Comprendere il ritiro sociale

 di Lucia Destino e Luana Stamerra

Il volume “Il ritiro sociale. Psicologia e clinica”, a cura di Michele Procacci e Antonio Semerari analizza il fenomeno e i modelli clinici utili a individuarne le diverse forme cliniche e le strategie di trattamento utili a intervenirvi

Il libro “Il ritiro sociale – Psicologia e clinica”, di Michele Procacci e Antonio Semerari, descrive il complesso fenomeno del ritiro sociale, prendendone in considerazione diversi aspetti e sfumature. Il volume si offre come utile guida alla costruzione di una comprensione ampia e puntuale del fenomeno e alla cura delle forme cliniche che questo può assumere.

Il testo è il frutto del lavoro di numerosi autori: esperti psicoterapeuti del Terzocentro di Psicoterapia Cognitiva di Roma, dell’APC – Associazione di Psicologia Cognitiva e della SPC – Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma e dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva di Firenze, membri della Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale, docenti e ricercatori di prestigiose università italiane ed estere e di istituti di formazione in psicoterapia cognitivo-comportamentale e clinici operanti all’interno del servizio sanitario nazionale.

Gli autori affrontano magistralmente il complesso tema del ritiro sociale, un tema tanto vasto da dover essere rigorosamente centellinato in diversi capitoli, a loro volta afferenti a diverse parti del testo: una prima parte volta a mettere in luce la complessità psicologica del fenomeno e una seconda parte volta a presentare i modelli clinici e gli strumenti psicodiagnostici utili alla valutazione, al riconoscimento e alla comprensione delle forme non cliniche e cliniche del ritiro sociale, fornendo poi suggerimenti utili all’intervento terapeutico diretto alla risoluzione di quest’ultime.

In particolare, la prima parte del volume, centrata sulle diverse sfumature psicologiche del fenomeno, si apre con un primo capitolo volto ad affrontare il tema del ritiro sociale nelle prime fasi di vita, infanzia e adolescenza, mettendo in evidenza la possibilità di distinguere tre forme di ritiro sociale: una prima forma caratterizzante individui ansiosi del contatto e dell’impegno sociale; una seconda forma tipica di individui caratterizzati da competenze sociali meno sviluppate e portati, sulla base della percezione di queste e dei disagi che ne derivano, all’implementazione di strategie evitanti del contatto e dell’impegno sociale; una terza forma ravvisabile in una condotta disinteressata al coinvolgimento sociale e pertanto facilmente orientata all’assunzione di strategie di distacco.

Il secondo capitolo si occupa del tema del ritiro sociale osservandolo e analizzandolo da un punto di vista prettamente neurobiologico e neuroscientifico e introduce il lettore alla conoscenza del cosiddetto “cervello sociale”.

Il terzo capitolo espone la teoria evoluzionista delle motivazioni di Giovanni Liotti e accompagna il lettore in un processo di comprensione del fenomeno del ritiro sociale come messo in relazione a essa e quindi ai fattori motivazionali, appunto, implicati nella creazione o meno dei legami interpersonali e nelle manifestazioni patologiche della motivazione alla non creazione e alla perdita del contatto sociale con l’altro. Segue un capitolo in cui viene tracciata una descrizione delle dimensioni della condivisione sociale e quindi dei fattori utili all’implementazione della stessa, aiutando il lettore a interpretare le forme di ritiro sociale come espressioni disfunzionali delle competenze di condivisione.

La prima parte del volume si conclude, poi, con un quinto capitolo volto a illustrare il controverso rapporto tra il fenomeno del ritiro sociale e l’avvento delle nuove e molteplici tecnologie, il cui utilizzo può avere implicazioni psicopatologiche da una parte o può offrire strumenti utili al lavoro terapeutico con individui che presentino forme cliniche di ritiro sociale dall’altra.

La seconda parte del volume è di natura squisitamente clinica: il lettore è accompagnato verso i modelli clinici dei diversi disturbi in cui il ritiro sociale si manifesta.

Ogni capitolo è impreziosito da numerosi casi clinici esemplificativi e sono illustrati, per ogni disturbo, razionale e tecniche sia per la valutazione che per il conseguente trattamento.

Si inizia con il sesto capitolo, in cui si approfondisce il ritiro sociale nei disturbi dello spettro dell’autismo, approfonditi non solo in età evolutiva ma anche in età adulta, con particolare attenzione alla diagnosi differenziale e alla comorbilità con altri disturbi.

Il settimo capitolo si occupa del ritiro sociale nei disturbi dell’umore, distinguendo in maniera chiara e puntuale la reazione depressiva dalla depressione clinica. Vengono individuate e descritte le diverse possibili cause della depressione e infine vengono presentati diversi interventi terapeutici.

Il ritiro sociale nei disturbi di personalità è l’argomento ampliamente trattato nell’ottavo capitolo. Paradigmatico è il disturbo evitante di personalità che viene illustrato dettagliatamente approfondendo le comorbilità e gli aspetti metacognitivi implicati, in particolare le capacità di monitoraggio e decentramento.

Il nono capitolo affronta il fenomeno del ritiro nei disturbi psicotici, partendo dal funzionamento sociale nei disturbi psicotici primari. Vengono riportati diversi studi che evidenziano come il ritiro sociale in fase premorbosa sia predittivo dell’insorgenza di un disturbo psicotico. Per tale ragione viene dato ampio spazio alle tecniche e agli strumenti di valutazione e monitoraggio del funzionamento sociale e al conseguente intervento sui fattori di mantenimento.

Gli autori del decimo capitolo concettualizzano il ritiro sociale nelle due componenti costitutive: quella comportamentale e quella concettuale, introducendo il costrutto dell’anedonia e quello dell’asocialità, per concludere con i relativi test di valutazione e le linee guida per il trattamento.

Infine, l’appendice è dedicata agli strumenti della valutazione della solitudine, dell’isolamento e del ritiro sociale.

Il volume offre un punto di vista inedito del ritiro sociale, cogliendone la complessità attraverso le prospettive di molteplici approcci e analizzandolo trasversalmente tra i diversi disturbi psichiatrici. La ricca proposta teorica, unita agli strumenti di valutazione e alle numerose strategie di intervento, rende il lavoro curato da Procacci e Semerari un testo immancabile nella libreria di qualsiasi clinico.

Per approfondimenti:

Procacci, M. e Semerari, A. (a cura di) (2019). “Il ritiro sociale. Psicologia e clinica”. Erickson Editore

Hikikomori: la vita in una stanza

di Brunetto De Sanctis

Una nuova e grave forma di ritiro sociale descritta inizialmente in Giappone trova riscontro anche in Italia, con una stima di circa centomila casi

La nozione di eremita o recluso è esistita in molte culture da tempo immemorabile. Tuttavia, in Giappone negli ultimi anni è stata identificata una sindrome particolarmente grave di ritiro sociale, che ha raccolto l’interesse dei ricercatori e dei clinici del mondo della salute mentale: con il termine “hikikomori” è stato definito un fenomeno in cui le persone diventano dei reclusi nelle loro case, evitando varie situazioni sociali (ad esempio scuola, lavoro, interazioni sociali, ecc.).
Tamaki Saito, lo psichiatra che ha reso popolare questo termine, definisce gli hikikomori come persone che diventano reclusi nella propria casa per almeno sei mesi, con un inizio dalla seconda metà della terza decade di vita e con una maggior percentuale di persone di sesso maschile. Nello specifico, il Ministero della Salute giapponese pone cinque criteri per l’identificazione di questa grave forma di ritiro: uno stile di vita centrato a casa; nessun interesse o volontà di frequentare la scuola o il lavoro; la persistenza dei sintomi oltre i sei mesi; l’esclusione della schizofrenia, del ritardo mentale o di altri disturbi mentali; tra quelli che non hanno interesse o voglia di frequentare la scuola o il lavoro, quelli che mantengono relazioni interpersonali (ad esempio amicizie) devono essere esclusi dall’essere considerati hikikomori. Spesso nella storia di vita queste persone sono presenti eventi traumatici vissuti nel periodo scolastico (bullismo) oppure vivono in contesti socio-economici precari con crisi del mercato del lavoro. Risulta ancora molto dibattuto se questo fenomeno abbia un’entità diagnostica a sé oppure sia un quadro di ritiro sociale contestualizzabile in altri disturbi psichiatrici come fobia sociale, depressione, disturbo della personalità evitante. Lo studioso Alan Robert Teo, insieme con alcuni colleghi, ha effettuato uno studio in cui ha messo in evidenza come questo fenomeno sia presente non solo in Giappone ma anche in altre nazioni sia orientali sia occidentali. L’autore, per differenziare questo fenomeno da altre diagnosi psichiatriche, ha utilizzato i seguenti criteri di identificazione: passare la maggiorparte del giorno, per quasi tutti i giorni a casa (da almeno sei mesi); evitamenti della scuola o del lavoro (da almeno sei mesi); evitamento delle relazioni sociali come amici o familiari (da almeno sei mesi); sperimentare un distress significativo o un forte limitazione a seguito dell’isolamento sociale. Il trattamento terapeutico dell’hikikomori spesso comporta una combinazione di psicoterapia e terapia farmacologia. Tra gli interventi utilizzati ad oggi, vi sono: il parent training, il trattamento di esposizione per aumentare gradualmente il contatto sociale, la terapia di gruppo con persone con la stessa problematica e tecniche di psicoterapia focalizzate sul trauma infantile. Per coloro che sono completamente reclusi, il primo passo di solito comporta visite domiciliari ripetute con l’obiettivo di “estrarre” l’hikikomori dalla stanza. Sicuramente nel futuro sarà utile specificare al meglio questo fenomeno per identificarlo, eventualmente, come una diagnosi, e analizzare gli interventi maggiormente efficaci nel trattarlo.

 

Per approfondimenti:

Teo A.R. (2010). A New Form of Social Withdrawal in Japan: A Review of Hikikomori. Int J Soc Psychiatry. March ; 56(2): 178–185.

Saito, T. (1998). Shakaiteki hikikomori: owaranai shishunki (Social withdrawal: a neverending adolescence). PHP Shinsho; Tokyo.

Teo A.R., Fetters M.D., Tateno M., Balhara Y., Choi TY., Kanba S., Mathews C.A. and Kato T.A. (2015). Identification of the hikikomori syndrome of social withdrawal: Psychosocial features and treatment preferences in four countries. Int J Soc Psychiatry. February ; 61(1): 64–72.