di Niccolò Varrucciu
La farmacologia comportamentale nei disturbi del neurosviluppo
La disciplina della farmacologia comportamentale è nata alla fine degli anni ’50, quando alcuni ricercatori iniziarono a studiare i farmaci integrando i metodi e i concetti caratteristici dell’analisi del comportamento con quelli della farmacologia.
Questi farmacologi comportamentali presumevano che i farmaci funzionassero in modo molto simile agli altri stimoli e che, i loro effetti comportamentali, potessero essere spiegati senza ricorrere ad analisi riduzionistiche o mentalistiche.
Anche se a volte riportavano dati di gruppo e utilizzavano statistiche inferenziali per analizzare quei dati, il loro focus principale era sul comportamento di singoli organismi, sia umani sia non umani, e sulle variabili che influivano su quel comportamento.
La ricerca dei farmacologi comportamentali aveva lo scopo di accertare gli effetti comportamentali dei farmaci, le variabili che modulano quegli effetti e i meccanismi comportamentali di azione attraverso i quali vengono prodotti quegli effetti.
I farmacologi comportamentali hanno evidenziato i meccanismi neurochimici dell’azione farmacologica e hanno correlato tali effetti ai cambiamenti osservati nel comportamento.ù
Generalmente i meccanismi conosciuti attraverso cui i farmaci producono i loro effetti sono di tipo chimico, come nel caso degli antibiotici.
Nell’ambito della psicofarmacologia esiste ancora una notevole distanza tra i comportamenti e i meccanismi biochimici sottostanti, tuttavia gli studi di neurofarmacologia tendono a focalizzarsi esclusivamente sulle possibili azioni recettoriali e chimiche dei farmaci psicotropi per spiegare gli effetti comportamentali, ignorando i meccanismi comportamentali del farmaco stesso.
La psicofarmacologia comportamentale si può definire come lo studio dell’effetto dei farmaci psicotropi sul comportamento attraverso i principi e i metodi dell’Analisi del Comportamento Applicata (ABA).
Lo scopo ultimo non è quello di consigliare singoli trattamenti, ma di illustrare il processo alla base del trattamento, ovvero la comprensione dei meccanismi comportamentali dell’azione farmacologica.
Nella psicologia comportamentale un concetto basilare è quello della contingenza a tre termini, formata dagli antecedenti, dai comportamenti e dalle conseguenze.
Il condizionamento operante comprende tutti i comportamenti emessi da un individuo, che possono essere rafforzati o indeboliti dalle conseguenze prodotte sull’ambiente, ed è una procedura di modifica del comportamento di un organismo. Le unità funzionali minime sono le seguenti:
- Antecedente (o Stimolo Discriminativo). Una qualsiasi cosa che esiste nell’ambiente del soggetto (giorno, ora, situazione, persone presenti, attività in corso, frase sentita, ecc.) prima che agisca un comportamento (e che poi lo può evocare).
- Comportamento (o Risposta). Risposta da parte del soggetto di fronte ad uno stimolo discriminativo antecedente;
- Conseguenze. Qualsiasi cosa che segue un comportamento, come rinforzi positivi o negativi e punizioni, anch’esse positive o negative.
Secondo questo approccio, il comportamento rispondente è innescato dagli stimoli antecedenti mentre il comportamento operante è regolato dalle conseguenze.
Le linee guida generali per delineare un intervento sui comportamenti evidenziano l’importanza di descrivere la topografia e la funzione del comportamento, oltre a stabilire il contesto e la frequenza con cui svolgere la procedura.
Pertanto gli interventi, di ogni natura, dovranno mirare a identificare, comprendere e modificare queste unità fondamentali.
Da un punto di vista farmacologico, gli studi condotti sull’uomo, che hanno analizzato gli effetti comportamentali dei farmaci, sostengono che questi vadano a modificare la salienza dello stimolo e a modificare il comportamento rispondente (automatico e appreso) e quello operante in modo quantitativo, cioè secondo i criteri di latenza, frequenza, durata.
Alcuni studi, che hanno studiato l’effetto atarassico dei neurolettici, hanno dimostrato come a dosi basse si determini la perdita di salienza dello stimolo antecedente condizionato (perdita della reazione di evitamento), a dosi più elevate la perdita di salienza dello stimolo antecedente non condizionato e la perdita della risposta automatica (perdita della reazione di fuga).
L’effetto sulla salienza dello stimolo permette di perdere la connotazione di Stimolo Discriminativo, riducendo la funzione di regolazione del comportamento (stimoli avversivi e di fuga o stimoli appetitivi).
Per concludere, l’intervento farmacologico, come gli altri interventi, si deve basare su una diagnosi psichiatrica o su un’ipotesi comportamentale-farmacologica specifica derivante da una valutazione diagnostica e funzionale completa. I comportamenti specifici e gli effetti sulla qualità della vita devono essere definiti, quantificati e indagati obiettivamente, utilizzando metodi di misurazione empirici riconosciuti, in modo da valutare l’efficacia di un farmaco psicotropo.
Per approfondimenti
Hagopian, Louis, Caruso-Anderson, Mary (2010). Integrating behavioral and pharmacological interventions for severe problem behavior displayed by children with neurogenetic and developmental disorders – Neurogenetic syndromes: Behavioral Issues and Their Treatment
Skinner, B. F. (1974). About Behaviorism. New York: Vintage Books.