dalla Acceptance and Commitment Therapy, tecniche di ristrutturazione cognitiva e Esposizione e Prevenzione della risposta;
  • Due ore al giorno di intervento sulle memorie tramite la Imagery with Rescripting;
  • Quattro incontri di Parent training. I familiari sono spesso coinvolti nel disturbo e, nonostante le migliori intenzioni, per comprensibili esasperazioni, alimentano il disturbo stesso. Pertanto è opportuno aiutarli a reagire e a gestire i sintomi del familiare in modo efficace.

L’esperienza del Gruppo DOC e quella di altri gruppi, mostrano che il trattamento intensivo può essere di particolare utilità per i casi più gravi e anche per le persone che, per motivi logistici, hanno difficoltà a seguire una psicoterapia a frequenza settimanale.

Le procedure di intervento e il loro rationale sono riportate nel volume “La mente ossessiva”, curato dal neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta cognitivista Francesco Mancini e pubblicato nel 2016 per Raffaello Cortina Editore.

Esperienze precoci di colpevolizzazione e rimprovero nel DOC

di Brunetto De Sanctis

La tecnica dell’Imagery with Rescripting nello studio dell’infanzia di persone con disturbo ossessivo compulsivo

È stato pubblicato di recente un lavoro di Basile e collaboratori in cui sono stati indagati i contenuti emotivi delle esperienze infantili di persone con Disturbo Ossessivo Compulsivo. Già da tempo, molti studi hanno evidenziato lo stretto collegamento tra il DOC e il senso di colpa. Numerose ricerche sperimentali, correlazionali e anche di neuroimaging mettono, infatti, in risalto come l’inflated responsibility, ma soprattutto il timore di colpa, in particolare di colpa deontologica, giochino un ruolo chiave nella genesi e nel mantenimento del disturbo. Se effettivamente il timore di colpa deontologica è un fattore determinante dei sintomi ossessivi e del loro mantenimento, allora  è ragionevole interrogarsi sulle esperienze precoci che plausibilmente hanno reso inaccettabile il rischio di essere colpevoli.
Molteplici osservazioni cliniche e alcune ricerche retrospettive sostengono l’ipotesi che i futuri pazienti ossessivi abbiano vissuto, durante l’infanzia, numerose esperienze di rimprovero vissute in modo drammatico.
I dati sulle esperienze precoci avverse nei pazienti ossessivi, tuttavia, sono ancora scarsi. Per ovviare  a questa carenza Basile e collaboratori, tramite la tecnica dell’Imagery with Rescripting (IwR), hanno indagato il contenuto delle memorie infantili di un gruppo di pazienti con DOC (19 persone), mettendole a confronto con un altro gruppo di pazienti con diagnosi diverse (18 persone, affette soprattutto da disturbo depressivo maggiore e disturbi di ansia). L’IwR è una procedura di tipo esperienziale, utile a rintracciare esperienze precoci avverse emotivamente connesse con la sofferenza sintomatica attuale. Il fine è rielaborare le memorie di queste esperienze rendendole meno traumatiche e dolorose.
Nella ricerca di Basile et al. i pazienti sono stati invitati a rivivere una recente crisi ossessiva, poi a ricordare un episodio, vissuto da bambino, caratterizzato da una tonalità emotiva simile mettendo a fuoco ed esprimendo ciò di cui avrebbe avuto bisogno in quel momento doloroso. In una fase successiva (fase di Re-scripting), mentre il paziente rivive l’episodio critico e il terapeuta suggerisce di immaginare che  una figura di aiuto (solitamente il paziente o il terapeuta stesso), intervenga cercando di rispondere ai bisogni frustrati del bambino (protezione, accettazione, attenzione, cure, etc.). L’interazione tra il bambino e la figura d’aiuto prosegue finché i bisogni del bambino non sono pienamente soddisfatti.
Il contenuto dell’episodio recente, dell’episodio ricordato e dell’intervento della figura d’aiuto sono stati raccolti e valutati da giudici indipendenti all’oscuro dello scopo della ricerca.
I pazienti con DOC, rispetto agli altri pazienti, riportavano più frequentemente senso di colpa sia nell’evento recente sia in quello remoto. Questi ultimi erano caratterizzati da rimproveri o critiche da parte di uno o entrambi i genitori che inducevano colpa e paura nei bambini, evidenziando come i bisogni frustrati percepiti fossero legati al sentirsi attivamente rifiutati dai propri genitori. Nella fase di rielaborazione, i pazienti ossessivi modificavano il significato originario che avevano dato all’episodio critico, concludendo che quanto era successo non era una loro colpa. Nei pazienti ossessivi ma non negli altri, emergeva, dalle memorie degli eventi passati, un’idea di sé come persona responsabile di eventuali errori, profondamente sbagliata e meritevole di essere punita, biasimata e in aggiunta rifiutata. Questi dati sono congrui con i risultati di altre ricerche che hanno riscontrato come lo stile genitoriale a cui i pazienti con DOC erano esposti, risultasse centrato sulla moralità e particolarmente severo, ma soprattutto preoccupato del rispetto delle norme piuttosto che delle conseguenze sugli altri.
L’ipotesi “morale” del DOC, quindi, riceve un’altra conferma da questa ricerca: il senso di colpa appare un’emozione centrale nel disturbo. A conclusione, gli autori evidenziano come questo lavoro apra la strada a interventi terapeutici sulle radici del disturbo ossessivo.

Per approfondimenti

Alonso P, Menchón JM, Mataix-Cols D, Pifarré J, Urretavizcaya M, Crespo JM, Vallejo J (2004). Perceived parental rearing style in obsessive–compulsive disorder: relation to symptom dimensions. Psychiatry research 127, 3, 267-278.

Basile B, De Sanctis B, Fadda S, Luppino O.S, Perdighe C, Saliani A.M, Tenore K and Mancini F. (2018). Early life experiences in ocd and other disorders: a retrospective observational study using imagery with re-scripting. Clinical Neuropsychiatry (2018) 15, 5, 299-305.

Mancini F (2016). La mente ossessiva. Raffaello Cortina Editore.

Salkovskis PM, Shafran R, Rachman S, Freeston MH (1999). Multiple pathways to inflated responsibility beliefs in obsessional problems: Possible origins and implications for therapy and research. Behaviour Research and Therapy 37, 11, 1055-1072.

Timpano KR, Keough ME, Mahaffey B, Schmidt NB & Abramowitz J (2010). Parenting and obsessive compulsive symptoms: Implications of authoritarian parenting. Journal of Cognitive Psychotherapy 24, 3, 151-164

Memorie di colpa e presente ossessivo

di Manuel Petrucci

Uno studio sull’efficacia dell’Imagery with Rescripting nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo

Diverse prospettive teoriche enfatizzano il ruolo della responsabilità/colpa nella genesi e nel funzionamento del Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Nello specifico, pur nella diversità dei contenuti con cui si manifestano, la minaccia nucleare veicolata dalle ossessioni sarebbe quella della possibilità di essere responsabili di atti gravemente immorali o dannosi. Di conseguenza, le compulsioni si configurano come atti mentali o comportamenti osservabili che hanno lo scopo di prevenire tale minaccia, percepita come catastrofica. A corroborare questa idea, numerose evidenze empiriche mostrano che i pazienti ossessivi riportano punteggi più alti alle misure di responsabilità e colpa rispetto a pazienti con altri disturbi e ai controlli sani, che interventi volti alla riduzione del senso di responsabilità/colpa risultano in una riduzione dei sintomi e che, al contrario, aumentando sperimentalmente il senso di responsabilità/colpa, anche i soggetti sani si comportano in maniera assimilabile al DOC.

I pazienti DOC presentano dunque una elevata vulnerabilità attuale all’esperienza della responsabilità e della colpa, e gli studiosi si sono chiesti quali possano essere gli eventi e le situazioni che nel corso della vita favoriscono lo sviluppo di questa vulnerabilità. Dai racconti dei pazienti e dalle ricerche emerge che i contesti familiari dei pazienti DOC sono spesso caratterizzati da standard elevati, marcata attenzione alla moralità e regole rigide, la cui trasgressione comporta reazioni critiche e punitive da parte delle figure di riferimento, in particolare a carico della relazione stessa. Il bambino è dunque esposto da un lato al senso di inadeguatezza rispetto alle norme di condotta, dall’altro può percepire che a causa di un suo errore o una sua mancanza una relazione per lui vitale è stata compromessa, come segnalato non solo dall’aperta disapprovazione e dai rimproveri, ma anche da forme di “delusione” e di vero e proprio ritiro dell’affetto a scopo punitivo.

Se attraverso la psicoterapia vengono modificate le valutazioni, le emozioni e le rappresentazioni di sé associate ai ricordi di esperienze di critica, rimprovero o punizione, ciò risulta in un miglioramento della sintomatologia ossessiva? È questo il quesito che si sono posti un gruppo di ricercatori del gruppo APC-SPC di Roma, che stanno conducendo uno studio su pazienti DOC utilizzando la tecnica dell’Imagery with Rescripting, i cui risultati preliminari sono stati presentati al “Sixth Meeting on Obsessive-Compulsive Disorder” organizzato dalla European Association for Behavioural and Cognitive Therapies (EABCT), tenutosi ad Assisi dal 17 al 20 maggio 2018.

Dopo una fase di assessment, dieci pazienti con diagnosi di DOC sono stati intervistati allo scopo di indagare la presenza di ricordi di esperienze di colpa legate a critiche o rimproveri, ma non direttamente connesse alla sintomatologia attuale. Dopo l’intervista, i pazienti sono stati sottoposti a tre sessioni di Imagery with Rescripting (ImR) focalizzate sui ricordi individuati, non in concomitanza con una psicoterapia. L’ImR è una tecnica esperienziale di derivazione gestaltica che viene ampiamente utilizzata nell’ambito della Schema Therapy e ha l’obiettivo di consentire una “riscrittura” di ricordi traumatici, introducendo all’interno della scena rievocata elementi di cambiamento, in particolare figure di riferimento, che possano prendersi cura di quei bisogni fondamentali che sono stati trascurati o violati nell’episodio specifico.

Per verificare l’efficacia dell’intervento, prima e dopo le sessioni di ImR sono state somministrate misure relative alla sintomatologia ossessiva (Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale, Y-BOCS), ansiosa (Beck Anxiety Inventory, BAI), depressiva (Beck Depression Inventory II, BDI), e una per la valutazione della propensione al timore di colpa (Fear of Guilt Scale, FOGS). I risultati hanno mostrato una generale riduzione, a tre mesi dalle sessioni di imagery, dei punteggi riportati in tutti gli strumenti utilizzati. In particolare, sei pazienti su dieci hanno presentato un miglioramento clinicamente significativo (stimato in una riduzione di 11 punti alla Y-BOCS e in un punteggio totale inferiore a 17) dei sintomi DOC, con i restanti che hanno mostrato comunque un trend verso il miglioramento. Emerge inoltre una riduzione significativa del timore di colpa, come misurato dalla FOGS, in sei pazienti su dieci, e una riduzione complessiva dell’ansia (BAI) in quattro pazienti su dieci.

Pur essendo preliminari e ottenuti su un campione ancora limitato di pazienti, i dati emersi da questa ricerca indicano in maniera chiara che lavorare sulla vulnerabilità storica è una strategia con grandi potenzialità nella cura del disturbo ossessivo, ancor di più se si considera che le sessioni di imagery non sono state svolte all’interno di un percorso psicoterapeutico più ampio, e non hanno avuto come target ricordi di episodi ricollegabili direttamente allo sviluppo dei sintomi presentati dai pazienti. Le caratteristiche dell’ImR la rendono uno strumento prezioso ed efficace per questo tipo di intervento, in quanto consente a voci con toni e messaggi diversi di esprimersi laddove risuona perenne un’eco di sofferenza e pericolo, in un passato cristallizzato, e che dunque non è mai realmente passato.

Per approfondimenti:

Tenore, K., Basile, B., Cosentino, T., De Sanctis, B., Fadda, S., Gragnani, A., Luppino, O.I., Perdighe, C., Romano, G., Saliani, A.M., & Mancini, F. (2018). Efficacy of Imagery with Rescripting in treating OCD: a single case series experimental design (preliminary results). Presentazione orale al “Sixth EABCT SIG Meeting on OCD”, Assisi, 17-20 Maggio 2018.

Mancini, F. (a cura di) (2016). La mente ossessiva. Milano: Cortina.

Mi vendico o ti perdono?

di Barbara Basile

Quale intervento prediligere rispetto a torti passati subiti: uno studio sul bullismo e l’Imagery with Rescripting

Il bullismo rappresenta un fenomeno sociale sempre più diffuso, con gravi ripercussioni su chi lo subisce. Le conseguenze influiscono sull’autostima di chi ne è vittima, sul maggior rischio di fare uso di sostanze, sullo sviluppo di difficoltà scolastiche e, in generale, su una maggiore probabilità di sviluppare dei disturbi psicologici. Episodi o ricordi relativi a questo tipo di esperienze emergono spesso in psicoterapia e possono essere trattati con tecniche diverse, tra cui quelle di immaginazione. Un esercizio particolarmente utile, che consiste nell’aiutare la persona a identificare e soddisfare, tramite immaginazione, i propri bisogni frustrati in età infantile è l’Imagery with Rescripting (IwR), letteralmente “immaginazione con ri-scrittura”. Leggi tutto “Mi vendico o ti perdono?”

Intervista a Francesco Mancini

di Cecilia Lombardo

Ho l’onore e il piacere di intervistare Francesco Mancini, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva SPC e dell’Associazione Psicologia Cognitiva, didatta SITCC, neuropsichiatra e psicoterapeuta, Professore Associato al’Università G. Marconi, autore di numerose ricerche sul Disturbo Ossessivo Compulsivo e sui sottesi processi cognitivi ed emotivi. Uno dei massimi esperti a livello internazionale del DOC, unisce la raffinatezza e l’eleganza di un pensiero “Italian style” con il massimo del rigore scientifico.

C.L. Ben ritrovato a Grosseto! Congratulazioni per l’uscita del libro “La mente ossessiva” di cui sei il curatore oltre che il principale autore. Intanto una nota personale: da dove nasce questa grande passione per il Disturbo Ossessivo Compulsivo?

F.M. Le ragioni del mio interesse sono, in definitiva, quelle che hanno motivato tanti studiosi fin dal 1600. Innanzitutto, il DOC è una entità psicopatologica ben definita. La sintomatologia ossessiva si presenta con caratteristiche molto simili in tutti i pazienti, indipendentemente che si tratti di washers, checkers, con ossessioni di ordine e simmetria o pensieri proibiti. In secondo luogo è facilmente riconoscibile. Da tener presente che non sempre è così nella psicopatologia. Ad esempio nei disturbi di personalità uno dei grandi problemi è la definizione stessa dei singoli disturbi. In terzo luogo, il DOC si presenta in persone che nella stragrande maggioranza dei casi sono palesemente intelligenti, potenzialmente ben funzionanti, spesso colte, e quindi la apparente assurdità dei sintomi lascia profondamente perplessi. Come è possibile che una persona ben informata, intelligente, spesso geniale, come ad esempio Darwin (si, Darwin era affetto da una grave forma di DOC), possa dar credito a minacce assurde come quelle proposte dalle ossessioni, ad esempio, che ci si possa contagiare l’AIDS toccando la porta di un bar? Per giunta il paziente stesso si rende conto della esagerazione implausibile dei suoi stessi timori, perché, dunque non riesce a frenare le compulsioni? Perché non basta un lavaggio ma serve di ripeterli fino allo stremo? Insomma nel DOC sembrano concentrarsi ed esasperarsi tutte le sfide che si pongono a chi vuole spiegare la condotta individuale. Infatti, a ben vedere, la persistenza di credenze debolmente giustificate e la incapacità di far prevalere il proprio miglior giudizio, le ritroviamo nella vita di tutti noi, quante persone credono a superstizioni palesemente infondate (“non ci credo ma non si sa mai”) e quanti non riescono a far prevalere lo scopo, per loro più importante, di mantenere una dieta? In breve, l’osservazione dei pazienti suggerisce che la sintomatologia ossessiva abbia un senso, non sia cioè la conseguenza dello stravolgimento di una mente, ma allo stesso tempo appare insensata, oltre la capacità di comprensione. La sfida che mi ha sempre affascinato è riuscire a comprendere la sintomatologia ossessiva con gli stessi strumenti concettuali che abitualmente tutti utilizziamo per comprendere le emozioni, i pensieri e le condotte degli altri e di noi stessi. Il problema, dunque, è: quali rappresentazioni e quali scopi danno ragione del DOC?

C.L. Colpisce l’accuratezza e la completezza del lavoro, che affronta il problema in tutte le sfaccettature teoriche e cliniche, con uno stile avvincente, che guida il clinico nei meandri della mente ossessiva e adotta continuamente la prospettiva interna del paziente. Dimmi la verità: quali sono le parti che ti affascinano di più del DOC da studiare come scienziato e da trattare come terapeuta e quelle di cui invece ti sei dovuto occupare per limitare la tua “Not just right experience”?

F.M Come ho detto qui sopra, la parte per me più affascinante è la spiegazione del DOC, il renderlo accessibile ai normali strumenti di comprensione del senso comune. Come dire identificare i determinanti psicologici prossimi delle emozioni, dello stile di pensiero e delle condotte ossessive. È indubbio tuttavia che il DOC, soprattutto in questo momento storico, pone domande cruciali. Che rapporto esiste tra la mente ossessiva e il cervello ossessivo? È conseguenza di un danno neurologico? Quale è l’influenza della ereditarietà? Quale invece il ruolo delle esperienze precoci? Deriva da una interazione di fattori biologici, psicologici, sociali e relazionali? E se si, come è questa interazione? Domande che riguardano tutti i disturbi mentali e, in definitiva, la natura stessa della mente e dunque dell’uomo. La tesi del libro è che i determinanti prossimi del DOC siano scopi e credenze del paziente e i determinanti remoti siano specifiche esperienze negative. Una tesi, quindi, netta e lontana da modelli neurologici o biopsicosociali ma ben sostenuta dalla ricerca sperimentale.

C.L. Sebbene sia stato mio maestro dai tempi della specializzazione, sono lieta di condurre quest’intervista on line per timore di dire o fare qualche imperdonabile sciocchezza e di vedermi puntata contro un’espressione critica e sprezzante. Scherzi a parte, argomenti contro ogni dubbio come il timore di colpa sia l’antiscopo che guida genesi e mantenimento del DOC e di come questo timore trovi terreno fertile in un’educazione rigida e severa avuta nell’infanzia. Si teme di arrecare danno ad altri per non dover incorrere in un aspro rimprovero o nel disprezzo, vissuti come la peggiore catastrofe. Può capitare, da terapeuti, di irritarsi, se non di arrabbiarsi, quando i pazienti non fanno quanto prescritto per il loro bene. Come si può uscire da questa empasse in cui un terapeuta ben intenzionato ripropone un modello di accudimento antico e disfunzionale?

F.M. Quando i pazienti ossessivi non fanno quanto prescritto per il loro bene, di solito, non è per oppositività ma perché troppo difficile per loro. Da tener presente che loro stessi, quando sono in seduta con lo psicoterapeuta, dunque lontani dagli stimoli critici, tendono a sottovalutare le difficoltà che poi incontreranno di fronte alle situazioni attivanti. Da considerare che molte difficoltà nella relazione con il paziente ossessivo hanno una ragione paradossale e cioè il fatto che tendono a prendersi loro l’intera responsabilità della terapia ostacolando, contro le loro stesse intenzioni, l’azione della psicoterapeuta. Ad esempio, in prima seduta, preoccupati di trascurare dettagli che potrebbero rivelarsi cruciali, arrivano con chiaro in mente quello che devono riferire e come, finendo a confondere lo psicoterapeuta con particolari inutili e a ostacolarlo nel tentativo di seguire lo schema che si sono prefissati. Importante, quindi, non interpretare come opposizione quello che, al contrario, è la conseguenza di una esagerata assunzione di responsabilità.

C.L. Sull’onda della precedente domanda ti chiedo come nella pratica clinica si coniugano l’Esposizione con Prevenzione della Risposta, una tecnica d’assalto molto efficace che richiede metodo, rigore, fatica con l’opportunità che il paziente “impari a disobbedire” tollerando il senso di colpa e diventando quindi più flessibile e meno esigente nei confronti di sé stesso.

F.M. ERP sul senso di colpa

C.L. Ricordo molto bene la tua prima lezione del primo anno di scuola di specializzazione in cui, citando Shakespeare, spiegavi come gli esseri umani soffrano per due principali motivi: orgoglio ferito e amore non corrisposto, ovvero siano molto sensibili alle lesioni al valore personale e a quelle inferte da esperienze di amore/attaccamento dolorose. Se il destino di un futuro ossessivo si gioca nei vissuti critici dell’infanzia, come vedi quegli approcci, che, applicati al DOC, lavorano primariamente sui ricordi emblematici del passato, come fa l’EMDR?

F.M. Il lavoro sulle memorie dolorose è agli inizi. Noi stessi ci muoviamo da qualche anno in questa direzione, un capitolo è dedicato a questo punto, ma mi sembra una tendenza ben più generale. Ad esempio, una dei più importanti studiosi del DOC, Paul Salkovskis, ha recentemente pubblicato una ricerca in cui hanno ottenuto interessanti risultati con la Imagery With Rescriprting, una tecnica proveniente dalla Analisi Transazionale, che lavora proprio su memorie dolorose. In realtà, in questa ricerca le memorie erano di episodi relativamente recenti, non della infanzia. La EMDR, a mio avviso, merita un caveat che è ben rappresentato da un aneddoto. Poche settimane fa ho visitato per la prima volta una paziente che si era rivolta a me per un consulto, in particolare voleva un parere su una proposta di psicoterapia che aveva ricevuto da una collega la quale, dopo aver ascoltato i suoi sintomi, le aveva detto che, poiché soffriva di tutti quei sintomi, certamente aveva subito un trauma nella infanzia e che quindi avrebbero lavorato per rintracciare il trauma e su quello poi avrebbero applicato la EMDR. Come dire, siccome c’è una tecnica efficace per i traumi allora ci deve essere un trauma. A me sembra che la EMDR sia una ottimo intervento per il Disturbo Post Traumatico da Stress, estenderla ad altri disturbi rischia di subordinare la conoscenza del paziente alla tecnica mentre si dovrebbe fare il contrario, subordinare la scelta della tecnica alla conoscenza del paziente.

C.L. La scuola (SPC) e l’associazione (APC) che dirigi sono una fucina di aggiornamento, di ricerca, di clinica e di didattica nell’ambito dei disturbi mentali. Ora che hai appena portato a termine il progetto “La mente ossessiva”, di cosa ti stai occupando?

F.M. Ti ringrazio molto per l’apprezzamento. Il gruppo di ricerca della SPC-APC è piuttosto numeroso e dunque è orientato in direzioni diverse. Si va da studi di neurofisiologia del disgusto e del senso di colpa a studi sulla construal level theory, a ricerche sulla gestione delle emozioni, a ricerche sulle memorie dolorose nei pazienti DOC. E’ chiaro che le ricerche più importanti sono sulla efficacia di interventi innovativi nel DOC. Da notare che la maggior parte di queste ricerche è sperimentale. La nostra strategia è di ricorrere il meno possibile a ricerche correlazionali e soprattutto a ricerche correlazionali che usano questionari self report. Personalmente mi sta dedicando soprattutto ad approfondire la conoscenza del senso di colpa

C.L. Mi sento molto ignorante, fammi una faccia sprezzante.

F.M. Puoi scegliere fra due tipi di disprezzo che hanno anche delle espressioni facciali un po’ diverse. Un primo disprezzo è freddo, distaccato, comunica una impressione squalificante ed è indirizzato a persone che si reputano incapaci, inadeguate, non alla altezza. Il secondo disprezzo è caldo, aggressivo, con una espressione che accomuna disgusto e rabbia. Lo si prova per il traditore, l’imbroglione, il profittatore, il perverso, in breve per l’immorale. Nei pazienti DOC sembra esservi una sensibilità spiccata a questo secondo tipo di disprezzo.

C.L. Me la cavo malissimo con entrambe le facce, mi trattengo dal googlare compulsivamente “construal level theory”, ma quasi quasi ricontatto la mia terapeuta…

Grazie infinite per la disponibilità!

Come “disarmare” il paziente narcisista? L'approccio della Schema Therapy secondo Wendy Behary

di Alessandra Mancini 

Come disarmare il narcisista? Lo ha spiegato con americano pragmatismo Wendy Behary durante un seminario tenutosi nella cittadina tedesca di Mainz lo scorso 17 Giugno. Behary è una psicoterapeuta di esperienza ventennale, è fondatrice del Centro di Terapia Cognitiva e dell’Istituto di Schema Therapy nel New Jersey ed è stata presidente della Società Internazionale di Schema Therapy dal 2010 al 2014. E’ specializzata nel trattamento dei disturbi di personalità, in particolare quello narcisistico. Di seguito sono riportati alcuni spunti interessanti, più o meno in ordine di comparsa all’interno dell’andamento della terapia.

Punto uno: conoscere i propri “bottoni”. 

Quale tipo di narcisista ci crea più difficoltà? L’aggressivo, il critico, il manipolatore, l’invadente, il presuntuoso? Oppure il lamentoso, il rigido, il rassegnato? E come reagiamo quando spinge proprio il bottone che ci dà più fastidio? Tendiamo a punirlo o a lasciarlo fare? Ci rassegniamo e glie la  diamo vinta oppure attacchiamo a nostra volta? Chiaramente stiamo parlando di mode di coping disfunzionali1 del paziente che attivano schemi maladattivi precoci2 del terapeuta che possono farlo scivolare in altrettanti mode. Poiché le combinazioni sono molteplici, dice Behary, è essenziale conoscere le proprie. Leggi tutto “Come “disarmare” il paziente narcisista? L'approccio della Schema Therapy secondo Wendy Behary”

Diario di bordo: Workshop II – Strategie nella Schema Therapy

di Chiara Lignola, Lavinia Lombardi, Agnese Fatighenti e Dario Pappalardo

Corso intensivo sulla Schema Therapy 2016 Firenze: la nostra esperienza!

Ed ora che ci faccio con tutto quello che ho imparato con la CBT in quattro anni di specializzazione? L’ACT e la mindfulness si integrano bene, ma con questa Schema Therapy che faccio? Devo resettare tutto? Come posso integrarla?

Ecco l’effetto che ci ha fatto questo percorso di formazione arrivati alla seconda tappa, il Workshop II “Strategie nella Schema Therapy”.

Dopo un iniziale smarrimento è diventata sempre più chiara la sua utilità, il suo potenziale e la possibilità di integrarla alla CBT, a seconda dei casi clinici. Si sta proprio rivelando un altro strumento da inserire nella valigetta degli attrezzi del terapeuta; se la CBT è il “razionale” della terapia, la Schema Therapy ne rappresenta il cuore, ossia la possibilità di attivare emotivamente il paziente ed entrare in contatto con le sue emozioni. Che potenziale!

Eh si…appena applicate le prime tecniche imparate, l’impatto è stato forte. schema therapy

Ma quando è possibile applicarla? Quando il paziente ha difficoltà ad accedere ai propri pensieri, i propri “B” come diciamo noi cognitivisti, o al contrario quando rimane sul piano “razionale” e poco in contatto con le proprie emozioni, oppure ancora quando è stato condiviso il funzionamento con il paziente, ma abbiamo la percezione di essere sempre “impantanati” nello stesso punto, nello stesso mood. Tecniche come l’imagery with rescripting attivano le emozioni del paziente; è come agganciarsi ad una corsia preferenziale che porta il paziente e il terapeuta a nuove scoperte, a link col passato che danno una nuova lettura del funzionamento del paziente. È possibile, quindi, accedere ad una ristrutturazione della credenza sollecitando in vivo l’emozione. Leggi tutto “Diario di bordo: Workshop II – Strategie nella Schema Therapy”