È possibile l’ipnosi in psicoterapia?

di Irene Tramentozzi ed Erika Cellitti

Alcuni studi hanno evidenziato il legame tra i conflitti cognitivo-emotivi e il richiamo di memorie traumatiche

L’ipnosi è un fenomeno psicologico caratterizzato da cambiamenti a livello di sensazioni, percezioni, pensieri e comportamenti, grazie alla suggestionabilità che caratterizza lo stato di trance. Dopo un lungo periodo di prosperità, l’ipnosi e la psicoterapia che la utilizzava sono state bistrattate e oggetto di numerosi pregiudizi, legati in particolar modo alla mancanza di studi controlled trial e evidence-based e alla carenza di indicatori neurofisiologici dello stato di trance.

La ricerca scientifica sta facendo luce sulle qualità di questa tecnica basata sulla suggestionabilità, grazie all’inarrestabile progresso delle neuroscienze che ha permesso di creare una connessione tra gli studi neurofisiologici e gli studi psicofisiologici dei sistemi cognitivo, affettivo e sensoriale. La tecnica ipnotica, quindi, viene sempre più validata e riconosciuta dalla comunità scientifica come un metodo di scandaglio del sistema nervoso centrale e periferico, in grado di esplorare e modulare determinanti cognitivo-affettive dell’esperienza umana.

Una prima annosa domanda, che poneva l’accento sullo status vero e proprio dell’ipnosi, si declinava, nella sua forma più specifica, sull’ingente questione se l’ipnosi fosse un “processo” della coscienza o una “mistificazione”, sancendo, in tal modo, uno spartiacque tra due filoni di pensiero: uno, “maggioritario”, che vedeva la tecnica ipnotica come uno stato modificato di coscienza; uno, “minoritario”, che al contrario contestava l’esistenza stessa dell’ipnosi, idea avallata dalla mancanza di indicatori neurofisiologici. Il divario è stato definitivamente sanato dalle crescenti ricerche neurofisiologiche: gli studi più recenti di neuroimaging (RMN funzionale, PET) hanno infatti contribuito a delineare una mappatura delle ROI (Regions of Interest) cerebrali implicate durante le condizioni di ipnosi “neutra”, ovvero in assenza di suggestioni specifiche. Pertanto, le neuroscienze non solo hanno il merito di aver definito lo stato di trance, ma, in particolare, hanno posto fine all’ingente compito di differenziare gli stati alterati di coscienza da quelli ordinari. Le ricerche sui neuroni specchio hanno inoltre confermato la correlazione tra suggestionabilità e modificazione psico-neuro-fisiologica.

Nell’antichità, in tutte le culture, l’ipnosi era utilizzata dalla medicina come unico anestetico in chirurgia generale per il controllo del dolore, tuttavia il suo utilizzo è stato oggi drasticamente ridotto. L’efficacia dell’ipnosi nel trattamento del dolore, acuto e cronico, è stata però validata a livello di evidence-based medicine da meta-analisi di studi controllati e randomizzati. Studi scientifici condotti negli ultimi vent’anni hanno evidenziato, inoltre, che l’utilizzo dell’ipnosi è in grado di modulare le componenti cerebrali motivazionali-affettive e sensoriali-discriminative, in particolar modo in quei soggetti che mostrano una maggiore flessibilità cognitiva, che rende conto della minore distraibilità agli stimoli irrilevanti o indesiderati.  Secondo il terapista del dolore e ipnoterapeuta Giuseppe De Benedittis, “è probabile che l’analgesia ipnotica coinvolga meccanismi multipli di modulazione del dolore”, in particolar modo in quei soggetti che risulterebbero, per maggiore flessibilità cognitiva, altamente ipnotizzabili.

Attualmente l’uso dell’ipnosi è oggetto di ricerca in vari ambiti, quali i fenomeni percettivi uditivi e visivi ed i processi mnestici e attentivi.  Alcuni studi hanno suggerito una relazione tra i conflitti cognitivo-emotivi e il richiamo di memorie traumatiche, che prevedono l’attivazione di specifiche strutture cerebrali che sembrerebbero essere implicate anche in ipnosi. Una domanda che sorge spontanea, per tale motivo, è se sia possibile ipotizzare che i circuiti cerebrali dei pazienti con Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS), siano gli stessi attivati in trance per il recupero di quelle memorie traumatiche di cui la persona non è pienamente consapevole. Un’affascinante prospettiva futura sembra delinearsi nell’utilizzo dell’ipnosi in ambito psicoterapeutico, la quale potrebbe divenire uno strumento di indagine di quegli aspetti psicobiologici che caratterizzano i conflitti tra scopi di cui la persona può non avere piena coscienza. Attraverso l’ausilio delle moderne tecniche di neuroimaging già impiegate nello studio della stessa in altri ambiti applicativi, sono auspicabili, quindi, ulteriori approfondimenti che siano in grado di chiarire il “potenziale” della tecnica ipnotica nel trattamento dei disturbi mentali.  Altro ambito di approfondimento della suggestionabilità è quello relativo alla psicologia giuridica, soprattutto per la valutazione della testimonianza dei minori abusati attraverso la GSS (Gudjonsson Suggestibility Scales).

Riferimenti bibliografici:

“Il cervello ipnotico: un ponte tra neuroscienze e psicoterapia” di Giuseppe de Benedittis – Idee in Psicoterapia- n°3 -2009

“Ipnosi. Benessere psicofisico e risorse mentali” di Aureliano Pacciolla – San Paolo, 1994