Il bambino triste

di Emanuela Pidri

Dall’attaccamento alla strutturazione della personalità

I processi di maturazione hanno il loro fulcro nella costruzione dell’identità e si articolano caratteristicamente nel corso dell’adolescenza, attraverso momenti di fisiologica instabilità che comportano anche bruschi abbassamenti del tono dell’umore (cosiddetta “depressione fisiologica”), espressione di riassetti critici dell’equilibrio interno, in rapporto alle modalità soggettive di assimilare e riferire a sé l’esperienza vissuta. Pertanto, nel corso della preadolescenza e adolescenza, fisiologiche variazioni del tono dell’umore rivestono un ruolo fondamentale nella maturazione e quindi nella strutturazione della personalità. Tali modulazioni del tono dell’umore, più o meno brusche, intense e durature, sebbene costituiscano momenti di “crisi” possono dar luogo a esiti diversi, sia di tipo adattivo e quindi maturativi, sia di tipo disadattivo con oscillazioni che si esprimono attraverso disturbi psicopatologici di vario tipo e gravità.

La Teoria dell’Attaccamento ha dimostrato il ruolo della Sintonizzazione Madre-Bambino come elemento cardine dello sviluppo dell’attaccamento e come fattore predittivo dello sviluppo della personalità, sottolineando il ruolo di alcuni elementi fondamentali: primato dei legami emotivi intimi con le figure di attaccamento, schemi di attaccamento e condizioni dello sviluppo, persistenza degli schemi comportamentali, percorsi dello sviluppo della personalità. Lo sviluppo non viene più visto, seguendo gli studi dello psichiatra statunitense Daniel Stern, nell’ottica di punti di fissazione e di regressione, ma come differenti percorsi di sviluppo, più o meno sani, imboccati dal soggetto in base al suo corredo biologico in continua interazione con l’ambiente.

Attraverso il legame con i genitori, in particolare con la figura di attaccamento, il bimbo comincia a integrare le sue sensazioni emotive, con specifiche azioni, percezioni e ricordi, cominciando così a costruire la propria soggettività, riconoscendosi sempre più come entità differenziata dalle cose e dagli altri. Dagli anni ’80, il lavoro di Vittorio Guidano e Giovanni Liotti, ha evidenziato come il contributo dell’attaccamento rivesta un ruolo centrale nella costruzione del sé e nel mantenimento della coerenza di tale organizzazione intermodale. Nell’adolescente esiste la tristezza, la collera, il sentimento di inutilità, il pessimismo, la colpa, l’umiliazione, l’isolamento.  La presenza di questi aspetti nel corso dei processi normali di sviluppo fanno pensare che non ci sia adolescente senza depressione. Evidentemente si osserva l’esistenza di diversi processi a carattere depressivo: separazione, rottura di legami, perdita; aggressività e sentimenti di colpa; effetto depressivo di base (isolamento, pessimismo, noia, timidezza, tedio, tono affettivo basso) che se non vengono ben gestiti dalla sintonizzazione madre-bambino (attaccamento non sicuro) assumono significati differenti nello sviluppo evolutivo e identitario dell’individuo.

Lo stile affettivo (modalità adulta di stabilire legami, compreso l’amore), essendo una forma matura di affettività, ha come caratteristica di avere maggiori possibilità di astrazione rispetto all’attaccamento infantile e tende nelle situazioni “normali” ad arricchirsi e articolarsi nel corso della vita. C’è una modalità dello sviluppo umano in cui il senso di solitudine sembra acquisire una centralità e una prevalenza legata a specifiche esperienze di vita e di attaccamento. Lo stile depressivo è uno stile affettivo derivante dall’attaccamento evitante in cui, per il bambino, l’accesso alla figura di attaccamento è chiaramente poco o per nulla accessibile. La caratteristica centrale di questo stile è la sensazione di solitudine, di separazione dal resto del gruppo, dovuta all’esperienza di perdita, di abbandono, con il conseguente senso di auto-sufficienza sperimentata fin dall’infanzia, che porta a una posizione, nell’adulto, di evitamento dei rapporti affettivi. Le emozioni prevalentemente attivate sono la disperazione e la rabbia, è intorno a queste due polarità che si costruisce un tema di significato personale.

Per approfondimenti:

 

BARA B. (1990). Scienza cognitiva. Torino, Bollati Boringhieri.

BARA B.G. 2000. Il metodo della scienza cognitiva: un approccio evolutivo allo studio della mente. Bollati Boringhieri, Torino

BRACONNIER A. (2002). Minaccia Depressiva e depressione in adolescenza. In “adolescenza e psicoanalisi”. Anno II- N°3 Settembre.

CUTOLO G. (2012). L’empatia: comprendere gli altri facendoci capire da loro. Neuroni specchio, mentalizzazione, attaccamento” su L’Altro, anno XV, n.1 genn.-apr.2012, pag.12-19

GUIDANO V.F. (1992) “Il sé nel suo divenire” Bollati Boringhieri Torino

LAMBRUSCHI F. (2004). Psicoterapia cognitiva dell’età’ evolutiva. Bollati Boringhieri

LIOTTI G., (2001). Le Opere della Coscienza. Raffaello Cortina, Milano. Mantovani N., L’elefante invisibile, Giunti, Firenze.

NARDI B, (2004). La depressione adolescenziale in Psicoterapia Cognitiva dell’età evolutiva, a cura di F. Lambruschi., Bollati Boringhieri, Torino

REDA AM. E CANESTRI L.  (2012). “All You Need is Love”: La Rilevanza dello Stile Affettivo in Psicoterapia Post-Razionalista. XIII CONVEGNO DI PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA

 

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Distacchi emotivi

di Caterina Parisio

Da Edward Hopper alla psicopatologia del disturbo evitante

 “Forse io non sono molto umano […] Dipingo solo per me stesso. Mi piacerebbe che i miei quadri comunicassero, ma se non lo fanno va bene lo stesso. Non penso mai alla gente quando dipingo, mai”. Edward Hopper

Ci sono dei pittori che invitano all’analisi psicologica. Certamente Edward Hopper è tra questi, interprete profondo delle relazioni umane. Hopper dipinge la vasta solitudine dell’anima contemporanea rispetto al nulla; l’attesa di qualcosa o di qualcuno che non verrà; il vuoto degli sconfitti.

In Room in New York, un dipinto del 1923, l’apparente banalità di una scena quotidiana stimola la capacità interpretativa di qualsiasi osservatore: il pittore Charles Burchfield ne sottolinea il silenzio insopportabile; il poeta Mark Strand si sposta invece su una dimensione psicologica, quella del distacco.

Lui chino sul giornale. Lei sta dall’altro lato di una piccola stanza e guarda i tasti di un pianoforte che sfiora con un dito. Lui è concentrato sulla lettura, ma lei non è concentrata sul pianoforte; sta facendo passare del tempo, presumibilmente in attesa che lui finisca di leggere il giornale. L’uomo e la donna sono sia uniti che separati: il senso di distacco che può crescere pur mentre ci si trova in compagnia di un’altra persona.

Il distacco intuito da Strand potrebbe dipendere dalla relazione tra i due protagonisti del quadro: una relazione di coppia conflittuale o addirittura ostile sfociata in un sentimento di estraneazione sino al distacco emotivo. E se invece il distacco non dipendesse dalla relazione ma fosse la modalità usuale di uno dei due protagonisti di vivere le relazioni emotivamente importanti?

Secondo la teoria dell’attaccamento, il funzionamento evitante è sovrapponibile con la categoria d’attaccamento adulto tipo fearful, caratterizzato da rappresentazioni negative di sé e degli altri: gli altri non sono accudenti e non sono disponibili e il sé non merita affetto. L’immagine di sé negativa viene rinforzata dall’arousal emotivo e indebolita da fattori che inibiscono l’attivazione di meccanismi regolatori dell’emozione.

In ogni stile di attaccamento si costituisce uno stile di conoscenza.

Un bambino allevato in un clima emotivo di relativa trascuratezza può sviluppare la convinzione profonda che nei momenti di bisogno è meglio far conto solo su se stessi e che lasciarsi coinvolgere emotivamente è un errore che verrà pagato a caro prezzo. Nell’età adulta, una persona che ha seguito questo percorso nello sviluppo della personalità, può essere del tutto inconsapevole dei motivi che sono alla base del suo distacco emotivo. Nella relazione prevale un atteggiamento di chiusura che esprime la difficoltà a fare riferimento a nuove informazioni provenienti dal contesto, nel formulare un giudizio sociale. Le interazioni divengono così fonte di disagio e disturbo.

Persone come quelle dipinte da Hopper sono incapaci di avere una buona rappresentazione della mente altrui e hanno difficoltà a riconoscere i propri pensieri, emozioni, sensazioni quando vivono le relazioni interpersonali. Gli altri li osservano a loro volta o entrano in contatto con molta difficoltà, colpiti dalla sensazione del distacco che emanano. Il modo di padroneggiare il distacco è la ricerca del sollievo attraverso l’allontanamento e la solitudine.

In Morning sun, Hopper dipinge una donna sola, seduta con le braccia incrociate sulle gambe piegate, in posizione raccolta sopra un letto intatto, con lo sguardo rivolto verso una finestra da cui entra la luce del sole. La donna ha l’espressione assente, persa in un vuoto lontano, in un “altrove” che esce fuori dal confine del quadro e che resta ignoto allo spettatore. La sua è una pura presenza fisica, in quanto il suo pensiero, il suo mondo interiore, rimangono del tutto inaccessibili.
Il suo occhio destro è una piccola macchia nera, quasi un’orbita vuota, che infonde una sensazione inquietante e che soprattutto testimonia la condizione di alienazione (intesa come condizione di estraneità e di disinteresse per la realtà circostante) del personaggio. La luce fredda e tagliente e le ombre della stanza creano una tensione psicologica, ma soprattutto un gran senso di solitudine, accentuato dai colori e dalle geometrie, dalla posizione elevata della stanza rispetto alla strada e dal volto inespressivo e inaccessibile della donna. Difficile interpretare il suo stato d’animo.

La solitudine è la soluzione apparente ai problemi di estraneità/distacco presentati, ma solo parzialmente e per un tempo limitato.

Come i suoi personaggi, anche il pittore si mostra emotivamente distaccato; il suo pennello distilla emozioni con freddezza e lucidità, senza far trapelare alcuna partecipazione. Esiste tuttavia una traccia della presenza emotiva di Hopper il quale, a un critico d’arte che paragonò i suoi quadri a diapositive astratte e algide, rispose: “No ve ne prego, così mi uccidete”.

 

Per approfondimenti:

Giancarlo Dimaggio, Antonio Semerari (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento, Ed. Laterza