La relazione terapeutica nel trauma complesso

a cura di Federica Visco Comandini

Il concetto di intimità nel trauma complesso è fortemente dibattuto in quanto la vicinanza con l’altro è al contempo desiderata e temuta, condizionando il funzionamento interpersonale di coloro che ne soffrono.

L’attivazione del sistema dell’attaccamento può provocare stati emotivi intensi e intollerabili, portando alla messa in atto di strategie di potere e controllo per non sentirsi in balìa di una realtà vissuta come terrifica.

Come tutto questo può esprimersi nella relazione terapeutica che è, per definizione, una relazione di accudimento?

È quello che hanno provato a descrivere Carolina Papa, Erica Pugliese, Claudia Perdighe, Ramona Fimiani e Francesco Mancini nell’articolo “I Am Longing and Afraid to Depend on You”: A Case Report on Breakdowns of Therapeutic Alliance and Interpersonal Cycles in Complex Trauma.

Attraverso un’esemplificazione clinica vengono descritti i cicli interpersonali tra paziente e terapeuta in un caso di forte paura dell’intimità in cui la paziente combatte per riuscire a non sentirsi emotivamente dipendente dalla terapeuta.

Il lavoro suggerisce come la regolazione delle proprie attivazioni all’interno della relazione terapeutica rappresenti un prerequisito fondamentale per i terapeuti che lavorano col trauma complesso e sottolinea la rilevanza della qualità della relazione terapeutica con questo tipo di pazienti.

L’articolo è disponibile in open access al seguente link:  https://www.mdpi.com/2076-3425/14/12/1207

 

Lasciare il passato al suo posto

di Miriam Miraldi

Neurobiologia dell’EMDR per il trattamento dei ricordi traumatici

Le esperienze dolorose sono tra i nostri fattori comuni più potenti, che ci fanno sentire universalmente simili, come esseri umani. Ciascuno di noi ha fatto esperienza di sofferenza, ma ad alcuni accade di rimanervi agganciati, come se si fosse per errore calata l’àncora in un porto insicuro e spaventoso, e poi non si sapesse più come tirarla su e riprendere la navigazione: per quanto si provi a spostarsi in avanti, nel futuro, una forza terrifica, trattiene e rimbalza indietro.

Quando impariamo e facciamo esperienza di qualcosa, le informazioni vengono processate e immagazzinate nelle reti neurali: si trattiene ciò che è utile, si scarta ciò che non lo è, e si mettono in connessione fatti e vissuti simili. Anche gli eventi di vita emotivamente carichi vengono generalmente elaborati dal cervello attraverso una risoluzione adattiva, ma quando l’attivazione emotiva è estrema, come quando ci sentiamo gravemente in pericolo e sperimentiamo sensazioni di impotenza, questo può sopraffare il sistema e il normale processo risolutivo può bloccarsi, favorendo l’insorgenza di un disturbo da trauma.

Possono presentarsi sintomi come pensieri intrusivi, incubi, bassa concentrazione, difficoltà mnestiche, ansia, ipervigilanza rispetto a certi stimoli, sensazioni di torpore, come di essere “in una bolla”, evitamento di ciò che si ricorda o è in assonanza con l’evento traumatico. Ogni volta che attraverso qualche stimolo sensoriale o per analogia si ricontatta ciò che è successo, si rivivono nuovamente le stesse paure e angosce, con la medesima intensità, come se fosse ora. Il passato è ancora drasticamente presente, e allora non basterà il tempo a curare tutte le ferite.

L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing è un trattamento evidence-based in otto fasi per la cura del Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD). Il terapeuta guida i pazienti ad accedere a esperienze passate che sono alla base di problematiche attuali. Attraverso forme di stimolazione bilaterale (es. movimenti oculari, tapping, stimoli sonori alternati) interviene sui ricordi non elaborati, consentendo al sistema di elaborazione di informazioni del nostro cervello di metabolizzare i vecchi ricordi, in modo che non impattino più emotivamente sul presente, e vengano mentalizzati come eventi passati, che non possono più farci del male.

Negli ultimi anni diverse ricerche neurobiologiche, utilizzando le neuroimmagini, hanno documentato come la EMDR modifichi concretamente le reti neurali e le aree cerebrali: per fare un esempio, si è visto che nelle persone che soffrono di PTSD, l’ippocampo, il centro responsabile del consolidamento delle memorie a lungo termine, può restringersi e, se prima si credeva che ciò costituisse una condizione patologica permanente, le risonanze magnetiche hanno invece dimostrato che la ricrescita dell’ippocampo è possibile quando si interviene psicoterapeuticamente nella risoluzione del trauma. Altri studi svolti con l’ausilio di elettroencefalogramma (EEG) ci vengono in aiuto per comprendere in che modo funziona l’EMDR: dai tracciati EEG si evidenzia come i meccanismi di elaborazione del trauma siano sovrapponibili a ciò che avviene alle informazioni che elaboriamo durante il sonno. In particolare, sembra che la stimolazione bilaterale riproduca le condizioni fisiologiche del sonno non-REM. Usualmente, l’ippocampo si occupa di costituire la memoria episodica, mentre le emozioni a essa associata vengono immagazzinate nell’amigdala; da queste due aree del sistema limbico, l’informazione migra per essere poi elaborata e integrata nella memoria semantica corticale, che consente di dare senso all’evento, all’interno storia personale dell’individuo: questo passaggio avviene durante il sonno non-REM. Cosa avviene, invece, in caso di trauma? In questo caso, le informazioni che si trovano nell’ippocampo e nell’amigdala restano bloccate, cioè non vengono trasferite alla memoria semantica corticale, e perciò non vengono integrate, creando una ri-attivazione emozionale forte, come se l’evento si stesse riverificando nel presente. Durante la terapia EMDR, la stimolazione bilaterale riproduce le condizioni neurofisiologiche del sonno non-REM, consentendo alla memoria episodica di integrarsi nella corteccia associativa e di non avere quell’impatto emotivo disturbante, collocando tali eventi nel passato e sentendo che non possono più farci male nel presente.

È importante che ogni tassello si avvicini al suo posto, che i ricordi imbrigliati nelle reti neurali delle zone arcaiche del nostro cervello possano raggiungere quelle aree più evolute e mentalizzanti, affinché possiamo far fluire i ricordi traumatici e lasciare il passato nel passato.

Per approfondimenti

Shapiro, F., (2013). Lasciare il passato nel passato: tecniche di auto-aiuto nell’EMDR. Astrolabio.

Pagano, G. Di Lorenzo, AR. Verardo, G. Nicolais, I. Monaco, et al. Neurobiological Correlates of EMDR Monitoring – An EEG Study. Plos|One 2012

Strategie di risposta al Covid-19

di Cecilia Laglia e Rosa Vitale

Le vite di alcune persone sembrano fluire come in un racconto; la mia ha avuto molte fermate e ripartenze. Questo è ciò che fa il trauma. Interrompe la trama… Semplicemente accade e, dopo, la vita va avanti. Nessuno ti prepara a questo. A Memoir of Terror, Jessica Stern, Denial

L’emergenza collettiva del Coronavirus pone tutti di fronte a un evento assolutamente incontrollabile e disarmante.

È possibile riscontrare una discrepanza tra i bisogni di ogni individuo e le sue capacità di risposta, utili alla prevenzione e al superamento dell’angoscia traumatica. La risposta a un evento traumatico può variare, infatti, in base alle caratteristiche della personalità del soggetto coinvolto (personalità pre-traumatica) e alle sue vulnerabilità specifiche. Il livello di intensità e gravità dell’evento traumatico elicitano stati di impotenza e angoscia, aumentando la probabilità di esiti psicopatologici. Eventi di intensità maggiore e traumi collettivi (emergenze, catastrofi naturali, pandemie) sottopongono contemporaneamente l’individuo a un ampio numero di situazioni stressanti, a differenza di traumi a intensità minore (lutti, traumi relazionali) i cui effetti, seppur dolorosi, si esauriscono in sé stessi, non esponendo il soggetto a ulteriori sollecitazioni. Inoltre, l’impatto dell’evento traumatico sull’individuo varia in base alle emozioni e ai pensieri che esso è in grado di evocare, riattivando vissuti e memorie traumatiche personali, generando e acuendo le sensazioni di impotenza e di vulnerabilità.

Le reazioni più comuni che si registrano in seguito a una condizione traumatica come quella del Covid-19 sono di diversa natura: di tipo emozionale (shock, collera, ottundimento emozionale, senso di colpa, dissociazione), cognitivo (confusione, distorsioni, preoccupazioni, pensieri intrusivi), fisico (insonnia, iperattivazione, lamentele somatiche) e interpersonale (alienazione, aumento dei conflitti nelle relazioni).

Una delle modalità di coping, vale a dire dei meccanismi psicologici adattivi, è la “reazione di tolleranza”, caratterizzata da un sufficiente mantenimento della capacità di autocontrollo, di lucidità e della messa in atto di risposte comportamentali ed emotive adeguate. Tuttavia, data l’imprevedibilità della durata temporale dell’emergenza in atto, sarà possibile osservare due differenti evoluzioni delle reazioni all’interno di questa categoria: alcune persone potrebbero, infatti, manifestare le così dette “reazioni differite”, cioè reazioni inizialmente adeguate che, con il trascorrere del tempo, evolvono in senso patologico; altre potrebbero orientarsi verso strategie di accettazione, con conseguente adozione di comportamenti propositivi per la gestione della difficoltà. Un esempio sono le strategie di supporto collettivo, quali l’utilizzo di motti e hashtag (#iorestoacasa, #andratuttobene), video di personaggi famosi che invitano a resistere e rispettare le norme di contenimento e iniziative di supporto psicologico e sociale a categorie a rischio.

Un’altra strategia di fronteggiamento è quella delle “reazioni iper-emotive brevi”, caratterizzate da manifestazioni psicosomatiche intense (shock, ansia, depressione, smarrimento, stupore, palpitazioni, nausea, etc.), che raggiungono l’apice nei giorni immediatamente successivi all’evento e tendono a diminuire gradualmente. Si può osservare in questo momento una maggiore presenza in ognuno di noi di preoccupazioni sulla salute e timori di contagio, con conseguente normalizzazione dei quadri di tipo ipocondriaco e ossessivo. Tuttavia, in alcuni casi più gravi, tali reazioni possono evolvere, invece, in quadri post-traumatici e sindromi nevrotiche di diverso tipo.

Un’ulteriore modalità di coping riguarda le “risposte disfunzionali” a carattere dissociativo, in cui possiamo annoverare comportamenti irrazionali di esposizione al pericolo e comportamenti aggressivi auto ed etero diretti, osservabili nella tendenza di alcune persone a non rispettare le norme vigenti, supportate da credenze irrazionali di invulnerabilità, più comuni tra i giovani, che esitano in comportamenti a rischio quali assembramenti e non utilizzo dei dispositivi di sicurezza.

Il trauma ci priva della sensazione di essere padroni di noi stessi e, in particolare in questo momento storico, della percezione di essere liberi. È per questo che appare fondamentale cercare di identificare dei piccoli obiettivi da raggiungere nella nostra quotidianità, aiutandoci a essere presenti nel “qui ed ora” e coinvolti con le persone che ci stanno intorno, accogliendo la sfida insita nel tentativo di ristabilire la padronanza del corpo e della mente e, dunque, di noi stessi.

Per approfondimenti

Van Der Kolk B. (2015) Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore.

Cyrulnik B. (2009) Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare un trauma. Raffaello Cortina Editore.

Lo Iacono A., Troiano M. (a cura di) (2002) Psicologia dell’emergenza. Roma: Editori Riuniti.

L’impronta di traumi e eventi stressanti

di Emanuela Pidri

Dall’identificazione del trauma alla scelta del trattamento

Attacchi terroristici, guerre, incidenti stradali, catastrofi naturali e altri tragici eventi hanno un fil rouge: l’effetto sulla salute mentale delle vittime, dei sopravissuti e delle loro famiglie. Lo stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder – PTSD) è una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche e ha un’incidenza tra il 5% e il 10%. Il trauma rappresenta un’esperienza di particolare gravità che compromette il senso di stabilità e continuità fisica e psichica di una persona, causandone disorganizzazione e disregolazione del sistema biologico. Si tratta di un evento o più eventi ripetuti nel tempo estremamente stressanti che producono reazioni emotive e corporee talmente forti che non  sempre il cervello riesce a elaborare, generando sofferenza e compromissione della vita quotidiana. Quando l’elaborazione del trauma non avviene spontaneamente, le emozioni e le sensazioni corporee a esse associate si bloccano, e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il benessere della persona.

Secondo l’American Psychiatric Association i sintomi manifesti sono: evitamento persistente degli stimoli associati all’evento, attenuazione della reattività generale, aumento dell’attivazione nervosa, reattività fisiologica intensa, alterazione delle funzioni cognitive ed emotive, irritabilità, scoppi di collera, aggressività, gesti auto lesivi. I sintomi del disturbo post traumatico da stress possono insorgere immediatamente dopo il trauma o anche dopo molto tempo con esordio tardivo e la sua durata può variare da un mese alla cronicità; per questo si rende necessario un intervento tempestivo.

Gli approcci evidence-based, che sono attualmente raccomandati nelle linee guida internazionali sul trattamento delle condizioni correlate allo stress, sono vari. L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) è una tecnica psicoterapeutica che sfrutta i movimenti oculari alternati concomitanti con l’individuazione dell’immagine traumatica, delle convinzioni negative a essa legate e del disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione, fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi.

La Terapia Cognitivo Comportamentale focalizzata sul trauma (TF-CBT) è un protocollo che consiste nella combinazione di metodi (es. Stress Inoculation Training, Esposizione Prolungata) che permettono di gestire lo stress, l’ansia e altri sintomi del disturbo attraverso tecniche comportamentali e un lavoro di ristrutturazione cognitiva. Il pilastro centrale dell’intervento è rappresentato dal confronto con le situazioni temute, che avviene attraverso tecniche espositive durante le quali la persona viene gradualmente introdotta nelle situazioni oggetto di stress. Il paziente è aiutato nell’ identificazione dei pensieri disfunzionali – come ad esempio: “sono impotente”, “sono fragile”, “non ce la farò mai” – e l’identificazione delle emozioni negative in risposta al trauma, come paura intensa, tristezza profonda, angoscia. Lo scopo, attraverso la ristrutturazione cognitiva, è quello di elaborare i pensieri distorti a favore di pensieri più adattivi positivi e realistici.  Anche la Mindfulness-Based Stress Reduction, quale terapia psicologica incentrata sul momento presente, ha un’efficacia comprovata nella riduzione dei sintomi post-traumatici e l’incremento di abilità di gestione dello stress e dell’ansia. A volte, per alleviare il proprio stato di dolore, le persone usano alcol o di droghe, possono anche perdere il controllo sulla propria vita ed essere a rischio di comportamenti suicidari. A volte, quindi, in associazione alla psicoterapia è indicato l’uso di farmaci. I trattamenti sono specifici, individualizzati e centrati sul paziente. 

Per approfondimenti

Foa, E.B., Keane, T.M., Friedman, M.J. (eds) (2000). Effective Treatments for PTSD: Practice Guidelines from the International Society for Traumatic Stress Studies. New York: Guilford

Giannantonio, M. (2001). Eye Movement Desensitization and Reprocessing (E.M.D.R.) e psicoterapia del Disturbo Post-Traumatico da Stress: considerazioni critiche e linee di tendenza. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 1: 5-23.

Horowitz, M. J. (2003). Sindromi di risposta allo stress. Valutazione e trattamento
Trad it. Milano: Cortina, 2004

Maldonado, J. R., Spiegel, D. (1994). The Treatment of Post-Traumatic Stress Disorder. In Lynn, Rhue, 1994

Il trauma infantile

di Mauro Giacomantonio

Report del Simposio sul Trauma Infantile

Lo scorso 17 gennaio 2020 si è tenuto presso il Teatro Italia a Roma un simposio in memoria di Gianni Liotti, dedicato al tema del trauma infantile. La scelta dell’argomento è legata agli importanti contributi che il lavoro di Liotti ha dato alla comprensione e al trattamento del trauma. L’iniziativa ha visto la partecipazione di circa 500 persone tra studenti e professionisti nel campo della psicoterapia, della medicina e della formazione.

Ha aperto i lavori Francesco Mancini introducendo i quattro interventi dei relatori che vantano tutti una lunga esperienza di lavoro sul trauma, sia dal punto di vista clinico sia della ricerca.

La prima a intervenire è stata Maria Grazia Foschino Barbaro che ha trattato in modo approfondito gli aspetti interpersonali legati al trauma infantile. Anche attraverso la presentazione di alcuni casi clinici estremamente interessanti, la relatrice ha illustrato il ruolo centrale della relazione con il caregiver che, in determinati casi, può costituire una vera a propria fonte di trauma relazionale che può tradursi, tra le altre cose, in un attaccamento disorganizzato e quindi in una persistente vulnerabilità psicologica. 

Il secondo intervento è stato quello di Antonio Lasalvia che, in una prospettiva epidemiologica, ha trattato l’associazione tra trauma infantile e psicosi. Il relatore ha mostrato come la letteratura suggerisca chiaramente che esiste una relazione tra trauma e sviluppo di psicosi. Come nel caso della relazione tra fumo e cancro al polmone, la probabiltà di sviluppare psicosi cresce notevolmente con il crescere del numero di traumi significativi a cui la persona viene esposta nella sua vita. Infine Lasalvia ha illustrato interessanti modelli particolarmente recenti che sostengono un ruolo causale del trauma nella generazione delle psicosi. Il trauma non sarebbe quindi un mero evento stressante che agirebbe da slatentizzatore di una predisposizione genetica, ma un vero e proprio determinante del disturbo. 

Maurizio Brasini è stato il terzo relatore a prendere la parola e ha discusso il nesso tra trauma, attaccamento e ordine naturale delle cose. Dopo aver offerto interessanti spunti critici relativi al modo in cui il trauma è stato concettualizzato negli ultimi 150 anni, Brasini ha proposto una interessante e innovativa ipotesi che vede il trauma come una violazione delle aspettative che l’individuo ha nei confronti di cosa è giusto che accada (o non accada). In altre parole il trauma invalida l’ordine naturale delle cose della persona che lo subisce. Il pubblico ha assistito a una presentazione che, oltre ad essere densa di contenuti e innovativa, è stata particolarmente avvincente anche grazie ai tanti riferimenti al cinema e alla natura.

Infine Furio Lambruschi ha concluso i lavori con una relazione che ha offerto interessanti spunti relativi alle criticità che si possono incontrare nel setting terapeutico quando si ha a che fare con il trauma infantile. Lambruschi inoltre ha enfatizzato particolarmente il ruolo del contesto relazionale (ma non solo) che precede, accompagna e segue il trauma sottolineando come questo sia determinante nel cambiare l’esito in termini psicologici dell’evento avverso. 

Il simposio nel suo complesso è stato particolarmente stimolante sia per chi da anni si occupa di trauma, attaccamento e dei temi cari a Gianni Liotti, sia per chi sta iniziando a muovere oggi i primi passi in questi argomenti  particolarmente rilevanti nel trattamento della psicopatologia. Alcune riflessioni condivise col pubblico hanno anche sottolineato come lo studio e la conoscenza del trauma infantile sarebbe fondamentale, in termini di salute pubblica, anche per altre figure sanitarie, come ad esempio i medici di base. 

Scrivere per guarire

di Erica Pugliese

L’uso della scrittura espressiva aiuta le persone a guarire dalle esperienze negative, stressanti o traumatiche

La scrittura espressiva di eventi negativi, traumatici o stressanti, secondo studi recenti, può essere una tecnica potente che conduce a un miglioramento della salute psicologica e fisica. Si tratta di scrittura espressiva ovvero libera e senza riferimenti alla forma o altre convenzioni, come per esempio la punteggiatura, l’ortografia e la grammatica.
L’idea è di esprimere esattamente ciò che detta il cuore e la mente, senza starci troppo a pensare. La narrazione autobiografica presta dunque più attenzione ai sentimenti, a come ci si sente, rispetto a una mera descrizione di quello che è accaduto o sta accadendo ed è finalizzata alla costruzione di nuovi percorsi di significato di eventi particolarmente dolorosi. Poter esprimere liberamente le proprie emozioni e riconoscere i vissuti più traumatici aumenta dunque la consapevolezza delle dinamiche penose, permette di individuare nuovi nessi di causalità tra gli eventi e una elaborazione del trauma dal punto di  vista emotivo e cognitivo.
La connessione tra la scrittura espressiva e il benessere è stata scoperta da James Pennebaker, professore di psicologia presso l’Università di Austin, in Texas. Nel suo progetto di ricerca di punta, Pennebaker ha sviluppato degli esercizi di scrittura espressiva che hanno potenziali benefici per la salute delle persone. L’efficacia di questo strumento è stata confermata da numerosi studi successivi su campioni clinici e non clinici.
Di seguito viene descritto come procedere nell’esercizio della scrittura espressiva. Prima di iniziare è necessario leggere e seguire attentamente le istruzioni se si vogliono trarre dei benefici da questo tipo di attività:

  1. Scrivi per un minimo di 20 minuti al giorno per quattro giorni consecutivi.
  2. Scegli di scrivere qualcosa di estremamente personale e importante per te.
  3. Scrivi senza preoccuparti della punteggiatura, dell’ortografia e della grammatica. Se sei a corto di cose da dire, traccia una linea o ripeti ciò che hai già scritto. Non togliere la penna dal foglio, non fermarti.
  4. Scrivi solo per te: puoi pianificare di distruggere o nascondere ciò che stai scrivendo. Non trasformare questo esercizio in una lettera da spedire a qualcuno. Questo esercizio è solo per i tuoi occhi.
  5. Osserva come ti senti. Non appena ti rendi conto di non poter scrivere su un determinato argomento, se senti che stai superando il tuo limite personale, smetti di scrivere. Quando individui un evento negativo, procedi gradualmente, non andare immediatamente al cuore del trauma.
  6. Aspettati possibili reazioni negative: molte persone si sentono un po’ rattristate o depresse dopo la scrittura espressiva, specialmente i primi giorni. Di solito questa sensazione scompare del tutto.
  7. Concediti un po’ di tempo dopo l’esercizio per riflettere su ciò che hai scritto e prova a essere compassionevole, gentile con te stesso. Se sei preoccupato che qualcun altro veda quello che hai scritto, mettilo in un posto sicuro, o semplicemente strappalo o distruggilo.
  8. Una settimana o due dopo aver completato i quattro giorni di scrittura espressiva, potresti voler riflettere su ciò che noti nella tua vita, su come ti senti e come ti comporti.

In conclusione, l’utilizzo della scrittura espressiva per superare paure ed elaborare eventuali traumi connessi rappresenta un momento privilegiato di crescita personale: tramite la scrittura espressiva, l’evento stressante diventa, infatti, maggiormente controllabile e si riducono i vissuti negativi a esso associati, mostrando miglioramenti del proprio stato di salute.

Per approfondimenti:

Pennebaker,JW. (2004) Writing to Heal: A Guided Journal for Recovering from Trauma and Emotional Upheaval.

Gli effetti dei traumi infantili

di Alessandra Mancini

L’impatto delle esperienze traumatiche infantili sullo sviluppo neurobiologico e cognitivo

Le esperienze traumatiche in età infantile rappresentano, come è noto, un fattore di rischio che può predire l’insorgenza di disturbi psicologici in età adulta. Questo tema è stato approfondito ad Amsterdam al convegno della Società Internazionale di Schema Therapy. Durante una delle keynote, la professoressa Kim Felmingham dell’Università di Melbourne, specializzata in Disturbo Postraumatico da Stress (PTSD), ha citato numerosi studi che rivelano come il trauma infantile abbia un impatto significativo sullo sviluppo neurobiologico, sui processi psicologici e sul funzionamento ormonale e cognitivo.

A livello cerebrale, il modello neurobiologico prevalente del PTSD suggerisce la compromissione delle funzioni di inibizione esercitate dalla corteccia prefrontale (la parte evolutivamente più recente del cervello dei mammiferi) sulle regioni dello striato (una parte più profonda del cervello, che si occupa di elaborare l’informazione emotiva). Inoltre, evidenze raccolte tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI, una tecnica in grado di rappresentare per immagini l’attività delle aree più profonde del cervello) mostrano l’iperattività della regione dell’amigdala (l’area del cervello associata all’elaborazione di stimoli emotivi come la paura). A livello funzionale, questa alterazione viene rispecchiata in una iperattività del sistema di rilevamento delle minacce, che può provocare reazioni di allerta spropositate e ricordi traumatici altamente intrusivi. Nel complesso, tale quadro risulta nella difficoltà a prevenire la naturale estinzione delle risposte di paura, favorendo il mantenimento del disturbo.

Quali sono dunque le tecniche terapeutiche efficaci per il trattamento del PTSD? Alcuni studi fMRI hanno mostrato come la tecnica cognitivo comportamentale dell’“esposizione” (che consiste proprio nel confrontarsi con lo stimolo che suscita paura) e la tecnica dell’Eye-movement desentization and reprocessing (EMDR) siano efficaci nell’incrementare l’inibizione esercitata dalla corteccia prefrontale sull’amigdala e nel ridurre l’iperattività dell’amigdala stessa.
Un ulteriore aspetto del PTSD consiste nell’intrusività dei ricordi traumatici. Tali ricordi sono, infatti, generalmente frammentari, intensamente emotigeni e facilmente elicitati da stimoli ambientali (ad esempio suoni molto forti e improvvisi). Come sottolineato da Felmingham, questo aspetto può trovare una spiegazione a livello ormonale, poiché durante il trauma vengono rilasciati ormoni dello stress come noroadrenalina e cortisolo. L’arousal (attivazione psicofisiologica) durante la formazione della memoria porta ad un iper-consolidamento degli aspetti sensoriali dei ricordi traumatici e ad una contestualizzazione inferiore degli stessi, risultando in tracce mnestiche più emotigene e facilmente accessibili. Tecniche terapeutiche come quelle dell’esposizione immaginativa, accompagnata dalla ristrutturazione cognitiva (un protocollo elaborato da Ehlers e Clark dell’Università di Oxford), sono volte proprio a promuovere una narrazione coerente del trauma, volta a de-enfatizzare gli aspetti sensoriali e a facilitare l’integrazione dei ricordi traumatici nella memoria autobiografica e stanno ottenendo numerose prove d’efficacia.
Infine, l’intervento della professoressa Felmingham ha sottolineato il ruolo di periodi sensibili critici nello sviluppo dell’individuo, in grado di amplificare gli effetti stessi del trauma a livello cerebrale ed emotivo. Ad esempio, il PTSD accompagnato da dissociazione, che sembra associato all’esposizione ripetuta a eventi traumatici in età infantile e che è stato recentemente riconosciuto come un sottotipo specifico di PTSD nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico e dei Disturbi Mentali (DSM-5), è caratterizzato da un quadro di attivazione cerebrale differente (se non opposta) a quella descritta in precedenza, con l’iperattività delle regioni corticali prefrontali e scarsa o assente risposta dell’amigdala agli stimoli di minaccia. A livello clinico, i pazienti con questo sottotipo di PTSD sembrano non rispondere alle tecniche di esposizione e hanno bisogno di trattamenti più lunghi, volti allo sviluppo delle capacità di riconoscimento e di regolazione emotiva. Infine, Felmingham ha mostrato interessanti dati in fase di pubblicazione, che suggeriscono che l’esposizione al trauma in età infantile porti a conseguenze cerebrali diverse dall’esposizione in età adulta. In particolare, uno studio svolto con il collega Richard Bryant dell’Università UNSW di Sydney ha mostrato come, a parità di gravità dei sintomi, il trauma avvenuto in età infantile porti a una maggiore attivazione di aree come l’amigdala e la corteccia dorsolaterale prefrontale in risposta a stimoli attivanti, rispetto al trauma subito in età adulta. Questi dati non sorprendono se si pensa che il cervello in età infantile è in fase di maturazione. In particolare, le strutture neurali implicate nel trauma hanno picchi di maturazione (quindi di vulnerabilità al trauma) differenti. Ad esempio, l’ippocampo ha un picco di vulnerabilità intorno ai 2-4 anni, l’amigdala in preadolescenza (10-12 anni) e la corteccia prefrontale in tarda adolescenza (14-17 anni). L’esposizione al trauma durante questi picchi, conclude Felmingham, ha un effetto potenzialmente amplificante.

Per approfondimenti:

Felmingham, K.L. (2017). The Neurobiology of Posttraumatic Stress Disorder: Recent Advances and Clinical Implications. Australian Clinical Psychologist, 3(1) Article no. 005

Tornare alla normalità dopo un trauma

di Niccolò Varrucciu

L’evento traumatico provoca un flusso di sensazioni incontenibili, travolge le normali difese dell’individuo, lo rende privo di difese e incapace di reagire

Dal punto di vista etimologico, la parola “trauma” deriva dal verbo greco τραῦμα, che significa “perforare, danneggiare, ledere, rovinare” e contiene un duplice riferimento a una ferita con lacerazione e agli effetti di un urto, di uno shock violento sull’insieme dell’organismo. Ampiamente diffuso nell’ambito delle discipline medico-chirurgiche, durante il XVIII sec. il termine è stato adottato dalla psichiatria e dalla psicologia clinica che indicano con esso la sopraffazione del soggetto da parte di uno stimolo eccessivo.

In modo molto generale, il trauma può essere definito come un evento imprevisto, improvviso e imprevedibile che la persona sperimenta come destabilizzante.

L’evento traumatico domina la capacità di risposta della persona, rimanda a una condizione d’impotenza davanti a un’esperienza sconvolgente e incontrollabile che provoca un flusso di sensazioni incontenibili, travolge le normali difese dell’individuo, lo rende privo di difese e incapace di reagire, imponendo la messa in atto di difese patologiche.

In genere, dopo un evento traumatico, il soggetto può presentare disturbi come ansia, insonnia, depressione, oltre a immagini intrusive e ricordi vividi che portano il soggetto a rivivere paure e ansie come se si trovasse nuovamente all’interno dello scenario catastrofico.

Che fare se un paziente sperimenta questi sintomi? Anche se può sembrare controintuitivo, il primo intervento da fare è la cosiddetta “normalizzazione”: è infatti assolutamente normale e fisiologico che la persona reagisca in questo modo, com’è altrettanto normale che tale sintomatologia non perduri e si estingua in modo autonomo.

Se ciò non dovesse accadere, ecco che un intervento psicoterapeutico è sicuramente di fondamentale importanza per evitare che si strutturi un franco disturbo psichiatrico, o per aiutare la persona a guarire.

Uno dei meccanismi che maggiormente mantiene la sintomatologia traumatica è l’evitamento; dopo un evento traumatico è normale avere paura, anzi è fondamentale; se però, di fronte alla paura, mettiamo in atto tentativi di soluzione disfunzionali come l’evitamento, non permettiamo a questa emozione, sgradevole ma importante, di fare il suo corso e defluire correttamente. Non solo, sforzarci per evitare di sentirla dà, in modo implicito, ancora più importanza alla nostra paura e al relativo scenario temuto.

Secondo l’Acceptance e Commitment Therapy è la rigidità psicologica che ci mantiene in uno stato di sofferenza, impedendoci di individuare soluzioni efficaci di risoluzione.

Fra gli strumenti forniti da questo paradigma, uno dei più utili per il trattamento del trauma è sicuramente la “Matrice di Polk”, che aumenta la consapevolezza sul nostro funzionamento.

Durante stati di sofferenza, le persone entrano in modalità “pilota automatico” e iniziano ad agire tentativi di soluzione che, a lungo termine, manterranno la sofferenza o addirittura lo stato di malattia. Attraverso l’utilizzo della matrice è possibile analizzare quali comportamenti sono funzionali all’evitamento e quali comportamenti sono invece utili a tornare a vivere una vita ricca e soddisfacente.

La natura grafica di questo strumento semplifica il già arduo lavoro dei pazienti, rendendo intuitivo come ci siano comportamenti di allontanamento e controllo del dolore e comportamenti significativi per la persona.

Il principale intervento della terapia ACT è quello di implementare gli stati di consapevolezza nel paziente, per poi, tramite opportune tecniche, rimodulare la veridicità e la percezione di gravità di tali stati.

Tutto questo permette di aumentare la flessibilità cognitiva, utile all’individuazione di strategie di soluzione alternative e maggiormente efficaci, che non mirino tanto all’eliminazione dell’emozione spiacevole, quanto piuttosto al graduale abbandono degli strumenti disfunzionali di controllo.

Tali tentativi di controllo, infatti, oltre a mantenere inalterata la situazione, limitano le occasioni di soddisfazione in cui la persona potrebbe incorrere, facendole perdere di vista scopi di vita per lei importante.
Per approfondimenti:

Bessel A. Van der Kolk, Alexander C. McFarlane, Lars Weisaeth, “Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili”,ediz. Ma. Gi srl, 2004, pag. 1

Giannantonio, M. (2009). “Psicotraumatologia. Fondamenti e strumenti operativi”. Torino: centro  scientifico

Quando lo stress fa bene

di Barbara Basile

Eventi lievemente stressanti rafforzano le capacità di fronteggiare situazioni negative future e proteggono dallo sviluppo di disturbi psichici

 È idea diffusa che l’esposizione a situazioni stressanti e traumatiche rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo di una condizione psicopatologica; ovvero, all’aumento del numero o della intensità degli eventi di vita traumatici aumentano le chance di sviluppare dei disturbi psichici. Tuttavia, alcuni ricercatori sostengono che la relazione tra eventi stressanti, soprattutto nell’infanzia, e rischio di psicopatologia successiva possa avere una relazione di tipo diverso se si considerano situazioni “moderatamente” stressanti. Cioè, stressor di moderata intensità rappresenterebbero un’opportunità per sviluppare le proprie risorse e rafforzare le capacità di fronteggiamento utili per affrontare minacce o problemi futuri.

Alcuni studi su piccoli di ratti e scimmie sottoposti a ripetute, ma brevi, separazioni dalle madri hanno mostrato effetti benefici sui livelli di ormoni che mediano lo stress e un maggior numero di comportamenti di esplorazione in età adulta, rispetto a chi non era stato separato. Inoltre, le brevi separazioni attivavano più accudimento dopo il ricongiungimento, favorendo coccole e grooming (un comportamento di cura/pulizia reciproca del pelo) verso il cucciolo. Infine, altri studi hanno rilevato un maggiore livello di mielinizzazione nella corteccia prefrontale (favorendo una più efficiente trasmissione dei segnali neuronali) degli animali sottoposti a eventi poco stressanti, rispetto a chi era cresciuto in un contesto protetto. Leggi tutto “Quando lo stress fa bene”