di Marzia Albanese
Il 22 settembre si è svolto a Verona, in occasione del XIX Congresso Nazionale SITCC , un simposio dedicato ad un tema estremamente attuale: “Migrazione e Psicoterapia: le sfide della multiculturalità”. Chairman il Dott. Maurizio Brasini (SPC Roma e Ancona) e discussant la Dott.ssa Maria Grazia Foschino Barbaro (AIPC Bari).
A rendere interessante l’argomento, non solo l’attuale diatriba politica sul tema, ma sopratutto la sfida che questo pone sul piano clinico e sociale. La migrazione rappresenta infatti un aspetto caratterizzante l’attuale demografia del nostro paese, ponendoci davanti ad un’importante compito di integrazione psicosanitaria che non può non tener conto di rilevanti vulnerabilità psicologiche: mancata realizzazione del progetto migratorio, stress transculturale, perdita dello stato sociale e discriminazione. Tutte problematiche alle quali si aggiungono spesso torture, abusi e fenomeni di violenza intenzionale estrema.
Quattro i lavori presentati.
Due si sono focalizzati sulla necessità di tenere separati i concetti di Trauma Complesso e Disturbo da Stress Post Traumatico Complesso, poiché solo una parte dei migranti sopravvissuti ad eventi traumatici interpersonali ripetuti o prolungati nel tempo sembra sviluppare in seguito il quadro clinico di cPTSD.
Esemplari, a conferma di questo, sono stati i casi clinici presentati dal Dott. Alberto Barbieri, psicoterapeuta specializzato presso la sede SPC di Grosseto e coordinatore del Centro MEDU Psychè di Roma, che attraverso la condivisione del percorso terapeutico di Alioum e Mohamed ha mostrato come, partendo da analoghe esperienze traumatiche complesse, i due ragazzi evolvono in psicopatologie differenti sia per caratteristiche che per gravità, ponendo infine l’attenzione su quelli che appaiono essere elementi predittivi importanti per l’evoluzione in un cPTSD: stili di personalità sensibili al rango ed alla competizione.
La Dott.ssa Federica Visco Comandini, psicologa del Centro Medu Psychè di Roma e psicoterapeuta in formazione presso la SPC di Grosseto, ha poi presentato i dati ottenuti in una ricerca condotta su 36 migranti forzati provenienti dall’Africa Subsariana, esposti a traumi nei paesi di origine e/o lungo la rotta migratoria. Quello che emerge è che solo una piccola parte del campione (19%) manifesta un corteo sintomatologico identificabile con il cPTSD, in accordo con i risultati di Ter Heide e collaboratori (2016), assegnando dunque un ruolo centrale per l’evoluzione in un quadro clinico complesso ad elementi di vulnerabilità individuale.
Due lavori si sono invece occupati della sfida relativa all’individuazione e strutturazione, in psicoterapia, di interventi funzionali che tengano conto delle differenze multiculturali.
La Dott.ssa Antonella Stellaci, psicologa e psicoterapeuta (specializzata presso SPC di Ancona), che opera nel Cara Bari-Palese, ha sottolineato l’importanza di focalizzare l’intervento terapeutico con i migranti, non solo sulle risposte negative al trauma, ma anche sulla Crescita Post Traumatica (Post Traumatic Growth – PTG) proposta da Calhoun e Tedeschi nel 2006, attraverso l’assunzione di un ruolo attivo da parte del paziente grazie all’attivazione di risorse personali e strategie di coping, mediante la dimensione gruppale come sperimentazione di accoglienza e condivisione di esperienze negative e la ristrutturazione dell’ambiente fisico, dove anche l’uso di materiale riciclato diventa metafora di rinascita.
Successivamente, la Dott.ssa Leonarda Valentina Vergatti (AIPC Bari), psicologa e psicoterapeuta nel progetto SPRAR, ha spostato l’attenzione, attraverso la condivisione di video ed esperienze dirette, sulla cura del minore straniero non accompagnato e sull’enorme peso che le esperienze di vita traumatiche (condizioni di vita precarie e perdita delle figure significative) possono avere sul suo sviluppo, offrendo importanti informazioni metodologiche sulla strutturazione di un piano di intervento a componente transculturale, che abbia come obiettivo principale la possibilità di sperimentare la protezione e la sicurezza negate nelle precedenti esperienze di vita.
Il simposio, oltre che un’occasione formativa di grande rilevanza clinica per chi opera in questi contesti, ha rappresentato per tutti un piccolo percorso umano che ha permesso di essere testimoni di una nuova odissea di chi lascia il proprio paese, intimamente convinto di poter essere felice solo altrove.