SITCC 2018 – Ruminazione: caratteristiche, funzioni e trattamento

di Gilda Franceschini

Durante la mattinata del 22 settembre, nell’ambito del XIX congresso nazionale SITCC, svoltosi nella sede del polo universitario Giorgio Zanotto di Verona, si è tenuto il simposio dal titolo “Ruminazione: caratteristiche, funzioni e trattamento”, in cui il tema della ruminazione è stato esplorato nei suoi diversi aspetti: da un inquadramento del fenomeno nell’ambito degli studi presenti in letteratura, ad una focalizzazione sulle sue funzioni, dunque sul suo rapporto con gli scopi dell’individuo, fino agli aspetti legati al trattamento.
Il simposio ha visto nel ruolo di chair e discussant il Professor Gabriele Caselli, psicologo e psicoterapeuta, docente presso la Scuola di specializzazione in psicoterapia cognitiva “Studi cognitivi” e presso la Sigmund Freud University, che ha aperto dando la parola alla prima relatrice, la dottoressa Chiara Schepisi, della Scuola di Psicoterapia Cognitiva, sede di Grosseto, la quale ha presentato un’interessante e puntuale review sugli scopi e sulle funzioni della ruminazione. Nel suo intervento particolare rilevanza è stata data alle teorie che illustrano le funzioni della ruminazione e all’analisi di modelli teorici e prove sperimentali con l’obiettivo di individuare il ruolo che tale processo di pensiero svolge all’interno del sistema scopistico dell’individuo. Dalle evidenze scientifiche prese in esame è emerso che la funzione per cui gli individui utilizzerebbero la ruminazione è quella di riflettere su ciò che compromette il raggiungimento di uno scopo rilevante.
Subito dopo è intervenuta la dottoressa Rosanna De Carlo, allieva presso la scuola SPC di Roma, che ha presentato un lavoro di ricerca teso ad indagare l’ipotesi secondo cui ad attivare la ruminazione sarebbe il fallimento in un compito irrilevante che risulta compromettente per uno scopo personale di alto livello. Ha dunque descritto il paradigma sperimentale e gli interessanti risultati circa il potere della rassicurazione nel ridurre parzialmente la ruminazione; ed in particolare il fatto che i soggetti con un’alta tendenza alla ruminazione e alla depressione ruminavano più sul valore di ordine superiore potenzialmente compromesso, che sull’evento di fallimento in sé.
La parola è poi passata alla dottoressa Roberta Trincas, psicoterapeuta e docente presso la scuola SPC di Roma, che ha concentrato il suo intervento sull’aspetto del trattamento. Il protocollo terapeutico descritto è stato quello della Rumination Focused Therapy, che, nel suo porre attenzione ad un’analisi precisa delle diverse funzioni della ruminazione in relazione a differenti contesti, abbraccia una prospettiva in linea con il modello scopistico; ha inoltre discusso un caso clinico trattato secondo i principi della RFCBT.
Infine è intervenuta la dottoressa Olga Ines Luppino, psicoterapeuta e docente presso la scuola SPC di Roma, che ha presentato uno studio pilota finalizzato a valutare l’efficacia della Rumination Focused CBT in un gruppo di 6 pazienti con diagnosi di ansia e depressione, nei quali è stata riscontrata una riduzione dei livelli di ruminazione in seguito all’intervento esplicitatosi in 10 sedute di gruppo a cadenza quindicinale, dato in linea con studi recenti, tra i quali quelli del dr <watkins del 2016, che hanno dimostrato l’efficacia del trattamento della ruminazione nell’ambito dell’esperienza di gruppo.

Al termine delle presentazioni delle relatrici, il professor Caselli ha posto delle domande stimolando un dibattito rispetto ai possibili risvolti clinici della concettualizzazione della ruminazione intesa come connessa agli scopi dell’individuo, e ci si è poi confrontati sull’importanza di affiancare ad interventi comportamentali, ispirati ai principi dell’analisi funzionale, come previsto dal protocollo della RFCBT, un’indagine accurata sui significati personali attribuiti ai trigger di innesco del pensiero ruminativo e sulla natura storica degli scopi rispetto alla compromissione dei quali si attiva la ruminazione.

SITCC 2018 – Psicopatologia della noia: dalla ricerca alla pratica clinica

di Stefania Iazzetta

Venerdì 21 settembre, nell’ambito del XIX congresso nazionale SITCC, svoltosi nella sede del polo universitario Giorgio Zanotto di Verona, si è tenuto il simposio “Psicopatologia della noia: dalla ricerca alla pratica clinica”. Chairman il Dott. Andrea Gragnani, discussant il Dott. Marco Saettoni.

In psicologia e psicoterapia cognitiva si parla molto delle emozioni e del loro ruolo nei diversi disturbi. Tristezza, ansia, senso di colpa e rabbia, come altri stati emotivi, hanno spesso un ruolo di rilievo nella riflessione del clinico e nel suo intervento. La noia, invece, rimane poco indagata e spesso trascurata nel lavoro psicoterapico, nonostante questa rivesta un ruolo di estremo rilievo nella sofferenza della persona e nell’attuazione di condotte disfunzionali nel tentativo di uscirne. Il simposio nasce da una serie di riflessioni effettuate sul ruolo della noia all’interno di alcuni quadri psicopatologici e di come poter intervenire su di essa.

Il primo lavoro, presentato dalla Dott.ssa Michela Lupo, “Inclinazione alla noia e uso di cocaina…esiste una correlazione?”, indaga il rapporto esistente tra una maggiore inclinazione alla noia in soggetti utilizzatori occasionali di cocaina e come questi presentino una maggiore tendenza ad attribuire all’esterno le cause attivanti lo stato emotivo della noia rispetto ad un gruppo di controllo. Inoltre, è stato evidenziato come negli stessi soggetti ci fossero punteggi significativamente più elevati in dimensioni temperamentali e caratteriali che spesso sono correlate alla messa in atto di comportamenti a rischio, valutati tramite il test del Temper & Char Inventory (TCI_R) come la NS, HA SD e C. Se da un lato questi risultati hanno confermato le correlazioni già dimostrate in letteratura (Iazzetta et al., 2013) tra l’assetto di personalità di chi abusa di sostanze e l’inclinazione alla noia, dall’altro ha anche evidenziato come proprio un gruppo intermedio, senza diagnosi di uso da sostanze ma con un uso occasionale, si possono riscontrare fattori di vulnerabilità fortemente patologici a livello di tratti temperamentali e caratteriali che renderebbero questi soggetti maggiormente sensibili agli effetti della noia, sottolineando come un trattamento specifico di questa emozione, in questi soggetti, potrebbe prevenire l’attuazione di alcuni comportamenti patologici.

Rita Cardelli portava invece i dati di una ricerca pilota effettuata dal Centro Pandora sulla correlazione esistente fra l’inclinazione alla noia e i disturbi dell’umore in un campione di 54 pazienti con spettro bipolare (DB I, DB II e ciclotimici) in fase di remissione sintomatologica. Partendo da un precedente lavoro (Lari et all. 2013) l’indagine evidenzia come i soggetti con DB tendano ad individuare nella monotonia dell’ambiente esterno le cause della noia e a gestirla ricorrendo a fattori esterni, spesso disfunzionali, come le sostanze. Non è stata rilevata, inoltre, una relazione tra la durata di malattia e la tendenza ad esperire tale emozione, confermando l’ipotesi avanzata dal gruppo di lavoro che si tratti di un’emozione di tratto specifica dei soggetti con DB. Infine, questo rappresenta il primo studio che indaga la noia nei diversi sottotipi di disturbo bipolare ed evidenzia come i soggetti con DB I siano maggiormente inclini alla noia e la attribuiscano maggiormente ad aspetti esterni rispetto ai soggetti con ciclotimia.

Paola Mancuso ha presentato una ricerca dal titolo “Noia e detachment: un’indagine preliminare” che esplorava la possibilità che esista una radice dissociativa nell’esperienza della noia. L’indagine, condotta su un campione di 373 soggetti reclutati on line, evidenzia come vi sia, infatti, un legame tra questo stato emotivo e la sofferenza psichica del soggetto. Nello specifico i risultati mostrano come questa emozione sia in parte riconducibile ad alcuni fenomeni quali il detachment, l’alienazione e l’assorbimento, che sia una parte rilevante dell’esperienza di chi è soggetto ad oscillazione dell’umore e che presenta una correlazione con il disagio psichico che del paziente.

Infine, Lisa Lari, ha concluso il simposio proponendo un intervento dal titolo “La Noia nel Disturbo Bipolare: un’ipotesi d’intervento psicoterapeutico”. La spiccata intolleranza alla noia dei pazienti con DB può portare alla messa in atto di comportamenti disfunzionali che influenzano l’andamento dell’umore. Partendo da tale evidenza empirica, si è cercato, da una parte, di delineare quando e come indagare tale emozione e, dall’altra, di individuare le manovre psicoterapiche utili alla gestione di tale emozione, quali ad esempio: l’incremento della consapevolezza, la messa in atto di condotte alternative e maggiormente funzionali per la gestione della noia, l’inserimento di skills di tolleranza della sofferenza (volte all’accettazione) e di regolazione emotiva (per favorire il cambiamento).