Le emozioni come lenti sul mondo

di Alessandra Capuozzo
a cura di Elena Bilotta

La revisione della letteratura presentata da De Berardis e colleghi (2017) vuole valutare la relazione tra alessitimia e rischio suicidario in diverse classi di pazienti: Disturbi Depressivi, di Disturbi d’Ansia e di disturbi dell’umore come Disturbo dell’Alimentazione Binge e Disturbo Bipolare.

Il tratto alessitimico è stato studiato negli articoli analizzati da De Berardis e colleghi (2017) con l’utilizzo di un test apposito, TAS-20. La TAS-20 studia tre aspetti dell’alessitimia: Difficoltà a Identificare le emozioni, Difficoltà ad Esprimere le emozioni, Pensiero Orientato verso l’Esterno. Il denominatore comune che sembra aumentare il rischio suicidario in pazienti psichiatrici sembra essere la Difficoltà ad Identificare le Emozioni. In effetti, non sembra cosí strano, considerando che l’incapacità ad identificare le proprie emozioni può destabilizzare fortemente il paziente. Facciamo giusto un esempio, un paziente che soffre di BED (Binge Eating Disorder) durante una giornata potrà trovarsi ad affrontare una situazione per lui/lei stressante, come ad esempio un litigio familiare. Questo evento, che potrebbe essere un evento scatenante per l’abbuffata, indurrà sensazioni cosí forti e insopportabili per il paziente che metterà in atto l’abbuffata. Immaginate quanto debba essere forte e intensa quest’emozione tanto da indurre ad una perdita di controllo sull’assunzione di cibo. Se unito a questo ci aggiungiamo un incapacità di comprendere i segnali del proprio corpo e interpretare tali segnali come un emozione sgradevole, il paziente sarà completamente in balia delle sue emozioni. Se questo diventa il normale modo di vivere del paziente, a lungo termine potrebbe determinare un insofferenza tale da rendere la propria vita insopportabile e quindi aumentare le ideazioni suicidarie.

L’associazione su basi biologiche, invece, ancora non è molto chiara. De Berardis e colleghi (2017) hanno evidenziato come l’ideazione suicidaria sia legata a bassi livelli di lipoproteine ad alta densità (o colesterolo “buono”) in pazienti con attacchi di panico, oppure come tale rischio suicidario sia inoltre caratterizzato da una pronunciata infiammazione all’asse ipotalamico-pituitariale-adrenale in pazienti con uno stato di alessitimia cronica.

In conclusione, attualmente non è ancora ben chiaro quali siano le caratteristiche biologiche che aumentano il rischio suicidario in pazienti psichiatrici con alessitimia, ma sembra esserci una relazione tra alessitimia e ideazione suicidaria. Nello specifico, la capacità di comprendere le proprie emozioni assume in questo contesto un ruolo fondamentale, considerando che le emozioni sono le lenti con cui leggiamo il mondo. Se le nostre lenti sono offuscate e non ci fanno vedere, come possiamo agire nel mondo?

Bibliografia:

De Berardis D., Fornaro M., Orsolini L., Valchera A., Alessandro Carano A., Vellante F., Perna G., Serafini G., Gonda X., Pompili M., Martinotti G. and Massimo Di Giannantonio M. (2017). Alexithymia and Suicide Risk in Psychiatric Disorders: A Mini-Review. Frontiers in Psychiatry, Vol. 8, p. 1-6. DOI: 10.3389/fpsyt.2017.00148

L’autoregolazione degli obiettivi

di Giulia Mangani
curato da Mauro Giacomantonio

Un fattore utile per la prevenzione del suicidio

Secondo il World Health Organisation circa un milione di persone muore ogni anno per suicidio in tutto il mondo. Partendo da tale dato, alcuni ricercatori si sono chiesti se una maggior conoscenza del ruolo di alcuni meccanismi di rischio prossimali, potesse essere utile a prevedere comportamenti suicidari.

All’interno di tale ambito, numerosi studi, hanno già sottolineato come la capacità di saper rinunciare a perseguire obiettivi irraggiungibili, aiuti ad evitare sentimenti di fallimento associati al rischio suicidario. Tale disimpegno dagli scopi impossibili da realizzare, risulta tuttavia adattivo, solo quando è accompagnato alla possibilità di investire in nuove mete realizzabili. In particolare, nella popolazione più anziana, il disinvestire da scopi irraggiungibili, senza potersi impegnare in nuovi obiettivi, è associato ad un basso livello di benessere mentre nei giovani adulti si riscontra una maggior difficoltà a rinunciare a mete impossibili da perseguire con la conseguente accresciuta percezione di “sentirsi intrappolati” e la possibilità di mettere in atto atti autolesionistici.

Partendo da tali analisi, la ricerca ha individuato come fattore che aumenterebbe la probabilità di mettere in atto agiti suicidari la percezione di “sentirsi sconfitti ed intrappolati” in una situazione da cui non si riesce a fuggire (O’Connor, 20011). In particolare, lo studio ha esaminato la funzione di due processi coinvolti nell’autoregolazione degli obiettivi che aumenterebbero la sensazione di “non avere via di scampo”: il disimpegno da mete irraggiungibili e l’investimento in nuovi scopi (Wrosch, 2010 ; Wrosch e Scheier, 2003).

I risultati, in linea con l’ipotesi di ricerca, hanno mostrato come siano fattori predittivi del reiterarsi di atti autolesionistici la difficoltà ad investire in nuove mete, una storia di ospedalizzazione per agiti autolesionistici e l’ideazione suicidaria. Inoltre è stato dimostrato come il non riuscire a disinvestire da obiettivi irraggiungibili porti ad una percezione di basso livello di benessere e ad una maggior probabilità di agiti suicidari.

Nello specifico, la difficoltà ad impegnarsi in nuove mete, è risultata elevata nei giovani quando accompagnata ad una difficoltà a disinvestire da scopi impossibili da realizzare mentre negli anziani è risultata elevata anche quando sono stati abbandonati obiettivi irrealizzabili. La capacità di rinunciare a perseguire mete irraggiungibili, sembrerebbe quindi essere utile sia a non sprecare preziose risorse sia ad evitare sentimenti di fallimento associati al suicidio ma, risulterebbe adattiva, solo nel caso in cui siano disponibili altri scopi da perseguire.

Sebbene i ricercatori abbiano sottolineato alcuni limiti della ricerca, le conclusioni dello studio suggeriscono alcune linee guida per i futuri interventi terapeutici. In particolare, i trattamenti dovrebbero mirare da una parte all’autoregolazione degli scopi, valutando la disponibilità e la motivazione dei soggetti ad intraprendere nuovi obiettivi e dall’altra dovrebbero aiutare le persone ad esplorare il significato personale del disimpegno dalla meta e ad impegnarsi nel perseguimento di ulteriori scopi. Infine sarebbe utile approfondire ed analizzare il ruolo giocato dal disinvestimento da obiettivi irraggiungibili, rilevante nel predire la messo in atto di agiti suicidari.