di Barbara Basile e Francesco Mancini
“Il mio disturbo psicologico è genetico e sarò costretto a conviverci per sempre?”
Nell’ambito della psicopatologia, sono parecchi gli studi che hanno cercato di identificare nei fattori congeniti le possibili cause o i precursori dello sviluppo di un disturbo mentale. Parallelamente, nella pratica psicoterapica, capita spesso che i pazienti lamentino che il cambiamento “è impossibile perché il loro disturbo è scritto nei loro geni!”. Ma è davvero così? Quali sono i metodi di indagine nell’ambito degli studi sui geni?
La genetica studia i geni, l’ereditarietà e la variabilità genetica negli organismi, e lo fa intervenendo su tre diversi livelli di analisi. Il primo, nonché il più diffuso, riguarda lo studio della trascrizione del DNA; il secondo, meno comune, indaga il processo successivo della trascrizione del RNA; e il terzo, il più attendibile e rigoroso, studia la trascrizione delle proteine, che rappresenta l’ultimo anello che congiunge il genotipo al fenotipo e il passaggio dai geni alle proteine. Non è un passaggio necessario ma risente dei fattori epigenetici.
Cerchiamo di capire cosa avviene in questi tre diversi livelli di analisi. Lo studio del DNA riguarda l’analisi dei polimorfismi e delle mutazioni genetiche (più rare). L’analisi dei polimorfismi può indirizzarsi allo studio dell’alterazione di un solo nucleotide (SNP, single nucleotide polymorphism) oppure alle ripetizioni di brevi sequenze di nucleotidi presenti sullo stesso cromosoma (VNTR, variable number of tandem repeats). Nell’ambito della psicopatologia, la maggior parte delle ricerche si è concentrata sullo studio dei gemelli, di bambini adottati e sul linkage, che riguarda lo studio di alleli specifici in famiglie in cui diversi componenti sono affetti da un stesso disturbo, con lo scopo di confrontarli con quelli degli altri familiari. Un quarto tipo di analisi, il Genome-Wide Association Study (GWAS), si avvale di metodi che studiano un “gene candidato”, una metodologia di studio di tipo confirmatorio rispetto al ruolo di uno o pochissimi geni designati; oppure il genoma-wide, un metodo esplorativo molto costoso, che permette di confrontare l’intero genoma di diversi individui affetti da una patologia verso individui sani, per determinarne eventuali variazioni geniche. Un grande limite nello studio del DNA consiste nell’impossibilità di esaminare il ruolo di aspetti ambientali sulla modulazione dell’espressione genica.
Un metodo di studio più approfondito, ma infrequente, indaga il processo della trascrizione del RNA. Questo segue la fase di trascrizione del DNA e si può avvalere di metodi come il Q-PCR, il MICROARRAY e il sequenziamento del RNA. Infine, il metodo più accurato e attendibile, ma anche più complesso e meno utilizzato nello studio del genoma, riguarda la codifica delle proteine.
A fianco delle ricerche sulla ereditarietà di alcuni disturbi psichici, negli ultimi anni si è fatta strada l’epigenetica, il cui nome indica letteralmente “sopra, o in aggiunta, a ciò che riguarda la genetica”. Questa disciplina studia i processi che incidono sull’espressione del genoma e controllano la sua funzione ed espressione (il fenotipo), indagando i fattori ambientali che possono intervenire sul processo di trascrizione del DNA. L’epigenetica studia come i geni, o le informazioni memorizzate nel DNA, interagiscono e si esprimono nel singolo individuo tenendo conto delle specifiche variabili ambientali a cui questi è sottoposto durante la propria esistenza. Tali variabili riguardano le abitudini alimentari, il contesto sociale, lo status socio-economico, il fumo, l’uso di sostanze, il tipo di cure parentali ricevute, le esperienze traumatiche e tante altre. Nell’ambito della comprensione della ereditarietà (o meno) dei disturbi psichici, l’epigenetica fornisce un contributo essenziale poiché l’analisi degli effetti ambientali sull’espressione genica è un passaggio imprescindibile per una accurata individuazione delle eventuali componenti ereditarie che possono intervenire nella determinazione di un disturbo.