“The Place” e i desideri conflittuali

di Giuseppe Femia

Cosa siete disposti a fare per ottenere ciò che volete?


“The Place” è un film del 2017 scritto e diretto da Paolo Genovese in cui un protagonista misterioso, seduto al tavolo di un locale, riceve dei visitatori. Ognuno di loro ha un desiderio difficile, se non impossibile da realizzare e l’uomo propone loro uno scambio echeggiante al Faust di Goethe:
“Cosa siete disposti a fare per ottenere ciò che volete? Io vi affiderò un compito e, se lo porterete a termine, otterrete ciò che desiderate”.
Venderanno gli avventori l’anima al diavolo per afferrare i propri desideri?
Il conflitto interiore si manifesta in modo chiaro nella mimica degli attori; infatti, le richieste proposte dallo “psico-mago” sono tutte azioni contro l’etica e la morale.
A una donna che vorrebbe salvare il proprio marito dalla malattia, viene chiesto di far esplodere un ordigno in un luogo pubblico; a una ragazza scontenta del suo aspetto fisico, è imposto di rubare in casa di un’amica i soldi necessari per l’intervento chirurgico che dovrebbe donarle la desiderata beltà; a un ragazzo cieco che vuole recuperare la vista, viene ordinato di stuprare una donna.
Eppure nessuno di loro riesce, nonostante le prove e i suggerimenti strategici, a compiere quanto richiesto. Si trovano tutti paralizzati da pulsioni contrastanti: il desiderio, la lotta senza frontiere necessaria a conquistarlo e la coscienza che batte e reclama regole morali e condivise.
Il senso di colpa frena le loro pulsioni aggressive, modula il loro comportamento e ristabilisce un equilibrio nel sistema di valori di ciascuno.
Le prescrizioni “paradossali” a loro proposte costringono a misurarsi con il rimorso della coscienza, con la rabbia, con la frustrazione, sino a determinare valutazioni lucide e scelte comportamentali sane e altruistiche.
Questo film, dunque, sembra trattare temi prossimi alla psicoterapia durante la quale spesso si sollevano domande simili:
– Se avesse una bacchetta magica, cosa cambierebbe della sua vita?
– Quali sarebbero i desideri che potrebbero renderla felice una volta realizzati?
– Cosa vorrebbe modificare della sua personalità?
– Cosa sarebbe disposto a fare?
Tali quesiti, apparentemente banali, svelano al terapeuta i valori della persona, gli scopi, i timori; possono segnalarne le resistenze al cambiamento, le rigidità e il carattere: timido, introverso, ambizioso, intraprendente, flesso.
Nel film vengono sollevati argomenti complessi di interesse psicologico: i desideri vs il senso di colpa, l´impotenza, la paura dell’abbandono, la fissazione per l’immagine corporea, il timore della malattia, della solitudine, il lutto, l’accettazione.
Le diverse storie proposte dal regista, sembrano avere in comune il meccanismo della suggestione che alle volte si insinua nei momenti di difficoltà; essa diventa centrale nel film, così come sembra accadere nella nostra psiche e nella nostra società.
Proprio recentemente, le pagine di cronaca hanno riportato la scoperta di una “psico-setta” della dieta macrobiotica che imponeva ai propri seguaci un controllo estremo dell’alimentazione spinto fino all’anoressia, volto a ottenere la guarigione.
Oltre a sottolineare la debolezza umana e il rischio di sviluppare pensieri magici e di dipendenza, le tematiche proposte dal regista segnalano implicitamente l’importanza di un comportamento etico nelle professioni che abbracciano la sofferenza psicologica.
Alcune scene sembrano rappresentare la formulazione psicoanalitica di “ES e Super Io”, in cui le pulsioni lottano contro le regole interiorizzate e condivise. Inoltre, attraverso la metafora filmica, si manifesta lo scenario degli “scopi in conflitto” in cui un sistema motivazionale si oppone all’altro; l’egoismo fa da contralto all’altruismo e al comportamento pro-sociale.
Nei personaggi si genera una sorta di fallimento rispetto al proprio scopo ritenuto principale; diversi domini psicologici si aprono, creano “tribolazione” mentale e sconforto, sino a determinare la ricerca di una soluzione possibile.
La figura stanca di quell’uomo al tavolino che, sorseggiando caffè, si offre agli altri donando suggerimenti e prescrizioni, richiama, intrinsecamente, la figura del terapeuta moderno.
I suggerimenti forniti ai suoi visitatori, possono essere letti, in un parallelismo quasi evidente, come interventi simil-psicoterapici, tesi a evidenziare i limiti di certe condotte/fissazioni e fornire tempi di riflessione/azione alternativi.
I provvedimenti spietati, prescritti dal criptico personaggio, manipolativi, paradossali e provocatori, stimolano la coscienza, dilatano i tempi di azione, aiutano a comprendere i limiti dei propri desideri, stimolando accettazione e investimento su altre aree, oltre a quella desiderata e iper-investita.
La regia prevede imprevisti che mettono a confronto il proprio dilemma, la propria spietata corsa verso l’obiettivo, con scenari drammatici in contrapposizione.
Ad esempio, uno dei personaggi, dapprima disposto a sacrificare una bambina per ottenere in cambio la guarigione del figlio, si scontra con un uomo che segue quella che dovrebbe essere la sua vittima e così sviluppa un senso di protezione, sino a sostituire il suo percorso aggressivo con uno scenario “salvifico”, che lo distrae dal suo obiettivo banale.
Nel finale, uno dei personaggi, la donna che voleva attivare la gelosia del marito, rimane intrappolata nel suo stesso gioco.
Lo psico-stregone non è riuscito nel suo gioco a prevedere questa possibilità? Seguendo un’altra chiave di lettura, egli ha accettato il rischio, assumendosi la responsabilità che alla salvezza di più esistenze potrebbe corrispondere il sacrificio di un’anima? Oppure invece si voleva sottolineare, come alla perseveranza di un comportamento impulsivo e ego-centrato, resistente alle diverse prove, corrispondano inesorabili conseguenze?