di Giuseppe Femia
Maestro che ha segnato la formazione di molti psicoterapeuti moderni, con le sue “pillole” di conoscenza
Una vignetta realizzata con la dott.ssa Eleonora Piccini, durante una lezione di Giovanni Liotti nella sede SPC di Grosseto
Un occhiale da sole, Rayban, vintage e moderno al contempo,
e un sigaro, che rimanda al passato,
immagine quasi simbolica
del suo pensiero:
una lente cognitivista con un’allure quasi analitica! Le sue lezioni non conoscevano noia: le tigri con i denti a sciabola,
la teoria poli-vagale, il trauma, la tristezza contenuta nella perdita,
l´accettazione dell´impotenza.
E poi il ritorno verso pensieri e teoremi lontani da “Janet” revisionato a “Montale” come alleato.
La forza dell’attaccamento, le opere della coscienza.
Una sintesi, un’integrazione di pensieri.
In molti lo ricorderemo come una mente affascinante, stimolante e referente di un pensiero evoluto, in movimento, uno psicoterapeuta e non solo
Ci sono cose che volano,
Uccelli, ore, calabroni,
Ma di loro non m’importa.
Poi ci sono le cose
che restano…
Emily Dickinson
Socio fondatore della psicoterapia cognitiva comportamentale in Italia, con la sua attività Giovanni Liotti ha determinato un cambiamento radicale nella Psicoterapia e sollecitato un’innovazione nei costrutti e nei metodi di cura.
I suoi studi hanno ribadito l’importanza di studiare la specificità di ciascun disturbo psicopatologico, concentrandosi sulla valorizzazione dell’essere umano, della sua struttura cognitiva e della sua storia, come base su cui ritagliare una risposta terapeutica adeguata, mirata e soprattutto orientata alla reale richiesta d’aiuto.
Il suo pensiero ha contribuito alla costruzione di una cornice teorica di riferimento di stampo cognitivista, il cui punto di forza è la capacità di offrire interventi differenziati e “versatili” rispetto alla natura e al funzionamento peculiare di ogni disturbo, contrariamente ad altri approcci, in cui le strategie di intervento rimangono spesso ancorate a riferimenti teorici ideali e ortodossi, nonostante la diversità della sofferenza
presentata dal paziente e, spesso, a detrimento dell´efficacia psicoterapica.
I suoi approfondimenti di ricerca si sono concentrati non solo
sull’integrazione fra le evidenze empiriche della teoria dell´attaccamento e la pratica clinica, ma soprattutto sulla natura intersoggettiva e interpersonale della coscienza e dei disturbi psichici, mettendo in evidenza la connessione fra le esperienze traumatiche e i disordini della Personalità, fotografando la “vulnerabilità storica” dei diversi disagi psicopatologici.
Il suo lavoro è stato mirato a chiarire l’eziopatogenesi dei fenomeni dissociativi dell´identità e della coscienza e l’origine delle rappresentazioni multiple di Sé, implicate nei disturbi gravi della Personalità.
La sua collaborazione diretta e personale con Vittorio Guidano e con John Bowlby ha segnato il costrutto della psicoterapia cognitiva evoluzionistica, oltre che evidenziare l’importanza del fenomeno della “disorganizzazione” del legame di attaccamento in quanto evento traumatico relazionale e precoce da cui si sviluppa un “modello operativo interno” non integrato.
La sua teoria illustra gli esiti psicopatologici delle vicende traumatiche in contesti ad alto rischio, con genitori spaventati/spaventanti, in nuclei familiari dove si ripetono schemi disfunzionali da generazione in generazione, in cui il caregiver si mostra maltrattante o trascurante rispetto ai bisogni emotivi del bambino, oppure direttamente ed esplicitamente violento.
Tali esperienze, proprio in quanto traumatiche, non consentirebbero l’elaborazione di un modello relazionale “organizzato” di riferimento, unitario, ma al contrario andrebbero a elicitare il delinearsi di un modello relazionale connotato da tre diverse configurazioni di “Sé con l’altro” disorientate e disorientanti:
1 Persecutore: “Sono responsabile della rabbia altrui”.
2 Vittima: “Ho paura delle aggressioni e della violenza da parte degli altri”.
3 Salvatore: “Devo prendermi cura degli altri che soffrono come me”.
Tale configurazione prevede un’alternanza fra le tre diverse rappresentazioni capace di indurre confusione rispetto alla propria Identità, sino a renderla fragile e vulnerabile, innescando circuiti e/o circoli relazionali di tipo disfunzionale e di natura psicopatologica.
Questo tipo di teorizzazione, così come da lui postulata, rimane un riferimento utile nella pratica clinica e nella comprensione delle relazioni caotiche e drammatiche dei pazienti Borderline e dei disordini gravi della Personalità in cui si riscontra una continua oscillazione fra posizioni di forza esibita, di ruoli sadici da “persecutore”, in conflitto con vissuti di debolezza, pensieri di torto/ingiustizia subita, mediante cui ci si identifica con la “vittima”, alternando fantasie “salvifiche” verso gli altri visti come fragili e bisognosi.
Con le sue “pillole”, Giovanni Liotti ha lasciato un bagaglio teorico spendibile negli interventi di Psicoterapia, come configurazione paradigmatica del disagio affettivo e relazionale che questi pazienti avvertono e riportano come problema nucleare.
In ultimo, ma non di minore importanza, con il concetto di “mente relazionale”, il suo pensiero ha certamente contribuito a porre l´attenzione sui fenomeni del processo psicoterapeutico, sull’importanza della relazione tra terapeuta e paziente come fattore cruciale di cura, osservando questo tipo di fenomeno da una prospettiva cognitivo evoluzionista, in termini di scopi, credenze e stati mentali, ribadendo come la consapevolezza di se stessi e la risoluzione dei fenomeni dei trauma “irrisolti” possano svilupparsi a pieno solo in un terreno interpersonale di confronto e riflessione.
Partendo dal presupposto secondo cui non esistono mente e coscienza al di fuori della relazione sociale e tenendo in considerazione le teorie di Michael Gazzaniga e Michael Tomasello, Giovanni Liotti ha evidenziato come non possa esistere cognizione senza inter-relazione e come, per tali ragioni, non potrebbe sussistere una tecnica terapeutica al di fuori della relazione fra medico e paziente.
Proprio partendo dall’osservazione di questo processo di interazione, bisogna trovare i fattori che spingono al cambiamento: i metodi e gli strumenti capaci di incrementare la risoluzione dei problemi presentati e della sofferenza psicologica che ne deriva.
Per approfondimenti:
Liotti G. (1994) Disorganizzazione
dell´attaccamento e predisposizione allo sviluppo di disturbi disfunzionali della coscienza. In Ammanniti M.; Stern D. (a cura di) Attaccamento e psicoanalisi. Laterza, Bari, pp.219-233.
Liotti G. (1992). La dimensione interpersonale della coscienza. Carrocci Editore, Roma.
Liotti G. (1999). Il nucleo del disturbo borderline di personalità: un´ipotesi integrativa. Psicoterapia 16, pp.53-65.
Liotti G. (2001). Le opere della coscienza. Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitiva-evoluzionistica. Raffaello Cortina Editore, Milano.