“Non voglio mettere la maglietta blu!”

di Giada Di Biase

Il trattamento cognitivo comportamentale applicato all’interpretazione dei capricci e all’approccio alla regolazione emotiva

“Mamma ti ho detto che non voglio mettere la maglietta blu!”
“Ecco, è iniziata la lotta!”

Carlotta, dall’alto dei suoi quattro anni, urla, pesta i piedi, grida a squarciagola e non riesce a trattenere le sue emozioni. Non ha alcuna difficoltà a sostenere le sue idee e le sue richieste, ad affermare il bisogno e la voglia di essere autonoma nelle scelte, mentre la madre, di contro, crede siano solo capricci.
Dove trovare la chiave di lettura per comprendere cosa sta accadendo, i perché di questi capricci e di queste crisi?
Il pianto, le urla e l’opposizione appaiono come manifestazioni di rabbia, esternazioni di emozioni negative e frustrazioni alle quali l’adulto non sa attribuire un significato e, per tale motivo, vengono spesso percepiti come una modalità volontaria per essere provocati, testati e messi in difficoltà.

A livello più profondo, i capricci sembrano essere il sintomo di una mancata soddisfazione rispetto a un bisogno emotivo. Dietro a ogni capriccio, quindi, si possono leggere una serie di messaggi che i bambini provano a inviare attraverso canali comunicativi conosciuti e utilizzati a seconda dell’età di sviluppo. L’adulto è chiamato a dar loro un significato, individuando la necessità emotiva che può essere orientata in modo funzionale.

Le neuroscienze hanno consentito, negli ultimi anni, una conoscenza approfondita dei meccanismi di funzionamento del cervello dei bambini, illustrando le cause principali di specifici comportamenti attuati e, contestualmente, munendo gli adulti di un “kit di sopravvivenza” che offra loro la possibilità di comprenderli e relazionarcisi in modo adeguato. Il capriccio, in questo scenario, rappresenterebbe una risposta del cervello del bambino a situazioni ed emozioni particolarmente complesse da governare, dal momento in cui le zone cerebrali deputate a tale gestione non sono ancora pienamente funzionali. Il processo di maturazione cerebrale, nello specifico della corteccia prefrontale ventromediale, implicata in complessi compiti cognitivi come il controllo degli impulsi, l’inibizione delle risposte emotive e l’autoregolazione, inizierà con la formazione delle sinapsi eccitatorie a partire dai cinque anni, terminando il suo sviluppo con la formazione delle sinapsi inibitorie all’inizio dell’età adulta. Per tale motivo, i bambini non presenterebbero un completo sviluppo delle funzioni esecutive (FE), processo supportato dalla maturazione della corteccia pre-frontale.

Precursori di tali funzioni sono osservabili già a partire dal primo anno di vita, con un incremento rapido visibile nel periodo prescolare, che raggiunge alti livelli di performance durante l’adolescenza. Tali abilità mentali agiscono come centro di comando del cervello, permettendo all’individuo di vagliare, pianificare e modificare il proprio comportamento per renderlo adeguato ai cambiamenti del contesto,  per  affrontare situazioni nuove, risolvere i problemi, portare a termine l’esecuzione di un dato compito e regolare le proprie emozioni. Quest’ultima capacità, in particolare, appare essere inversamente proporzionale all’età: ciò significa che dato il processo di sviluppo cerebrale, più si è piccoli e meno si è in grado di controllare e gestire le proprie emozioni. Per questo motivo il bambino non appare in grado di controllare le risposte emozionali e tende a esprimere ciò che prova senza utilizzare nessun genere di filtro.

Nello sviluppo iniziale assume un ruolo di grande rilievo l’attività regolatoria del genitore o del caregiver: in questa prima fase chi si prende cura del bambino interpreta i suoi segnali e favorisce la modulazione delle sue emozioni, in uno scambio diadico regolato dall’attenzione. Nei primi anni, tale processo di regolazione degli stati interni è guidato dall’esterno (etero-regolazione) e, in evoluzione, cederà gradatamente il posto alla capacità di auto-regolazione emotiva, che permetterà al bambino di mettere in atto strategie di coping adatte ai diversi contesti sociali in modo autonomo.

Gestire un capriccio risulta quindi possibile, il segreto è dosare la giusta quantità di alcuni ingredienti fondamentali, cercando di non essere iperprotettivi né troppo assecondanti, aiutando così il bambino ad accogliere, tollerare e gestire la frustrazione: ascoltandolo nei suoi bisogni e seguendolo nei suoi desideri, lasciandogli spazi di azione dove affermare sé stesso muovendosi in modo autonomo, insegnandogli a esternare il vissuto unitamente alle sue emozioni, a ciò che ha provato, favorendo così una elaborazione e un’organizzazione efficace del vissuto.

Legittimare un capriccio e concedere qualcosa solo perché lo si desidera, quindi, potrebbe insegnare, in una visione più ampia e matura, che è possibile concedere a sé stessi qualcosa senza sentirsi in colpa. In tal senso, uno stile educativo autorevole e contestualmente attento ai vissuti del bambino (sensitive parenting), appare associato a maggiori capacità di regolazione degli stati interni e del comportamento. Diversamente, uno stile autoritario e punitivo si associa a minori capacità di regolazione emotiva e comportamentale.

L’acquisizione di modalità efficaci di gestione dei propri stati emotivi si mostra, inoltre, come un importante fattore di protezione rispetto alla manifestazione di problematiche psicologiche. Di contro, la presenza di difficoltà nella regolazione delle emozioni (disregolazione emotiva) nello sviluppo del bambino, si presta, unitamente ad altri fattori, a essere elemento di rischio per la manifestazione di problematiche, come iperattività, condotte oppositive e aggressive.

Studi hanno confermato, in questo ambito, l’efficacia del trattamento cognitivo comportamentale nell’infanzia e nell’adolescenza, grazie alla presenza di innumerevoli strategie finalizzate ad aiutare l’individuo a riconoscere e gestire, in modo funzionale, i propri stati emotivi non graditi e all’utilizzo di interventi psicologici psicoeducativi rivolti ai genitori come il parent training, approccio utile in età evolutiva che permette alla coppia genitoriale di apprendere delle strategie funzionali da applicare nei momenti critici della crescita, con lo scopo di raffinare le loro competenze rispetto al monitoraggio e alla gestione delle emozioni provate dai bambini.

Per approfondimenti

Bagdadi, M. P. (2002). Genitori non si nasce ma si diventa. Come affrontare capricci, manie, enuresi notturna, pedofilia, separazione sessualità adolescenziale. Franco Angeli.

Barkley R.A. (1997). ADHD and the nature of self control. New York, Guilford Press.

Barone L. (2007). Emozioni e sviluppo: percorsi tipici e atipici. Carocci.

Buonanno C., Muratori P., (2020). Modelli di parent training. Quaderni di Psicoterapia  Cognitiva.

Isola, Romano, Mancini (2016). Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Milano, Franco Angeli.

Lenroot, R.K., Giedd, J. N. (2006). Brain development in children and adolescents: insights from anatomical magnetic resonance imaging. Neuroscience and Biobehavioural Reviews.

Pat Harvey, Britt H. Rathbone (2021). Adolescenti con emozioni intense: come gestire con la DBT le sfide emotive e comportamentali di tuo figlio. Edizione italiana a cura di Laura Rigobello e Giulia Rancati.  Milano, Franco Angeli.

Perdighe Claudia (2015). Il linguaggio del cuore: riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita. Trento, Erickson.

Robert L. Leahy, Dennis Tirch, Lisa A. Napolitano. La regolazione delle emozioni in psicoterapia. Guida pratica per il professionista. Edizione Italiana a cura di Cesare Maffei. Erikson.

Il salvadanaio della serenità in famiglia

di Laura Pannunzi

Il ruolo della coesione familiare all’interno del programma Coping Power Program

I cosiddetti disturbi “esternalizzanti” – ovvero quelli in cui il bambino impara a dirigere verso l’esterno, sotto forma di oppositività, di impulsività, di iperattività e di rabbia le proprie emozioni critiche – popolano i Servizi di Neuropsichiatria Infantile e gli ambiti di consultazione psicologica per l’età evolutiva. Non di rado, in questi contesti arrivano genitori molto provati e con una mal ridotta percezione di sé in termini di autostima e di autoefficacia percepita nel loro ruolo genitoriale. Nonostante questi tipi di disturbi siano stati definiti “life course persistent” (ovvero relativamente stabili nel corso del ciclo di vita), sono stati messi a punto dei trattamenti validati scientificamente con lo scopo di ostacolarne il decorso e di prevenire l’organizzazione di comportamenti aggressivi cronici. Tra questi, c’è il Coping Power Program, un programma di intervento per il controllo della rabbia e dell’aggressività in bambini e adolescenti, ideato dal prof. John Lochman e sviluppato in Italia dal dott. Pietro Muratori e dai suoi collaboratori presso l’Irccs Stella Maris di Pisa.
Tale programma prevede un intervento di gruppo per i bambini e parallelamente un programma di parent training per i genitori. Nella componente pensata per i genitori, in una delle sessioni a loro dedicate, si lavora sulla costruzione e miglioramento della coesione familiare, vale a dire del legame emotivo esistente tra i vari membri della famiglia: la dimensione che indica la vicinanza o la lontananza cognitiva e affettiva tra le persone che appartengono al nucleo familiare.
In un’ottica squisitamente preventiva, all’interno del programma si aiutano i genitori a pensare in che modo potranno continuare ad aiutare i propri figli e a rappresentare dei punti di riferimento negli anni a venire. All’interno della sessione, vengono indicate alcune delle tante attività che possono servire a questo scopo sia dentro il contesto familiare sia fuori casa.
Uno degli aspetti trasversali a tutto il programma è che, per una buona riuscita di tutte le tecniche che si apprendono nel percorso, risulta indispensabile avere una buona relazione con il proprio figlio e con i propri familiari. È infatti plausibile che nella quotidianità si sperimentino dei momenti di tensione, ma è proprio in quei casi che ogni componente della famiglia deve accedere al “salvadanaio della serenità” che contiene i ricordi dei momenti belli trascorsi insieme, per far emergere emozioni positive e contrastare la rabbia e per continuare a rispettare l’altro. Senza questo salvadanaio, spesso i genitori non hanno la sufficiente energia e la giusta motivazione per rimanere calmi e i figli, di conseguenza, non hanno la costanza di seguire le regole e le aspettative del genitore.
È in questo senso che costruire la coesione familiare significa costruire un clima caldo, di sostegno e di supporto, dove tutti i membri della famiglia possono condividere attività piacevoli e sperimentare relazioni positive e star bene insieme.
Infine, è importante sottolineare che più i figli crescono più hanno il bisogno di avere una buona relazione con i genitori. Un adolescente non seguirà più le regole e le aspettative genitoriali se alla base non c’è una buona relazione. Se invece questa è presente, è probabile che il ragazzo continui in modo naturale a seguire le indicazioni fornitegli, poiché le avrà assimilate e condivise.
Per approfondimenti:

Lochman J.E., Wells K C, Lenhart L.A (2012), Coping Power. Programma per il controllo della rabbia e aggressività in bambini e adolescenti ( a cura di Muratori P., Polidori L., Ruglioni L., Manfredi A., Milone A.) Ed. Italiana

Urlare contro i figli è controproducente

di Giulia Panarelli

Come farsi ascoltare e rispettare dai propri figli?

Molti genitori si ritrovano spesso a urlare contro i figli disubbidienti, arroganti, sfaticati e in qualche caso anche a sculacciarli o schiaffeggiarli per poi magari pentirsene un attimo dopo, provando un grande senso di colpa, frustrazione e inefficacia. Rabbia genera rabbia, offesa genera offesa. Minacce e punizioni generano sfida, mancanza di rispetto e svalutazione; stima e fiducia reciproca vengono meno e si innesca così un vortice di rabbia da cui è difficile tirarsi fuori.

Esistono molti modelli genitoriali secondo cui “una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno” o di pantofole volanti lanciate da madri furiose e “sono cresciuto bene lo stesso”, ma un clima familiare fatto di tensione, urla, insulti, rimproveri, minacce, punizioni, provocazioni, frasi umilianti, ribellioni, non ascolto, porte sbattute è controproducente e addirittura dannoso. Urlare contro i figli li rende aggressivi, irritabili, insicuri, li predispone ad adottare atteggiamenti da bulli, ad avere problemi di condotta; di fronte ai continui rimproveri i figli potrebbero sentirsi sbagliati e non amati dai propri genitori con ripercussioni sul loro benessere psichico.

È questo ciò che si vuole per i propri figli? È davvero questo il tipo di genitore che si vuole essere? Autoritario e temuto? Quando ci riflettono in terapia, i genitori si commuovono e rispondono di no, ma allora come si arriva a questo? Sicuramente molto dipende da alcuni probabili aspetti personali fatti di aggressività, impulsività oppure mancanza di fermezza, scarso senso di autoefficacia, incapacità di instaurare un dialogo, paura del confronto, elevato desiderio di conferma; oppure da modelli genitoriali ricevuti, aspettative su come dovrebbero essere un buon genitore e un buon figlio, interpretazione errata dei comportamenti del figlio letti come sfida o provocazione. Inoltre, possono esserci dei momenti di vita caratterizzati da forte stress e frustrazione, gravi problemi personali o di salute che possono peggiorare le reazioni, far aumentare l’irritabilità e far perdere la pazienza più facilmente. Urlare o dare schiaffoni sono frutto dell’esasperazione e dell’impotenza e quasi sempre sono modalità inefficaci per far comprendere ai figli i propri errori. Mortificato dalle urla, il bambino non si concentra sul contenuto del rimprovero, impara solo ad avere paura e reagisce opponendosi e attaccando. Il timore e la disistima verso il genitore creano un muro nella comunicazione e fanno chiudere in se stesso il ragazzo.
Cosa fare? Poche regole chiare, comunicazione efficace, rispetto.

Le regole devono essere poche, semplici, adeguate all’età e formulate in modo positivo. Per farsi ascoltare dai figli bisogna usare un tono fermo e calmo, quindi prima di far questo, la rabbia deve diminuire. Prendetevi tutti una pausa per recuperare la calma. I figli vi imitano, imparano di più dai vostri comportamenti che dalle parole, così si comportano con voi nel modo in cui voi fate con loro. Dunque, avvicinatevi a loro, chiedete scusa per i modi, ma spiegate come vi sentite e cosa non tollerate del loro comportamento. Poche parole che siano di conoscenza reciproca e non di convincimento. Trovate insieme nuove strategie, nuovi comportamenti più adatti, suggerite come superare il problema insieme.

Potete chiedere l’aiuto di un esperto e seguire un percorso di genitorialità (parent training) per capire cosa fa scatenare la vostra rabbia fino a farvi perdere il controllo; potete imparare a tollerare la frustrazione, accettare e gestire la ribellione dei vostri figli, imparare a riconoscere i bisogni dei vostri figli, sviluppare l’assertività e la fermezza, sviluppare la capacità di ascolto e di rinforzo emotivo e sviluppare la comunicazione efficace. Infine, è possibile definire gli obiettivi genitoriali e individuare quei comportamenti che aiutano a realizzarli, è importante che la coppia genitoriale proceda in modo coeso e coerente.

 Per approfondimenti:

Daniele Novara, Urlare non serve a nulla, Edizioni Bur

 

Parent Training: educare i genitori

di Laura Pannunzi

L’importanza dei programmi di educazione parentale in età prescolare per bambini disattenti e iperattivi

I programmi di educazione parentale, o parent training, sono dei percorsi terapeutici, atti ad accompagnare i genitori a sviluppare aspettative più appropriate rispetto ai propri figli e a imparare come accudirli, usando modalità disciplinari positive in modo empatico. In linea generale, tra le diverse proposte di parent training è possibile identificare degli scopi comuni, quali:

  • sensibilizzare i genitori riguardo all’importanza del legame di attaccamento;
  • incrementare la responsività dei genitori alle esigenze del figlio;
  • aumentare la prevedibilità e la coerenza dei genitori nelle prestazioni di cura e accudimento;
  • ampliare le strategie educative dei genitori

La maggior parte di questi programmi sono rivolti a genitori con figli che soffrono di un disturbo di tipo esternalizzante, nel dettaglio nel trattamento dell’ADHD (Attention -Deficit/Hyperactivity Disorder) e nei Disturbi della Condotta. Leggi tutto “Parent Training: educare i genitori”