di Annalisa Bello
Erroneamente accostato al DOC, il Disturbo D’Accumulo (DA) sembra porsi come una singola entità diagnostica anche da un punto vista neurobiologico, come recentemente osservato da Mataix-Cols e coll., (2014).
A partire dalla prima evidenza di neuroimaging (Saxena e coll., 2004), la letteratura inizia a rivolgere particolare interesse alla neurobiologia del DA, dischiudendo la comprensione dell’affascinante fenomenologia comportamentale di tipo accumulatorio, che implicherebbe il coinvolgimento di strutture frontali nonché temporali. In particolare, un compromesso funzionamento a livello della corteccia orbitofrontale e della corteccia anteriore del cingolo unitamente ad un’ipofunzionalità documentabile a livello dei giri superiore e mediale – per ciò che concerne il coinvolgimento temporale – sottendono al la tipica tendenza all’accumulo che, in chiave neurospicologica, si rifletterebbe nella compromessa abilità di decision making.
La chiarezza delle evidenze funzionali, irrobustita dalle indirette confeme, che le stesse ricevono dalla letteratura di studi animali e lesionali, parrebbe quasi porsi come un’importante svolta nella risoluzione dell’insoluto interrogativo circa la natura della relazione causale tra aspetto neurobiologico e comportamentale nel DA. Ma considerando il notevole limite delle evidenze funzionali in merito come scarsamente generalizzabili (trattasi, infatti, di studi che hanno indagato il DA in soggetti con tendenza accumulatoria secondaria al DOC) risuona alquanto consona e condivisibile la necessità di ulteriori approfondimenti ed indagini, come suggerito da Randy Frost, uno degli esperti mondiali su questo tema (Frost e coll. 2014). Rimane, pertanto, ancora aperta l’avvincente questione circa il determinismo causale nel DA : “ è la predisposizione neurobiologica che porta allo sviluppo del DA?” oppure “la tendenza all’accumulo è cognitivamente ed emozionalmente legata alle determinanti psicologiche, il cui riflesso risulterebbe in un anomalo funzionamento cerebrale?”. Seppur non sciogliendo l’intricato enigma scientifico, il mio contributo alla new entry in casa editrice Raffaello Cortina ossia il “Il disturbo d’accumulo” a cura di Claudia Perdighe e Francesco Mancini è stato mosso dall’interesse verso l’ammaliante relationship tra il neurobiologico e la fenomenologia comportamentale nella psicopatologia. Insieme ai colleghi Iolanda Pisotta, Niccolo Varruccio e Brunetto De Sanctis -insieme ai quali si è dato vita a due interessanti capitoli – ho mosso i miei primi passi verso questa insolita commistione di ruoli “autore-studente” che, mai come in questo caso, non ha avuto controindicazioni alcune, anzi (leggere per credere!). Aggiungici, poi, una classe di specializzandi all’ultimo anno, bramosi di clinica in una scuola piena di slancio ed apprezzabili iniziative, in perenne eruzione di stimoli e ammirevole attivismo e il risultato e a dir poco successful (ancora una volta, leggere per credere!).